“Chi cerchiamo? Cerchiamo noi. Il nostro io. Libero di esprimersi, emozionarsi, pensare, creare. Cerchiamo di dar voce all’Io di ogni bambino”. Nelle parole di Helga Dentale c’è il coraggio di un’ipotesi educativa lenta, stupita e piena di realtà.Dopo soli tre mesi questo anno scolastico mi ha già messo ko. Tre figli, tre mondi – o meglio galassie – che rompono ogni genere di scatole. Non sto dicendo che mi danno fastidio, ma che vorrei frantumare quei contenitori che comprimono senza abbracciare. Quelli, anche, che creano barricate opposte tra genitori-alunni-insegnanti.
Il figlio grande è alle prese con la scelta della scuola superiore, il secondo manifesta mille ribellioni al sistema frontale della scuola elementare, la piccola si inserisce alla materna trasgredendo spesso e volentieri le regole della buona condotta. Ho attraversato senza alcun risultato il cortocircuito «Sbaglia mio figlio? O l’ho educato male? O è colpa della scuola?». Mi sono perciò arenata davanti all’evidenza che, di fronte a un’anima viva, il verbo contenere è inadeguato. Ma come fare allora? Come rassicurare il grande con la certezza che una scelta non è una chiusura sul futuro ma un’ipotesi tutta aperta alla possibilità? Come aiutare il secondo a vivere bene la scuola pur custodendo la sua vitalità eccedente rispetto allo stare buono e seduto al banco? Come guardare la piccola senza l’oppressione di vedere in lei per forza un’aggressività patologica? A queste domande voi, mamme e papà, aggiungerete le vostre personalissime sfumature.
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Un’ipotesi che ha ridato vigore ai miei pensieri un po’ in tilt l’ho trovata nella voce di Helga Dentale. Fin dalla prima pagina il suo libro Prendiamoci il tempo di stare con noi (Lindau editore) è entrato a gamba tesa dentro i problemi su cui mi arrovellavo, proponendomi un orizzonte di vita, esperienza ed educazione da sogno. E con questo non intendo che sia qualcosa di irrealizzabile, ma l’opposto: pian piano, leggendo, ho intravisto i contorni di un mondo possibile, da costruire un passo alla volta. Avere un sogno, o meglio un ideale grande, è il miglior punto di partenza per essere davvero pratici e operativi. Ecco come lo delinea la Dentale, docente per la formazione e ideatrice del Metodo Teatro in Gioco®:
Di cosa siamo veramente alla ricerca? Di un approccio alle cose e alla vita più autentico, coraggioso, etico. […] Forse più che cosa cerchiamo dovremmo arrivare al cuore della questione e chiederci: chi cerchiamo? Cerchiamo noi. Il nostro io. Libero di esprimersi, emozionarsi, pensare, creare. Cerchiamo di dar voce all’Io di ogni bambino. Un Io che la scuola (la scuola ancora troppo trasmissiva) e la famiglia (la famiglia impelagata a correre nella nostra società liquida) tendono a modellare, plasmare, confezionare in base a modelli standard.
Sporchi di realtà
Una delle prime frasi che ho sottolineato nel libro è: «consumatori di tutto, ma conquistatori di niente». Descrive bene la china che sta prendendo la nostra vita, una rovinosa discesa che per i bambini è ancora più svelta. Il consumatore va molto veloce, morde un boccone e passa ad altro, non si accontenta mai. La conquista invece richiede molto tempo ed è lenta, è fatta di tanti momenti apparentemente inutili, comporta però guadagni lungo la strada, non solo nella meta finale raggiunta. La proposta educativa contenuta nella parola «conquista» ci dà il benvenuto in un regno aperto, che poco ha a che fare con le previsioni e le tabelle; se il consumatore è un ottimo elemento da classificare, il conquistatore è un vero rompiscatole … cambia strada, si ferma a osservare un fiore, decide di stare mezz’ora semplicemente a respirare. C’è spazio dentro il nostro sistema didattico per un azzardo simile? Dovrebbe.
Fino a quando la scuola sarà così strettamente legata al voto, alla dimostrazione, alla competizione, il tempo correrà veloce. Educare alla lentezza è una scelta ricca di intenzionalità pedagogica e per niente casuale. Una scelta che appare oggi controcorrente.
