Quanto più si protrae questa condizione di isolamento, tanto maggiore diventa la fatica per chi patisce situazioni di disabilità psichica e intellettiva. Per tantissime persone, allora, una breve passeggiata, con tutte le misure anti contagio previste, è una questione di vera sopravvivenza.Io resto a casa per tanti ha smesso da un pezzo di essere un necessario invito all’obbedienza. Siamo a casa, stiamo in casa, non c’è bisogno di troppi hashtag. Usciamo solo per necessità e consapevoli che ogni contatto con ambienti frequentati da tanti cittadini potenziali portatori del contagio, come noi, è un pericolo reale, che non ha senso sdrammatizzare se prima non se ne è colta la portata. Lo corriamo, quindi, questo rischio e non a cuore leggero. Ci è chiara la ratio dei provvedimenti, con tutte le critiche che si potrebbero fare e che ora non è il momento di muovere, non tutte insieme soprattutto. Non a danno dello scopo principale delle regole medesime: proteggere la salute e la vita di tutti.
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La “quarantena” per tanti significa solitudine ancora più intensa
Il cuore però si fa per tante persone più pesante perché la solitudine ad esempio affligge milioni di persone. Soli sono il 45,5 % dei cittadini milanesi, a Roma il 44. Sempre nella capitale gli anziani da soli sono 250mila (Corsera)
Ma c’è anche un’altra difficoltà che questa condizione di quarantena impropriamente detta genera ad una categoria precisa e per nulla ridotta di persone.
Famiglie con figli affetti da disabilità intellettiva o psichica
Sono circa 100mila i bambini e gli adolescenti in Italia interessati da disturbi autistici – e non l’unica specie di disturbo dello sviluppo ma una delle più invalidanti. Questi numeri significano altrettante famiglie che ora si trovano del tutto prive di quella rete di aiuti a cui, prima dell’emergenza coronavirus, potevano accedere e che significava sollievo per loro, possibilità di socializzazione e lavoro di riabilitazione, gioco, anche solo svago per i bimbi o i ragazzi.
Qualche DPCM fa il tema che impazzava su tutte le piattaforme era la questione runner. Si può andare a correre? Il decreto lo vieta? La medicina lo consiglia?
A forza di decreti si è decapitata anche l’istanza dello sport all’aria aperta. Certo che fa bene, certo che aumenta le difese immunitarie, che tira su il tono dell’umore oltre ai glutei. Ma ora ci sono altre priorità e non più considerabili in un illusorio, mai esistito realmente, interesse individuale, perché sono di tutti e insieme.
Resta invece per tutti fondamentale muoversi e magari prendere raggi solari diretti, aprendo le finestre di casa o uscendo in giardino per chi può. Non è la versione migliore di “vita all’aria aperta” ma è quello che possiamo ragionevolmente fare, per ora.
Una passeggiata per qualcuno è come una medicina salvavita
Eppure ci sono tante persone per cui uscire a fare due passi non solo è sideralmente più vitale che fare sport (pratica benefica, consigliabile, salubre. Quindi cerchiamo tutti di farne un po’ tutti i giorni, anche sul balcone, o sul tappeto in soggiorno) ma è quasi equiparabile all’assunzione di un farmaco salvavita. Un aiuto senza il quale il benessere generale della persona potrebbe decadere e compromettersi anche gravemente e trascinare in basso quello di chi se ne prende cura.
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Importanza della routine e del movimento per chi è affetto da gravi disabilità intellettive e psichiche
Le routine, le azioni stereotipate, le pratiche consolidate da anni e una certa quantità di movimento per alcune persone interessate da determinati disturbi sono di importanza vitale, in senso letterale.
E così adesso che l’emergenza non è passata ma almeno è chiara a tutti e le norme sono rispettate dalla maggioranza della popolazione, forse è giusto parlarne. Anche in considerazione del fatto che più a lungo si protrae questa privazione più incide sulla qualità dell’esistenza di persone già in partenza provate e vulnerabili.
Lombardia, Marche e Veneto hanno già risposto
Le persone con disabilità intellettiva, deficit comportamentali molto rilevanti e difficoltà cognitive gravi potranno passeggiare per strada durante l’epidemia di coronavirus. Lo hanno stabilito nero su bianco il 25 marzo, con decorrenza oggi, per il momento solo alcune amministrazioni locali come le giunte di Regione Lombardia e Regione Marche, territori tra i più colpiti dal Covid-19, precedute nei giorni scorsi da alcune ordinanze di pochissimi Comuni italiani.
Così riportava il Corriere già il 26 marzo, giovedì scorso. Mancano però ancora le disposizioni ufficiali del governo nazionale. Certe cose sono da fare in tempo, non quando è troppo tardi. E mai come in questo tempo che ci tiene tutti sotto scacco la sevizia della burocrazia, del moltiplicarsi di decreti attuativi, protocolli, certificazioni incrociate, sa di vero e proprio sopruso. Ne parlo avendone esperienza diretta anche “in tempo di pace”.
Le famiglie e le organizzazioni che tutelano i diritti delle persone disabili da giorni fanno pressing e lanciano appelli in tal senso, nella speranza che il Governo presto faccia qualcosa di concreto. La necessità urgente e non più procrastinabile per determinati soggetti maggiormente a rischio di poter fare una passeggiata, una semplice boccata d’aria in mezzo alla strada, un piccolo giro in bici o accompagnati in auto, mantenendo distanza di sicurezza e utilizzando tutti i Dispositivi di protezione individuale, è stata affrontata il 24 marzo con un post ad hoc su InVisibili. (Ibidem)
La Lombardia, dunque, e anche le Marche hanno risposto. Vi rimando per la disposizione completa del caso lombardo al link. Personalmente trovo che la richiesta di documenti da produrre anche in questo caso sia eccessiva e non motivata. Possibile che non si possa accedere a dati che sono registrati in banche informatizzate, a cui di sicuro la Regione può avere accesso? Possibile che ogni volta dobbiamo, noi genitori con figli disabili, uscire di casa con cariolate di fogli e un rimorchio di preoccupazione in più? Comunque, meglio di nulla, sia chiaro.
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Meno burocrazia, grazie!
Le stesse parole ricorrono in altre disposizioni, molto più agile mi è parsa la posizione della Regione Veneto.
Si stanno muovendo diverse regioni, sulla stessa linea, probabilmente per la maggiore facilità di dialogo tra associazioni ed istituzioni in un contesto locale.
Così conclude Benedetta Demartis, presidente dell’ANGSA, soddisfatta dei primi risultati ottenuti.
(…) Non vogliamo essere discriminati anche in questo ritenendoci speciali sulle disposizioni e i vari provvedimenti stabiliti in queste settimane sulla sicurezza pubblica. Siamo i primi a voler tutelare non solo i nostri figli con autismo ma tutti i cittadini”.
“Questa attenzione particolare ci fa molto piacere ma vogliamo sottolineare una volta per tutte che per noi è una questione vitale, non certo il frutto di paranoie o timori infondati”. (Ibidem)