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Il Santo che salvò mago Merlino e a cui è intitolato l’ospedale di Harry Potter

MERLIN
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Una penna spuntata - pubblicato il 06/02/20
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A metà tra storia vera, quella di San Ketingern, conosciuto in Scozia come San Mungo, e la leggenda che vede protagonista un Mago Merlino che si converte alla fine della sua vita. E a chi altri la Rowling poteva intitolare l’ospedale dei maghi in Harry Potter?C’era un umanoide nudo che correva fra i cespugli.
Sì: c’era decisamente un umanoide nudo che correva fra i cespugli, berciando ad alto volume.
San Ketingern fece uno sforzo eroico per concentrarsi sulla preghiera, ma capì presto che non era cosa… anche perché i diaconi e gli accoliti stavano ridacchiando come cretini; e come dargli torto, in fin dei conti?
Peraltro, l’umanoide nudo aveva appena interrotto la sua folle corsa per grattarsi una chiappa.
“Ma che è?”, domandò San Ketingern.
Sentendo sdoganata la loro ilarità, i diaconi e gli accoliti si sfogarono con una risata collettiva. Ketingern aggrottò le sopracciglia, lanciando un’occhiata indagatrice al coso nudo e urlante. “No, dico sul serio: ma che è? Non riesco a capire se è un uomo peloso o una scimmia glabra”.
I ragazzi attorno a lui risero più forte. Un diacono, che era originario di quelle zone, tossicchiò per schiarirsi la voce e tentò disperatamente di assumere un tono professionale: “è un uomo, signor vescovo. È chiaramente un pazzo. È così da anni. Vive nel bosco in mezzo alle fiere, si esprime a versi… è piuttosto innocuo, però. Non dà fastidio alcuno”.
Il coso nudo stava fiutando l’aria, di lontano. Sembrava provare un certo interesse verso quegli uomini riuniti lì in mezzo alla radura. Ketingern fissò il diacono, poi il pazzo esibizionista, poi di nuovo il diacono. “Ma qualcuno, dei paesi vicini, ha provato ad aiutarlo?”.
Il ragazzo si strinse nelle spalle. “Onestamente, non che io sappia…”.
Il vescovo si appoggiò al pastorale, con aria pensierosa. Si mordicchiò le labbra per qualche istante, come riflettendo, e poi cacciò un urlo che fece trasalire tutti i presenti. “TU!” – gridò, rivolto allo strano umanoide – “Per il potere infusomi dal Padre, dal Figlio, e dallo Spirito Santo, io ti ordino – bestia o uomo che tu sia – di avvicinarti a me. Nessun male ti verrà fatto! E ti ordino – se qualche lume rischiara ancora il tuo intelletto – di raccontarmi chi sei e da dove vieni, e se ti professi figlio del solo Dio, e come mai vaghi per il bosco in questo stato”.

Tutti quanti trattennero il fiato.
Non successe un bel niente.
L’umanoide nudo lanciò un’occhiata a Ketingern, con l’aria di pensare ‘e mo’ che vuole, questo?’.
Il vescovo e il coso peloso si fissarono per lunghi istanti – e poi, proprio mentre il religioso abbassava il capo con un sospiro di sconfitta, il bestione cominciò a zampettare verso di lui.
“Sono cristiano”, disse con la voce roca di chi non parla da tempo – e tutti sgranarono gli occhi, allo scoprire che in quel corpo zozzo, nudo e peloso albergava ancora, chissà dove, un minimo di intelletto. “Sì: sono cristiano”, ripeté il pazzo, “anche se indegno di definirmi tale. Sconto le mie pene vivendo fra le belve feroci, poiché i miei peccati sono così grandi da costringermi a questo esilio. Fui la causa della disfatta che portò alla morte tanti guerrieri valorosi nella tragica battaglia che ebbe luogo fra Lidel e Carwannok: da quel giorno attendo la morte vivendo con le belve della foresta, gli unici compagni di cui sono degno”.
E subito dopo aver finito di parlare, spiccò un balzo e scappò via, correndo a grandi falcate verso il bosco.

