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Partorire da sole fa paura, ma noi la speranza la sentiamo scalciare!

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Giovanna Binci - pubblicato il 23/03/20
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Molte donne, oggi, per le restrizioni dovute al Coronavirus, si trovano ad affrontare da sole il delicato momento del parto. Eppure, la vita che non si ferma, ci ricorda che non possiamo continuare ad aspettare il “momento giusto” per essere felici.Se me lo avessero detto nove mesi fa, cosa mi sarei trovata a vivere proprio alla fine della gravidanza, in un momento già delicato di per sé, pieno di ansie e paure non richieste, non so come avrei reagito. Se me lo avessero predetto che questo non sarebbe stato il momento migliore per essere incinta all’ottavo mese, che avrei partorito da sola, che nessuno mi sarebbe venuto a trovare, che mia figlia piccola non avrebbe visto la sorellina che tanto aspetta e la mamma da cui non si è mai separata per più di mezza giornata, per tre giorni, la verità è che non sarebbe cambiato nulla.

Ho sempre creduto che la vita non possiamo metterla in stand by, che la Provvidenza va oltre quello che può essere il momento giusto, il tempo giusto secondo noi. Che se continuiamo anche oggi, in questo isolamento, a vivere sognando e pianificando solo quello che faremo, recupereremo, rivaluteremo, compreremo quando tutto tornerà alla normalità, allora significa che questo Coronavirus non ci ha cambiato per niente. Che non abbiamo imparato nulla perché continuiamo imperterriti a vivere in quella dimensione di “mi manca questo per…” che, in fondo, è la stessa in cui siamo da sempre immersi. Sempre a un metro o anche meno dalla felicità.


DOCTOR, MASK,
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Partorire non è facile. Partorire ora, che la policy “nessun accompagnatore” bloccherà mio marito alla porta del Pronto Soccorso, mi spaventa, certo, ma sono anche grata: per me non è la prima volta intanto (questo non vuol dire nulla, lo so, ma lasciatemi credere che sarà almeno più veloce e io più brava a gestirlo!), ma soprattutto, per me quella luce che è speranza, che è lieto fine, che è dono immenso è tangibile. La porto dentro, posso sentirla scalciare, per ricordarmi cosa c’è oltre il dolore e la paura. Per darmi forza anche durante il momento del travaglio.

Sono grata perché proprio oggi, in quei Pronto Soccorso, entrano persone impaurite, sole, che quella speranza fanno fatica anche solo a vederla, magari.

Partorirò da sola e nonostante la fiducia nelle ostetriche e nel personale che sarà presente, non è questo che avrei scelto. Le incertezze sono tante, le complicazioni e le variabili infinite (…e per fortuna la policy di questa gravidanza è stata niente video Youtube a tema parto né domande sui gruppi per mamme di Facebook) e mi manca già a pensarci ora il conforto di una mano che conosco, che non può fare niente di più che esserci, ma solo chi ci è passato sa quanto vale quel “niente”. Non sono coraggiosa, non lo sono mai stata e il parto tira fuori il peggio di me, le domande, la paura di essere il caso sfortunato, quella statistica bassa, ma mai come quando tocca a te, reale. Passo da un “andrà tutto bene”, “dai (quasi) nessuno muore di parto” al compilare la lista delle schifezze che mi porterò in sala travaglio per darmi una calmata…e mangiarle pure che tanto l’ultimo controllo del peso ormai è andato. Come se poi riuscirò a decidere tra una contrazione e l’altra tra Kinder Bueno e patatine rustiche.



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Mi chiedo se qualcuno sarà lì a scartarmi lo snack, ad aiutarmi a trovare una posizione comoda, se qualcuno mi ricorderà di andare in bagno come ha fatto mio marito al primo travaglio, se qualcuno si prenderà cura della mia paura. Ma alla paura non c’è una cura vera. Dobbiamo attraversarla e siamo sempre soli nel farlo, purtroppo. Per questo dobbiamo a tutti i costi fissare lo sguardo sulla luce in fondo al tunnel e non ripiegarlo su noi stessi, sul nostro dolore. Per questo mi sento privilegiata ad avere qualcosa a cui aggrapparmi, come quell’incontro tanto atteso da nove mesi che sa di dono e di grazia. Spero che questa esperienza insolita mi ricordi di non abbandonare quella speranza mai, anche se in futuro dovesse arrivare la malattia e dovessi attraversare tunnel più lunghi e bui.

E’ un privilegio portare la vita e accoglierla così come è, senza feste di parenti, calore della famiglia, fiori e sorrisi in un momento così difficile, così inopportuno quasi, quello che di sicuro non avresti scelto, dove un nuovo inizio ci ricorda sfrontatamente che c’è qualcosa che si chiama “domani” ed è un dono da accogliere sempre, a braccia aperte, oltre tutti gli imprevisti.