Il Papa nel pomeriggio di domenica 15 marzo ha lasciato il Vaticano in forma privata e si è recato in visita alla Basilica di Santa Maria Maggiore, e poi alla Chiesa di San Marcello dove si trova un crocifisso miracoloso
Questo pomeriggio (15 marzo) Papa Francesco ha lasciato il Vaticano in forma privata e si è recato in visita alla Basilica di Santa Maria Maggiore, per rivolgere una preghiera alla Vergine, Salus populi Romani.
«Successivamente, facendo un tratto di Via del Corso a piedi, come in pellegrinaggio, il Santo Padre ha raggiunto la chiesa di San Marcello al Corso», per pregare per «la fine della pandemia». Lo riferisce il direttore della sala stampa vaticana Matteo Bruni.
Nella chiesa di San Marcello al Corso, infatti, si trova il Crocifisso miracoloso che nel 1522 venne portato in processione per i quartieri della città perché finisse la ‘Grande Peste‘ a Roma (La Repubblica, 15 marzo).
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Cosa accadde nel 1522
Quando Roma viene flagellata da questa terribile epidemia, «il popolo porta il crocifisso in processione, riuscendo a vincere anche i divieti delle autorità, comprensibilmente preoccupate per il diffondersi del contagio». Il crocifisso viene portato per le vie dell’Urbe verso la basilica di San Pietro. La processione dura «16 giorni: dal 4 al 20 agosto del 1522. Man mano che si procede, la peste dà segni di regressione, e dunque ogni quartiere cerca di trattenere il crocifisso il più a lungo possibile».
Al termine, al momento del rientro in chiesa, «la peste è del tutto cessata. A partire dal 1600, «la processione dalla chiesa di San Marcello alla basilica di San Pietro è diventata una tradizione durante lo svolgimento dell’Anno Santo».
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Un’ora e mezza
L’intenzione di Papa Francesco, ha aggiunto Bruni, «si è rivolta anche agli operatori sanitari, ai medici, agli infermieri, e a quanti in questi giorni, con il loro lavoro, garantiscono il funzionamento della società».
È durata circa un’ora e mezza l’uscita, con cui il Papa ha voluto testimoniare ancora la sua profonda vicinanza con chi sta soffrendo, con chi sta curando, sta lavorando e sta avendo paura (La Stampa, 15 marzo).
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