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Ecco perché Il Signore degli Anelli è un romanzo cristiano cattolico

JOHN RONALD REUEL TOLKIEN

Tolkien

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 08/11/19
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Non per i contenuti, ma lo è per la mentalità – toccata dalla fede – con cui l’ha scritto Tolkien

John Ronald Reuel Tolkien descrive “Il Signore degli Anelli” come «un’opera religiosa e cattolica”». Ma è meno chiaro in cosa consista davvero l’impronta cattolica del capolavoro. Prova a spiegarlo Giuseppe Pezzini in un interessante articolo su Il Sussidiario (8 novembre).

Non è cattolica per i contenuti

Il Signore degli Anelli, sostiene Pezzini, non è un’opera cattolica perché i suoi contenuti possono essere associati ad aspetti tipici della devozione cattolica; posso citare per esempio il carattere cristologico di personaggi come Gandalf, Sam, Frodo e Aragorn, il simbolismo eucaristico del pane “lembas” elfico, i paralleli cronologici tra l’arco temporale del romanzo e l’anno liturgico, la caratterizzazione mariana di Galadriel, e così via.

Tolkien

Tolkien © AFP

Non è cattolica in senso etimologico

L’opera di Tolkien, prosegue l’autore, non è neanche “cattolica” in senso etimologico, e cioè per la sua accessibilità e universalità, anche se queste erano proprio le sue aspirazioni: con l’ambientazione precristiana del romanzo Tolkien desiderava infatti parlare alla totalità della sua società contemporanea post-cristiana. Queste aspirazioni si sarebbero realizzate, affascinando milioni di lettori di ogni provenienza, e risvegliando in loro il “desiderio di cose grandi” (come fa Gandalf con gli Hobbit).

Non è cattolica per “valori” e “concetti”

Infine, e soprattutto, il cattolicesimo di Tolkien non dipende neanche dal repertorio di “valori” o “concetti” (presunti) cattolici, che vengono spesso identificati nel romanzo da molti lettori – dall’amicizia al sacrificio di sé, dal potere della misericordia all’ecologia, per citarne solo alcuni. I libri di Tolkien rappresentano certamente in forma simbolica elementi della verità cristiana: del resto Tolkien stesso ammise “di avere come oggetto unico l’elucidazione della verità e l’incoraggiamento di una morale buona nel mondo reale”.



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La mentalità in cui è nato il romanzo

Ciò che è veramente cattolico in Il Signore degli Anelli, osserva Pezzini su Il Sussidiario, è semmai la natura della sua origine, la strada o il metodo che Tolkien ha seguito per scriverlo, la mentalità in cui il romanzo è nato e si è poi sviluppato.

Il Signore degli Anelli, infatti, non è emerso come realizzazione di un progetto dell’autore, come il prodotto di un’impresa intellettuale o di una strategia apologetica, didattica o culturale. Tolkien percepiva invece la sua letteratura come qualcosa di “accaduto”, come un frutto inaspettato di una volontà Altra, a cui lui semplicemente offriva la propria disponibilità.

Gandalf entità divina

In questo contesto Gandalf è per Tolkien un’entità divina, simbolo della Grazia personificata: in quello strano incontro Tolkien riconobbe dunque Dio stesso, la “Verità” divina, che rivendicava la “co-autorialità” delle sue storie, e gli ricordava il suo ruolo puramente strumentale.

Tolkien infatti descrisse spesso se stesso come di un semplice strumento nelle mani di Dio, ed è proprio questo che desiderava diventare fin dall’adolescenza. Come scrisse ai suoi amici di scuola, “La grandezza che intendevo era quella di essere un grande strumento nelle mani di Dio – quella di muovere, fare, realizzare, o per lo meno di incominciare delle cose grandi”.



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La bellezza della verità cristiana

Questa consapevolezza di essere chiamato ad essere uno strumento nelle mani di Dio, e non principalmente difensore di dottrine o valori a Lui associati, è visibile in tutte le fasi della composizione del Signore degli Anelli.

Per Tolkien dunque, se Il Signore degli Anelli risplende della bellezza della verità cristiana, questo non è un prodotto della sua mente, ma è piuttosto mediato da essa. Tolkien percepì, fin dai primi anni, di essere destinato “ad accendere una nuova luce, o, ciò che è la stessa cosa, a riaccendere una vecchia luce nel mondo”, cioè “a testimoniare Dio e la Verità”. Allo stesso tempo non pensò mai che la luce della verità di Dio (che “risplende” nella sua letteratura) provenisse da lui stesso, ma semmai era “rifratta” attraverso di lui – per usare una sua immagine ricorrente.

Atteggiamento verso le circostanze della vita

La bellezza e la verità del Signore degli Anelli, conclude Pezzini, affondano dunque le radici nella fede di Tolkien, da intendersi non come deposito di temi e di valori, ma piuttosto come fonte di un atteggiamento verso le circostanze della vita, vissute come il luogo in cui Dio sviluppa la sua narrazione, una narrazione che richiede la cooperazione (e la co-autorialità) dell’uomo, che consiste innanzitutto nel riconoscimento dell’Autorità del vero grande Autore.


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