In questa normalità stravolta non c’è solo la paura ma anche la nostalgia: il dolore che sentiamo nella lontananza da qualcuno, che è misura dell’amore che ci lega. E il Signore non mancherà di farsi presente accanto a noi.di Anna Mazzitelli
Incurante del coronavirus la primavera sta riempendo gli alberi di nuove foglie, di gemme e di fiori.
Come quando passavamo le nostre primavere dietro i vetri sigillati di un padiglione del san Camillo, con il tempo sospeso, e fuori invece la vita andava avanti senza di noi.
Ma a parte la natura che sembra non accorgersi di nulla, tutto il resto è come congelato.
Niente scuola, niente catechismo, niente incontri, distanza di sicurezza, palestre chiuse, cinema chiusi, e nessuno si lamenta nemmeno più.
È uno stato di guerra.
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E sì che spesso me ne sono uscita con la frase “ci vorrebbe un po’ di guerra per sistemare questo mondo che sembra andare allo sfascio”… eccomi accontentata.
Ma oggi ho il cuore spezzato, perché hanno deciso di chiudere anche le chiese. Hanno deciso di sospendere le messe.
Stamattina a messa non ho fatto che piangere, e anche se non è una novità che mi faccio tutta la messa in lacrime, oggi erano lacrime di panico all’idea che potesse essere, almeno per il momento, l’ultima messa alla quale potevo partecipare, l’ultima comunione che potevo ricevere, chissà fino a quando.
E pensare che proprio stamattina ho detto alle mie amiche Chiara e Cristina che le avrei portate a messa con me, loro e tutti i loro amici, i loro affetti, loro che già da qualche settimana sono in un regime di messe sospese. Non pensavo, quando dicevo loro quelle cose, che di lì a poche ore mi sarei trovata io stessa in questa situazione: niente messa, niente Eucaristia.
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Proprio in questo momento in cui le discussioni sulla messa e sulla liturgia sono pane quotidiano, a casa nostra, eccoci al punto in cui nessuna messa, nessuna liturgia ci è concessa.
Un sogno fatto stanotte, che ho raccontato solo alla mia amica, perché solo lei crede nei sogni come ci credo io, mi conforta: non importa quale messa, quello che importa è con chi e con Chi ci vai, chi e Chi incontri, e quanto questo incontro ti raggiunge il cuore, ti toglie il sasso che hai al suo posto, e ti regala un cuore di carne.
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Ho sentito parlare di umiltà, in queste ore, e sebbene non sappia proprio che cosa sia, comprendo che ha a che fare con lei, la capacità di non perdersi in questa situazione.
E mi risuona in testa la parola nostalgia, come il dolore che sentiamo nella lontananza da qualcuno, che è misura dell’amore che ci lega, un dolore buono, quindi, un dolore che è pieno di significato.
Eppure, nonostante la fiducia nella promessa, il ricordo che tante volte, in passato, è andata così -sembrava tutto perduto, e invece era solo l’inizio di qualcosa di migliore- la certezza che questa difficoltà sia preparazione a un bene più grande, e che il Signore non si farà scappare questa opportunità per trovarci, e raggiungerci, ovunque ci andiamo a rintanare, resta la paura, perché è inutile che ci prendiamo in giro, la croce è croce, e nessuno la vuole, nessuno la porta volentieri, e finché ci stai sotto non pensi ad altro che al momento in cui riuscirai a liberartene.
E’ così difficile vivere la morte e la resurrezione contemporaneamente, il dolore e la letizia, il caos e l’ordine, lo strazio e la bellezza insieme.
Magari è arrivato il momento in cui mi è chiesto di imparare davvero a stare. Stare, senza poter fare niente, ma stare, senza fuggire. Stare.
Ecco che la parola “umiltà” prende una forma più comprensibile. Stare senza poter fare niente, senza la pretesa di cambiare le cose e senza la presunzione di capirle o giudicarle, stare e basta.
Quanto incessantemente bisogna pregare per poter essere così?
QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO SUL BLOG PIOVONO MIRACOLI