Da vero punk, in lotta aperta con le convenzioni, in aperta sfida con la realtà che se non risponde allora io la ribalto, si è convertito. Ma dopo; prima ha incontrato fratel Ettore, mangiato pizza con il minestrone, distribuito Vangeli tascabili, pregato rosari biascicati con i suoi poveri.Da quando lo conosco appena so che scrive qualcosa corro a leggerla. Se ho la mente piena di pensieri raffermi, se lo sguardo si è paralizzato su schermi che non raccontano più nulla e posso leggere un libro o un articolo anche breve di Emanuele Fant so che poi starò meglio. Perché sentirò più forte bruciare la realtà sotto i piedi, mi ricorderò dell’enormità delle cose, della loro promessa così violenta, dell’ostinazione del quotidiano che sembra nascondere la bellezza e invece è il corriere che te la consegna in casa, senza costi aggiuntivi. E così, quando Annalisa Teggi ha avuto l’intuizione di questo progetto, ecologico nel senso più radicale possibile, ho pensato anche io a quale voce andare a chiamare per sentire la sua di parola, per vedere gettare la sua, di gemma. E questa, Misericordia, spaccata nei suoi arti che ne fanno un corpo vivo e declinata nel modo meno stucchevole che si possa immaginare, è la più sovversiva che abbia incontrato.
Di Emanuele Fant
Chi sono oggi. Sono un prof di italiano al liceo, sono un marito e un papà, invento spettacoli teatrali e scrivo. L’avventura più coinvolgente che sto vivendo ora, è la progettazione di uno spazio per i ragazzi delle scuole superiori della mia città (Saronno). Sarà un luogo mai visto prima, con una radio, una piccola officina, un bar, un teatro e spazi per studiare. Un posto per stare insieme, sperimentare con le mani, incontrare dei maestri e farsi domande estreme.
Le esperienze che mi hanno segnato e fatto fiorire. Sono stato un aspirante punk per tutta la giovinezza. Io e i miei amici avevamo una piccola band, portavamo creste e vestiti laceri, facevamo musica volutamente inascoltabile e ci è capitato persino di ricevere monetine e bulloni dal pubblico (il punto più alto della nostra carriera). Il punk è la percezione dell’Apocalisse, il suo slogan è “no future”. Il punk è non accettare le cose come stanno, sentire la necessità di ribaltare la realtà, senza comprenderne precisamente il motivo. Il punk è, soprattutto, provocazione. È la necessità di gridare il proprio disappunto, avvertendo che quello strillo rauco potrebbe essere anche l’ultima occasione per farlo.
Poi, per alcune coincidenze, mi sono ritrovato a frequentare le comunità di fratel Ettore Boschini, il frate che a Milano salvava i barboni dalla strada. Sono luoghi estremi, pieni di cattivi odori e di rosari biascicati, dei veri monasteri per poveri. Si conduce una vita orgogliosamente povera, fatta di preghiera, affidamento e parecchio lavoro.
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Fratel Ettore, senza sapere bene chi ero, né che ci facevo al suo seguito, mi ha chiesto di fare alcune cose folli, come costruire un muro perimetrale del suo nuovo capannone, mangiare una fetta di pizza con sopra il minestrone spalmato, dire il rosario in un altoparlante in piazza Duomo mentre lui ammoniva le persone scandalizzate.
Un giorno, mi ha scaricato con la sua automobile eccentrica (aveva una statua della Madonna fissata sul portapacchi) in piazza Cordusio, chiedendomi di distribuire ai passanti del Vangeli tascabili. Ne aveva il bagagliaio pieno.
Notai che la reazione dei passanti era più stizzita di quella dei quattro spettatori che assistevano ai nostri concertini. Di fronte a questa evidenza, io non mi sono convertito, ma ho perfezionato la mia attitudine alla provocazione, riconoscendo che non esiste nulla di più esplosivo del Vangelo. E mi sono innamorato dell’unica proposta estrema che invece di ammazzare nutre e salva.
La parola che la vita mi ha insegnato. Misericordia.
Misericordia è lo sguardo laser di chi, nonostante gli stracci, vede sotto una persona.
In Misericordia ci sono i “miseri”, ovvero i poveri più gravi, quelli che si siedono sulla banchina della stazione e non si vogliono più alzare, ma anche quelli vestiti bene, convinti che in cielo non c’è nessuno che si occupi di loro.
In Misericordia ci sono i “ricordi”, ossia la mia storia, che non si è cancellata con un colpo di spugna con la conversione, ma ha trovato una sistemazione sensata, si è sublimata e ha acquisito di senso.
Il gesto di Misericordia verso di me è stata la violenza con cui fratel Ettore è entrato nella mia vita, lo scossone necessario per rimettermi in contatto con una realtà sempre più immotivata e lontana. Solo nel rapporto con ciò che esiste si può indagare il proprio senso senza barare. Se le domande più importanti si attorcigliano nell’astrazione, si può finire strozzati. Ma per fortuna in Misericordia c’è anche un “cor”, ovvero il cuore, che può riprendere, in ogni momento, a palpitare.