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Gli incontri in piena notte tra Don Dolindo Ruotolo e gli angeli

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don Marcello Stanzione - pubblicato il 01/11/19
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“Come fai ad accorgerti che la lampada si spegne, se non si può calcolare la durata del lumino?”

Don Dolindo (1882-1970) quinto degli undici figli di Raffaele Ruotolo, matematico, e di Anna Valle, nobildonna proveniente da una famiglia decaduta di origine spagnole, nacque a Napoli nel popolare quartiere Forcella. Il matrimonio dei genitori non resse a lungo e sfociò ben presto in una dolorosa separazione a causa dell’asprezza del carattere del padre e della sua proverbiale avarizia che si scontravano con le abitudini signorili della madre e la sua dolcezza.

In una poderosa autobiografia di due volumi Don Dolindo ha raccontato come il suo nome, che significa “dolore” venne coniato dal padre e come “profeticamente” la sofferenza (per le numerosissime umiliazioni, ma anche per le ristrettezze economiche e la fame) fu l’elemento che contraddistinse tutta la sua esistenza, compreso il periodo del seminario e quello sacerdotale. Conobbe San Pio da Pietrelcina al quale spesso fu assimilato, ma se quest’ultimo mostrava visibilmente sul suo corpo i segni del Calvario di Cristo, Don Dolindo li serbava nell’animo e per questo venne anche identificato come “un novello Apostolo del dolore interiore”.

Entrambi subirono a più riprese gli attacchi del Santo Uffizio con l’impedimento di officiare la messa in pubblico per un certo tempo, ebbero il dono della profezia, il carisma della massima ubbidienza alla Chiesa ed accettarono in tutto e per tutto  la Volontà Divina nella più profonda umiltà.



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Giornate intere tra rosari e preghiere

Con lo pseudonimo di Dain Cohenel fu un instancabile e raffinato letterato (si ricorda soprattutto il poderoso Commento alla Sacra Scrittura di ben 33 volumi), inoltre fu pure un brillante musicista, cantore e organista, un fantastico predicatore, un servo di Dio che spese tutta la sua vita in povertà per il prossimo, privilegiando i ceti meno abbienti soprattutto di una città tanto problematica come Napoli dove trascorse la maggior parte della sua esistenza, portando avanti il suo ministero in quasi tutte le parrocchie dove fu comandato. Le sue giornate cominciavano alle 2,30 del mattino per terminare verso la mezzanotte, scandite da tanti rosari e preghiere, dallo studio dei testi sacri e dalla scrittura, dall’immancabile sostegno a tutti quelli che glielo chiedevano tra cui molti poveri e ammalati dai quali correva anche in piena notte con qualsiasi condizione climatica, dimentico spesso dei suoi stessi mali cronici e passeggeri.

Atto di abbandono in Gesù

Fondò L’Apostolato Stampa che ancora oggi, tramite i frati francescani dell’Immacolata, si occupa della divulgazione dei suoi scritti e formò diverse figlie spirituali con il compito di approcciare i soggetti più renitenti alla chiamata di Dio e con quello di educare le nuove generazioni. Noto soprattutto per “l’Atto di Abbandono in Gesù (contro le ansie e le afflizioni)” e per aver profetizzato con largo anticipo l’avvento al soglio pontificio di Giovanni Paolo II, viene annoverato tra quei pochi che godettero del privilegio di un intimo rapporto con Gesù, la Madonna e alcuni santi come S. Gemma Galgani.


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“Sciosciammocca”

Scherzosamente  da buon partenopeo egli si definisce uno “sciosciammocca” cioè una nullità di fronte alla potenza di Dio Padre, di Gesù e dello Spirito Santo. Innamorato della Madonna, sosteneva di aver ricevuto tramite la sua intercessione i doni dell’intelletto e della sapienza quando era al ginnasio, in seminario, disperato per le continue bocciature e privo delle necessarie basi culturali per poter procedere negli studi che si era intensamente manifestato in lui già in tenerissima età. Il 19 novembre 1970 morì per una broncopolmonite in concetto di santità.

Attualmente grazie ai frati francescani dell’Immacolata è in corso l’iter per la sua beatificazione a seguito di diversi eventi miracolosi e di testimonianze sulla sua santità. La sua salma riposa nella Chiesa dell’Immacolata di Lourdes e San Giuseppe dei Vecchi a Napoli, ormai meta di pellegrinaggi da tutto il mondo.