Il vescovo e i suoi discepoli rimasero immobili per trenta secondi abbondanti.
Poi, Ketingern lanciò un’occhiata attonita al giovane diacono che aveva mostrato di conoscere la storia del folle – e il ragazzo, dal canto suo, si strinse nelle spalle scuotendo il capo. “Non è vero niente”, mormorò con un sospiro. “A quanto dicono in paese, questo poveraccio altri non è che il bardo Lailoken: era il bardo di corte di re Gwenddoleu, lo ricorderete. Quello che è stato tragicamente sconfitto nella battaglia di cui parlava il folle. Ma lui”, insisté il ragazzo, “era un povero bardo di corte, non vedo in che modo possa essere stato responsabile della sconfitta. Dicono che fosse stato portato in battaglia per incoraggiare le truppe col suo canto, e che sia completamente uscito di senno dopo aver visto gli orrori della guerra e aver assistito alla morte dei compagni. Io ritengo che sia un povero innocente”, sospirò: “e che Dio abbia compassione per la sua anima…”.
San Ketingern abbassò lo sguardo – un po’ perché gli sembrava il caso di assumere un’aria solenne, e un po’ perché voleva nascondere ai ragazzi i suoi occhi diventati lucidi. Ascoltare la storia di quel pover’uomo – un innocente ridotto alla follia dalle barbarie della guerra – gli aveva causato una specie di stretta al cuore… che non svanì nemmeno negli anni successivi, quando Lailoken il folle diventò una specie di bizzarro vicino di casa.

Sì: perché il bosco in cui Lailoken scontava i suoi peccati, si affacciava su una radura spaziosa, appartata, ricca di terra fertile. Il luogo perfetto su cui edificare un monastero.
E così aveva fatto Ketingern, sorvegliando in prima persona la costruzione di una casa che, anni più tardi, avrebbe suscitato la benevola invidia di Colombano e degli altri monaci che seguivano la regola di San Benedetto.
E così, il monastero era stato edificato; e quella maestosa costruzione aveva suscitato l’interesse del vecchio folle che viveva nei boschi – e che, periodicamente, fuoriusciva dalla foresta per aggirarsi con fare circospetto attorno alle mura della chiesa. Talvolta, sedeva in mezzo al prato e ululava alla luna, come fanno le belve feroci; altre volte, strisciava fino alla portineria del convento, e i monaci, impietositi, lo sfamavano con una ciotola di latte e con qualche tozzo di pane secco. In alcuni rari casi, era capitato che San Ketingern riuscisse a intavolare col folle qualche breve conversazione; ma il vecchio sembrava incapace di conservare il filo del discorso per più di pochi minuti. Proprio quando Ketingern cominciava a illudersi di essere riuscito a far breccia nell’animo sofferente dell’eremita folle, questi cominciava a prodursi in versi senza senso, si lasciava andare a movimenti animaleschi, o scappava via nei boschi.
Col passar del tempo, chiacchierando con la gente dei villaggi confinanti, Ketingern era riuscito a scoprire qualcosa di più sulla vita di Lailoken: correva voce che il vecchio bardo fosse nato a seguito di una violenza che un demone dei boschi aveva usato a una giovane vergine. Subito dopo il parto, la fanciulla era corsa da un prete cattolico per far battezzare il neonato, ma il rito sacro sembrava aver contrastato solo in parte la natura demoniaca del figlio. A parte la follia che l’aveva afflitto in età avanzata, Lailoken, infatti, era sempre stato un diverso, dotato di poteri in parte straordinari e in parte spaventosi. In paese si vociferava che, prima di impazzire, il bardo Lailoken avesse goduto del dono della profezia; e proprio questo – si diceva – lo aveva reso un favorito di numerosi re e cavalieri, che lo avevano voluto loro fianco per sfruttarne le incredibili doti.
Poteva trattarsi di storie vere o poteva trattarsi di leggenda: è ovvio. Ma ogni volta che Ketingern, affacciandosi alla finestra della sua cella, intravvedeva in lontananza la sagoma di Lailoken, il vescovo si sentiva prendere come da una stretta al cuore. Tanta intelligenza, tanta astuzia, tanti doni del Creatore – e fors’anche tanta gloria – affogati per sempre in una follia cupa senza ritorno.


HARRY POTTER
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Quella mattina, tutto cominciò con un ululato straziante nel bel mezzo della Messa.
Il vescovo ostentò indifferenza e il ragazzo che stava cantando il salmo proseguì senza interrompersi – ma gli ululati aumentarono di volume, ed improvvisamente qualcuno cominciò a sferrare colpi contro la porta chiusa della cappella.
Ketingern si strinse la punta del naso con il pollice e il medio in un disperato tentativo di conservare la calma, e ordinò ai suoi confratelli di proseguire come se niente fosse.
La Messa andò avanti per altri cinque minuti e i colpi dall’altra parte del portone crebbero di intensità, alternandosi a ululati disperati e gemiti di bestia ferita.
Dopo altri cinque minuti di quella solfa, il vescovo decise che era giunto il momento di porre fine a quell’agonia, si chinò verso un novizio, e sussurrò: “è Lailoken il pazzo, ne sono certo. Vallo a prendere e portalo via, prova ad attirarlo con un po’ di cibo…”.
Il novizio ubbidì e di dileguò nell’oscurità della navata, e Ketingern s’illuse di poter ricominciare a officiare una Messa decente. Con fare ieratico, e con un sorrisetto soddisfatto, si stava per l’appunto avviando verso l’altare…
…quando, improvvisamente, Lailoken il pazzo – completamente nudo, e più assatanato del solito – fece irruzione nella cappella, correndo verso l’altare come colui che sta scappando dalle fiamme dell’Inferno.
Ci furono urla, e molti monaci si ritrassero spaventati. Persino Ketingern, colto alla sprovvista, si portò una mano al cuore – e ci fu una frazione di secondo in cui il vescovo fissò il pazzo e il pazzo nudo fissò il vescovo con uno sguardo inquietantemente voglioso, e Ketingern fece istintivamente un passo indietro come a voler proteggere il Tabernacolo, e a quel punto il pazzo nudo e assatanato cadde in ginocchio davanti all’altare, e gridò: “Vescovo! Voglio ricevere il corpo di Cristo!”.