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Un giorno mio figlio è tornato entusiasta da scuola perché era stata tolta la medaglia di best student; in pratica non c’era più a fine anno il riconoscimento dato al migliore della classe in inglese. Sentirsi libero da una competizione lo ha reso felice. Un’etichetta, anche positiva, opprimeva. Contenere non è un verbo che rende giustizia alla passione di un insegnante e all’esuberanza di un alunno. Entrambi meritano di avere la possibilità di compiere azioni più ardite. La Dentale propone ipotesi didattiche per nulla mirabolanti, ma con l’efficacia della semplicità che ci riporta al dato più trascurato di tutti: noi siamo fatti di corpo e spirito. Il nostro meglio è bello vederlo in atto, non testimoniato dalle medaglie. Come educatori ci spetta la premura di innescare occasioni che non separano ciò che in noi è unito:
Azione e pensiero lavorano insieme. Ne ho spesso una prova lampante nei laboratori: quando un bambino manipola un materiale, spesso, sta già costruendo mentalmente una storia. […] le mani percepiscono, impastano, plasmano e l’azione si trasforma immediatamente in pensiero, significato, narrazione.
Conquistare la realtà sarà la rivoluzione copernicana di questi tempi. Riportare i nostri figli lì dove tutto comincia, in un contatto vivo col mondo che è generativo di idee nuove, insospettabili capacità. L’alunno, a cui è chiesto di dimostrare competenze in un certo lasso di tempo, è prima di tutto una persona dotata di connotati unici che rischiano di perdersi tra le griglie di valutazione. Ci sono stati grandi conquistatori che hanno inziato tutto da un errore, da una peculiarità che li metteva al margine. Uscire dal seminato di un POF, stare dentro un imprevedibile rapporto quotidiano può svelare risorse che non hanno ancora un nome, ma che spetta a noi custodire e nutrire.
Il silenzio delle vere presenze
Ogni tanto mia madre scuote ancora la testa e pensa al suo passato di insegnante. Dice che se tornasse indietro farebbe molte cose diversamente, si sentirebbe più libera di mandare all’aria una lezione già programmata per fermarsi a parlare con l’alunna che entra in classe con una smorfia triste. Anche per gli insegnanti è frustrante ridursi a essere dei contenitori, deputati a dare informazioni e ricavare giudizi.
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Dalle parole di Helga Dentale possono raccogliere le energie per scommettere sui suggerimenti emotivi che nascono ogni giorno; prendere sul serio una smorfia, una lacrima o un sorriso non è una deviazione dal programma, ma forse la finestra giusta per entrare davvero nel merito della grammatica, della scienza, della musica. Ogni facoltà umana, infatti, non nasce come materia di studio ma come espressione di un bisogno intimo. La creatività appassionata di una maestra dovrebbe essere valorizzata per riscrivere un copione deprimente:
I bambini arrivano in classe, si siedono al loro posto … aprono il quaderno o il libro e iniziano a studiare! Tutte le emozioni che il bambino porta con sé restano senza voce.
L’io di cui siamo alla ricerca si spegne dentro gli schemi, le routine e l’uniformità. Ciascuno di noi è una presenza, questa è l’altra rivoluzione copernicana che si può innescare, facendo un passo fuori dal seminato. Di solito si valuta uno studente dalla sua capacità di produrre un risultato in cui è parte attiva, cioé produttiva. Quanto può essere educativo il silenzio? Questo è un altro dono che mi ha regalato Helga Dentale. Ciascuno di noi desidera essere ascoltato davvero, trovarsi di fronte qualcuno capace di mettere tutto in pausa e disposto ad accoglierci sul serio. Lo stupore più radicale non ha bisogno di campioni di Formula Uno per esaltarsi; si può trattenere il respiro per la meraviglia di una margherita. Il silenzio pieno di meraviglia è un grande traguardo, perché testimonia quel che ciascuno di noi ha bisogno di sapere … che la sua nuda presenza è già una cosa mozzafiato:
La Montessori racconta di essere entrata a scuola (in una “Casa dei Bambini” per essere precisi) con una piccola di pochi mesi in braccio e di aver suggerito ai bambini di mettersi in ascolto del repsiro della neonata, così lieve e delicato. Le parole della Montessori descrivono perfettamente il senso di quel silenzio profondo, non ottenuto attraverso l’imposizione ma sollecitando la curiosità dei bambini: «Vidi con stupore una tensione intensa dei bambini che mi guardavano. […] I bambini, sorpresi e immobili, trattennero il respiro».