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L’incontro con l’angelo

Riguardo agli angeli nella sua autobiografia scrive:

“Io, giovinetto, a 14 anni, essendo chierico, fui incaricato di aver cura della lampada del SS. Sacramento, perché non si spegnesse. I lumini che avevo a mia disposizione erano difettosi, si spegnevano in varie ore, senza che io potessi calcolarne la durata. Nel giorno vigilavo io, ispezionando di tanto in tanto la lampada, ma nella notte come potevo fare questa vigilante ispezione? Pregai con semplicità e la fede di un fanciullo l’Angelo mio Custode che mi avesse svegliato un minuto prima che si spegnesse la lampada. Un minuto, perché, a mia vergogna, nono volevo perdere sonno. Un minuto mi bastava per andare dal letto alla Cappella, dov’era Gesù Sacramentato. Ogni notte, in varie ore, secondo il…capriccio dei lumini, mi sentivo dolcemente battere sulla spalla destra come voce che mi chiamava: “Dolindo, la lampada” . Ed io scendevo, e la lampada stava per spegnersi. La smoccolavo e ritornavo a letto. Una notte, una brutta notte, fui pigro; che pena a ricordarlo! Sentii la mano sulla spalla, la voce che mi chiamava e, ripugnandomi di alzarmi, pensai che potevo ingannarmi. Rimasi un minuto solo a poltrire, ma mi ripigliai.

L’Angelo dovette in quel momento illuminarmi soltanto; per delicatezza non battere sulla spalla e non parlò, giacché io ero sveglio. Mi precipitai dal letto, scesi in Cappella, e trovai il lumino spento che fumigava. L’Angelo mi aveva chiamato esattamente un minuto prima che si spegnesse. I miei confratelli, sorpresi che io giungessi sempre in tempo nella notte ad accomodare la lampada, mi domandarono: “Come fai ad accorgerti che la lampada si spegne, se non si può calcolare la durata del lumino?”. Risposi: “E’ semplice; ho pregato l’Angelo mio che mi svegliasse un minuto prima , ed egli mi sveglia”. L’angelo mio non venne più. Forse fu per quel delicatissimo riserbo che debbono avere le cose soprannaturali? O passò in me qualche ombra di vanità, che non lo fece più venire? Io non lo so, mi umilio soltanto. Il fatto avvenne nella settimana di Passione del 1897, ed io sento ancora sulla spalla destra la dolcezza di quella mano, e alla soavità lenta e quasi sillabata di quella voce: “Dolindo, la lampada”.


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“Uno scintillare di mille luci”

Don Dolindo in tutti i suoi libri ha sempre parlato degli angeli anzi sosteneva di essere ispirato a scrivere proprio da uno spirito celeste che diversi suoi biografi hanno identificato con san Raffaele. In un pieghevole sugli angeli distribuito dall’Apostolato Stampa, il “santo sacerdote” napoletano , come fu definito da san Pio da Pietrelcina scriveva:

“O Signore, o Signore, quanto sei ammirabile tu negli Angeli tuoi! Sono miriadi, miliardi di miliardi, tutti diversi specificamente fra di loro. Ognuno di essi costituisce una specie distinta, una glorificazione speciale di Dio, una diffusione speciale della sua sapienza, del suo amore, della sua grandezza! (…) Io sento la grande solennità della vita angelica, ed avverto un raccoglimento grande nel considerarli, ma non mi so esprimere.

Mi pare di vedere uno scintillare di mille e mille luci, tutte belle, tutte viventi, tutte piene di quello splendore intelligente che è tanto superiore alla bella armonia delle leggi della materia.

Sento, soprattutto, in quei cori, un amore che non si smorza, che si dilata, che brucia come fiamma. Essi sono messaggeri di Dio nell’universo; ad Essi sono sottomessi tanti esseri, e gli astri e le creature da essi dipendenti sottostanno alla potenza degli Angeli!

Oh, io li amo, gli Angeli, perché essi amano Dio, lo amano immensamente. Questo è il titolo bello che mi ha fatto avere sempre una grande devozione agli Angeli: Essi amano Dio! Essi non se ne distaccano mai, e vivono in una umiltà meravigliosa, in una obbedienza continua, in un’attività instancabile per portare dovunque la gloria di Dio. (…)” (Sac, Dolindo Ruotolo, Apostolato Stampa, 2° Edizione, Napoli 2001).



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