Ci furono dieci secondi abbondanti di silenzio attonito. Poi, dai loro banchi, i monaci cominciarono a mormorare commenti a bassa voce e Ketingern tentò disperatamente di dire qualcosa di intelligente, uscendosene in realtà con un gracchiante “prego?”.
Il pazzo nudo e inginocchiato chinò il capo così tanto da farlo toccare i gradini dell’altare, e gridò ancora: “il corpo di Cristo! Sono Cristiano anch’io! E voglio mangiare del corpo di Cristo, prima di morire!”.
Ketingern aprì la bocca e la richiuse senza aver detto niente, e frattanto sentì la rabbia che montava. “Adesso basta”, gridò alla volta di Lailoken. “Interrompere una Messa e irrompere nudo in una chiesa pretendendo di accostarti al Santissimo: hai superato ogni limite, e da questo momento in poi non sarai più ben accetto al monastero”.
“No!”, gridò il pazzo – e sembrava davvero disperato – “tu non puoi negarmi questo, devi credermi: io sono un profeta, e ti dico che sto per morire. Ti chiedo solo di poter ricevere il corpo di Cristo… prima di morire… ti prego…”.
Ketingern alzò gli occhi al cielo per invocare un po’ di pazienza, ma fu sorpreso nel notare espressioni dubbiose, quasi compassionevoli, negli occhi dei suoi confratelli. Sembravano in qualche modo essere colpiti dalle parole del pazzo – e in effetti, realizzò Ketingern con una frazione del suo cervello, il pazzo dei boschi era notoriamente ammantato da una fama di profeta.
Il giovane che serviva all’altare lanciò uno sguardo al vescovo, e sussurrò timidamente. “Padre. E se fosse vero…?”.
Ketingern deglutì. Chiaramente, non poteva destare scandalo nella sua comunità cacciando via dalla chiesa un individuo che alcuni fratelli ritenevano degno. Esitò per qualche istante, e poi ebbe un’idea: “sentiamo”, chiese in tono sarcastico, rivolto al pazzo: “visto che dici di essere un profeta, sai anche dirci in che modo stai per morire?”.
“Sì, padre mio, sì!”, gridò Lailoken, che era over-eccitato in maniera piuttosto inquietante. “Degli sgherri mi faranno ubriacare, e poi mi uccideranno a tradimento bastonandomi fino alla morte”.
“…perdona”, sibilò Ketingern, “non ho sentito. Potresti ripetere in che modo morirai?”.
Stavolta, fu il vescovo a ricevere occhiate sconcertate da parte di tutti i monaci, ma lui si limitò a fissare il pazzo per fargli intendere che stava aspettando una risposta.
“Cadrò su un palo affilato e morrò per le ferite”, singhiozzò Lailoken, ancora in ginocchio davanti all’altare.
Dai banchi si levò un mormorio, e Ketingern sorrise di un sorriso amaro. “Vedete? Sragiona…”, sussurrò piano a quelli che gli stavano vicino.
“E affogherò, mio signore: morirò affogato fra poche ore, e voi non potete mandarmi incontro alla morte senza avermi fatto la grazia di farmi accostare un’ultima volta al corpo di Cristo!”, urlò il pazzo, col volto rigato dalle lacrime.
Se la materia non fosse stata grave e se la disperazione del vecchio non fosse stata evidente, Ketingern avrebbe persino avuto voglia di ridere. Rimase fermo per qualche secondo, guardando il folle che singhiozzava accucciato davanti all’altare; poi gli si avvicinò, si chinò su di lui, stese una mano per carezzargli i capelli, e disse piano, con dolcezza: “Lailoken… ragiona…”.
Lailoken sfuggì la carezza quasi con rabbia, e fissò il vescovo con uno sguardo che stava a metà fra la disperazione e l’odio. “No! Questa volta siete voi a dover ragionare, padre, e ve lo dice un pazzo! Quante altre torture dovrò subire, quante altre pene dovrò infliggermi e vedermi inflitte? Vivo da decenni nella penitenza, ho fatto tutto ciò che era in mio potere per scontare i miei peccati, e ora debbo vedermi negare gli estremi riti proprio da colui che dovrebbe essere servo di Dio? Nemmeno le belve del bosco mi avrebbero riservato un trattamento simile”, e gridando si aggrappò ai paramenti del vescovo, scuotendolo con rabbia. “Io vi dico che sto per morire, poche ore di vita mi rimangono, e tutti nel paese possono assicurare che posseggo veramente il dono della profezia! So che mi pensate un pazzo, ma io so – e vi giuro – di essere degno di ricevere il corpo di Cristo, e voi non potete allontanarmi da questa chiesa senza avermi dato la grazia… un’ultima volta…”.
E c’era qualcosa di veramente disperato, nello sguardo del vecchio pazzo; e c’era anche una scintilla di lucida consapevolezza – qualcosa che Ketingern non aveva mai visto in lui, fino a quel momento…‘E se fosse vero?’.
La domanda del suo confratello riecheggiò nella mente di Ketingern – e il vescovo, pallidissimo, deglutì. Fissò a lungo Lailoken e s’illuse di vedere davvero, nel suo sguardo, quella scintilla di ragione che gli era parso di intravvedere… e poi, si rimise in piedi. “Sta bene”, disse con un fil di voce.

