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Bevete perché siete felici, ma mai perché siete infelici

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Aleteia - pubblicato il 05/02/20
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Chesterton loda la gioia cristiana come antidoto alla sregolatezza dell’ubriachezza e al veleno dell’alcolismo: non si beve per dimenticare, ma per ricordare bene che Dio ha messo in un calice di vino la sua promessa di felicità eterna per noi. Di G.K. Chesterton

Secondo alcuni si dovrebbe bere il vino solo come medicina. Su questo punto dissento con particolare ferocia. L’unico modo veramente pericoloso e immorale di bere il vino è quello di berlo
come medicina. La regola sensata nella questione si presenta come un paradosso: Bevete perché siete felici, ma mai perché siete infelici. Non bevete mai quando, senza l’alcol, vi sentite derelitti, o sarete come il bevitore di gin dalla faccia grigiastra nel suo tugurio; ma bevete quando, anche senza alcol, sareste felici, e sarete come il ridente contadino italiano. Non bevete mai perché ne sentite il bisogno, perché è un modo razionale di bere, e la via per la morte e per l’inferno. Bevete perché non ne sentite il bisogno, perché questa è la maniera irrazionale di bere e l’antica salute del mondo.


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Da più di trent’anni, l’ombra di Omar Khayam si è distesa sopra la letteratura inglese. […] Qualcuno ha definito Omar «il triste, lieto vecchio persiano». Triste, lo è; lieto, no davvero. Omar è stato, per la letizia, un nemico peggiore dei puritani. Le libagioni di vino di Omar Khayam sono riprovevoli, non in quanto libagioni di vino. Sono riprovevoli, e assai riprovevoli, in quanto libagioni terapeutiche. Sono le libagioni di un uomo che beve perché non è felice. Il suo è il vino che esclude l’universo, non il vino che lo rivela. Non è il modo di bere poetico, che è gioioso e istintivo; è il modo di bere razionale, che è prosaico come un investimento, insipido come una dose di camomilla.
La vera obiezione, che un cristiano versato nella filosofia muoverebbe contro la religione di Omar, non è che egli non assegni alcun posto a Dio, ma che gli assegni un posto eccessivo. Egli ignora il libero arbitrio che costituisce il valore e la dignità dell’anima. Non nega l’esistenza di Dio, ma nega l’esistenza dell’uomo. È la religione desolata del carpe diem di Oscar Wilde; ma la religione del carpe diem non è la religione di persone felici, bensì di persone molto infelici.

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Kamira | Shutterstock

La grande gioia non coglie i boccioli di rosa finché può; i suoi occhi sono fissati sulla rosa immortale che Dante poté vedere. La grande gioia ha in sé il senso dell’immortalità. La causa per cui si leva la bandiera può essere sciocca o effimera; l’amore può essere un’infatuazione giovanile e durare una
settimana. Ma il patriota pensa la bandiera come eterna; l’amante pensa il suo amore come qualcosa che non può finire. Questi momenti sono colmi di eternità; questi momenti sono gioiosi perché non sembrano momentanei. L’uomo non può amare le cose mortali. Può solo amare cose immortali per un istante. Le emozioni umane non sono mai dure e mai simili alle pietre; sono sempre pericolose, come le fiamme.


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C’è solo un modo per cui le nostre passioni possono diventare dure e simili alle pietre, vale a dire, diventando fredde come pietre. Non possiamo neppure godere appieno di un pas‑de‑quatre a un ballo benefico, se non crediamo che le stelle stiano danzando alla stessa musica. Nessuno può essere veramente ilare, se non l’uomo serio. «Il vino – dice la Sacra Scrittura – allieta il cuore dell’uomo», ma solo dell’uomo che ha un cuore. Solo lo spirituale può avere il morale alle stelle. Alla fin fine, un uomo non può godere di nulla, se non della religione. Omar si dà al piacere perché la vita non è gioiosa: «Bevi – dice – poiché non sai donde vieni né perché. Bevi, perché le stelle sono crudeli e il mondo è vano come una trottola. Bevi, perché non c’è nulla degno di fiducia,
nulla degno di lotta». Così si leva offrendoci la coppa nella sua mano.  E sull’eccelso altare del cristianesimo si leva un’altra figura, nella cui mano è un’altra coppa di vino. «Bevete – dice – perché l’intero mondo è rosso come questo vino, per il vermiglio dell’amore e della collera divina. Bevete, perché le trombe chiamano alla battaglia e questo è il bicchiere della staffa. Bevete, per questo mio sangue del Nuovo Testamento che è sparso per voi. Bevete, perché io so da dove venite e perché. Bevete, perché io so quando ve ne andrete e dove».

(da G.K. Chesterton, Summa Chestertheologica, 384 pagine – 20 €, libro distribuito dal Centro Missionario Francescano, per richiederlo: laperlapreziosa@libero.it )