“Dobbiamo parlare!” non è sempre la soluzione a tutti i mali. Il dialogo di coppia è sano se prima che bocca e orecchie siamo pronti ad aprire il cuore, all’accoglienza dell’altro e alla meraviglia.di Marco Scarmagnani
Sarebbe stato logico iniziare questo capitolo con un breve trattato sul dialogo, ma ho pensato che sul dialogo si è già detto molto e che spesso viene sopravvalutato. Mi spiego: dia-logos, un “discorso fra”. Quante volte il dialogo diventa fonte di fra-intendimento piuttosto che di comprensione? Quante volte vorreste spiegarvi e il vostro dialogo si trasforma in un ping-pong tra due sordi? Il rischio che il dialogo diventi l’anticamera di un conflitto è molto alto. Succede quando le parole si mettono – appunto – fra – in mezzo – a voi. Se le parole diventano un muro anziché un ponte. Succede… a volte è lei che ha il mito del «dobbiamo parlare», espressione che atterrisce ogni uomo; ma altre volte è lui la cintura nera del logos, che con la sua mente sequenziale – «adesso ti spiego io» – vuole scandagliare e sezionare ogni pezzo di discorso e di ragionamento, rilevandone le contraddizioni e rimuovendole come un chiururgo, spesso incurante di lasciare le ferite aperte di un “discorso” che può essere giusto ma senza amore.
Con questo non voglio dire che il dialogo sia in assoluto da evitare, anzi, ma che – prima – nella coppia occorre allenare altre modalità di comunicazione.
Credo che il bisogno maggiore sia di confidenza, di intimità psicologica. Il bisogno profondo, nella coppia, è di potersi rivelare, di poter parlare apertamente, e al tempo stesso di riuscire a meravigliarsi per quello che l’altro sta rivelando.
Un’arte nella quale – viene da sé – si allenano più le orecchie che la bocca. Forse sarebbe meglio dire che si allena il cuore perché le orecchie sono sì l’organo preposto alla ricezione dei suoni, ma – l’avrete sperimentato – udire è diverso da ascoltare, che è ancora diverso da comprendere e amare.
Allora il consiglio è quello di allenarsi a confidarsi e ad ascoltare l’altro.
Allora gli inviti minacciosi al dialogo, al pericolo di costruire-un-muro-fra, potrebbero trasformarsi in inviti più dolci, più… umani: «Avrei bisogno che mi ascoltassi», dirà lei; «Vorrei provare a dirti come la vedo io» dirà lui.
Così il parlare diventerà il luogo del fluire profondo, in cui io spiego un concetto ma soprattutto sto dicendo qualcosa di me.
Questa forma di comunicazione necessita di:
- in-tenzione da parte di chi parla. In-tenzione è un “tendere verso”, rivolgersi a, e presuppone l’assunzione di responsabilità di quello che si dice, del come lo si dice
- at-tenzione da parte di chi ascolta. Che è un’altra responsabilità, di “tendere” metaforicamente l’orecchio e in fondo tutto il proprio essere, di rimanere vigili e attivi nel processo di ascolto, di non distrarsi
Eh, sembra facile!
- Quand’è l’ultima volta che ti sei sentito/sentita ascoltata dal tuo partner?
- Quand’è l’ultima volta che hai ascoltato senza interrompere, nemmeno mentalmente?
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Vi suggerisco allora un piccolo schema per allenarvi a confidarvi:
- Chi ha la necessità di comunicare qualcosa, prenda l’iniziativa e inviti l’altro.
- Condividete la voglia di sperimentare una comunicazione più profonda: se non si è entrambi ben disposti a questo esercizio, è meglio rimandare.
- Scegliete un tempo e uno spazio nel quale sapete di non essere disturbati: ovviamente non possiamo pensare di poterci parlare a fondo con i bambini che ci interrompono, il cellulare acceso, la TV. Decidere preliminariamente il tempo da dedicarvi può essere utile e rassicurante soprattutto le prime volte. Potete inizare prendendovi 15 minuti, dei quali 5 minuti (quelli centrali) dedicati a parlare.
- Fondamentale: chi parla parla e basta, chi ascolta ascolta e basta!
- Non verbale: state vicini, toccatevi, cercate il contatto visivo, senza insistenza. Questo vi aiuterà molto.
- Il cuore: il cuore è il nostro muscolo cardiaco ma è anche simbolicamente la sede dei nostri sentimenti più buoni. Mentre iniziate, provate a pensare che ad ogni respiro il vostro cuore si espande. Si espande per parlare con amore; si espande per accogliere con amore.
- Per chi parla: può iniziare con qualcosa di positivo, in genere dà un buon registro alla relazione. Poi può esprimere quello che sente: un suo pensiero, una emozione, un turbamento, una preoccupazione. L’obiettivo è quello di parlare di sè. Quindi questo non è il momento per attaccare, giudicare, interrogare. Questa è un’altra cosa, lo farete casomai in un altro momento.
- Per chi ascolta: ascoltare con attenzione significa lasciar adagiare in sè quello che il partner sta rivelando. Si tratta di un ascolto “vuoto”, cioè di fare spazio all’altro. In questo luogo di vuoto sospendo il giudizio, ovviamente non interrompo (5 minuti!), ma cerco di sospendere anche la tentazione di rispondere mentalmente. Se non l’avete mai provato vi sembrerà difficilissimo, ma vedrete quanto è rilassante ascoltare senza sprecare le energie per dare risposte, punteggiature, consigli, tra l’altro non richiesti.
- «Grazie»: alla fine potete ringraziarvi. Per quello che vi è stato detto, e per essere stati ascoltati.
Questa modalità non va usata per ogni comunicazione della vostra vita, è un momento speciale e come tale deve rimanere.
Ci saranno ancora le incomprensioni, i litigi, le accuse, ma se vi allenate a confidarvi diminuiranno, e soprattutto potrete affrontare le fatiche con le batterie cariche. La carica che si riceve dal registrare in memoria che in un piccolo spazio del mio cuore, con quell’essere difettoso che ho a fianco, siamo stati per qualche istante in Paradiso.
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