Il vescovo non trovò pace quel giorno, e la notte non riuscì a chiudere occhio, divorato dall’incertezza e dai sensi di colpa.
In fin dei conti, cos’è peggio? Permettere a un pazzo conclamato di accostarsi all’Eucarestia? O negare la Comunione a un malato, che sembra però avere alcuni sprazzi di disperata lucidità?
No: Ketingern non dormì, quella notte; e pianse a lungo, fino a farsi gonfiare gli occhi.



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Poi, l’indomani mattina, gli giunse la notizia.
Re Mordred si era messo alla caccia di Lailoken, che, in passato, aveva prestato i suoi servigi alla corte di re Artù. Per indebolire il suo più acerrimo nemico, Mordred aveva dato ordine che fossero uccisi senza pietà tutti coloro che gli stavano attorno – e fu così che gli sgherri del sovrano scovarono Lailoken, riuscirono a stordirlo con qualche sostanza inebriante, e poi lo colpirono con ripetute bastonate finendo col gettarlo giù dal burrone su cui si affaccia il forte di Dunmeller. Precipitando verso terra, il corpo di Lailoken cadde su un palo acuminato che era stato conficcato nel mezzo di una riserva di pesca, e il vecchio bardo fu trovato così: con la testa sommersa dall’acqua, e il corpo martoriato trafitto da un lungo palo che lo attraversava da parte a parte.

“Morto affogato, dopo essere stato ucciso da due sicari armati ed essere caduto accidentalmente su un palo acuminato”, sussurrò Ketingern fra sé e sé, sentendo gli occhi che gli si riempivano di lacrime e di sollievo. Proprio come il vecchio pazzo aveva farneticato il giorno prima.
Ma allora, forse, il povero Lailoken era realmente lucido, il giorno prima…e nella quasi certezza di non aver sbagliato – e nella quasi certezza di essere stato d’aiuto all’anima di un moribondo – San Ketingern sollevò gli occhi verso il cielo. E, dopo una notte di disperazione e di incertezza, cominciò finalmente a piangere lacrime di gioia.

Storiella tutto sommato poco avvincente, peraltro noiosetta e raccontata abbastanza male?
Sì, avete ragione: ma voi non conoscete ancora i “veri” nomi dei protagonisti. “Lailoken”, ad esempio, è solo uno dei tanti nomi che, nel folklore gallese, indicano quel personaggio meglio noto come Myrddin Wyllt. E se pensate a un “Myrddin” dai poteri straordinari che ha servito alla corte di re Artù… beh: non ci vuole tanto a capire di chi stiamo parlando.

Ebbene sì: in un’agiografia del tardo Quattrocento, mago Merlino si converte al Cristianesimo grazie al fattivo aiuto di san Ketingern.
E chi è questo Ketingern, mi chiederete.
Beh… è il santo patrono di Glasgow, per dirne una, ed è una figura molto importante per gli Scozzesi. Tant’è vero che, col passar dei secoli, questi ultimi gli hanno affibbiato un nomignolo affettuoso, che potrebbe suonare all’incirca come “il caro santo”… e cioè, l’hanno chiamato Mungo.
San Mungo.
Sì, San Mungo: come quello a cui è intitolato l’ospedale dei maghi in Harry Potter.

Che la Rowling sia un genio, penso sia abbastanza evidente a tutti.
Ma quando ho scoperto che era così geniale da aver intitolato l’ospedale dei maghi a un santo taumaturgo noto per essere stato la ‘guida spirituale’ di mago Merlino… beh: a quel punto, persino io (che la adoro da tempo) son rimasta a bocca aperta.

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