In Repubblica ceca sono ancora aperte le ferite lasciate dal regime comunista: a scuola si tenta di scalfire il clima di scetticismo col metodo del professor di matematica Hejný, per ridare ai ragazzi il gusto di fare domande e di entusiasmarsi nella ricerca libera del vero. Di Marco Basile (sacerdote dal 2010, è rettore della chiesa dell’Addolorata a Praga)
Da qualche anno insegno Matematica in un liceo di Praga. Per lavorare nella scuola, ho dovuto frequentare un corso di laurea in cui ho avuto la fortuna di conoscere il professor Hejný. Quest’uomo più che ottantenne, con lo spirito di un fanciullo, ha introdotto nelle scuole ceche un metodo per insegnare la matematica conosciuto come “metodo Hejný”, che cerca di rendere più attivo il ruolo dello studente. Maestro fino al 1989 nelle scuole elementari, dopo la caduta del comunismo è stato nominato professore alla facoltà pedagogica di Praga.
A lezione ci diceva che, sotto il comunismo, scopo della scuola era inculcare negli studenti l’idea che non si potesse conoscere se non seguendo le istruzioni del professore, così come nella vita non si poteva lavorare senza seguire le istruzioni dello Stato. Ancora oggi si toccano con mano le conseguenze di questo sistema, per cui i ragazzi attendono passivamente le indicazioni dell’insegnante, senza sforzarsi di capire perché ma solo cosa fare.
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Ritengo una fortuna avere conosciuto quest’uomo con il gusto dell’insegnamento, amante della libertà umana e dell’uso della ragione, capace di entusiasmarsi per ogni nostra domanda, obiezione, suggerimento. Ha iniziato ad insegnare semplicemente guardando come studiavano i suoi figli, senza la pretesa di cambiare il sistema scolastico: oggi, in buona parte delle scuole elementari ceche, si usano i suoi libri.
Sento il suo esempio vicino al nostro approccio alla missione. Il regime comunista, infatti, ha influenzato sia la libertà delle persone che i rapporti umani, resi fragili dal sospetto e dall’individualismo: una persona isolata era più facilmente manipolabile. Come accade per ogni ideologia, il crollo del regime ha lasciato un clima di scetticismo e cinismo. Non ci è chiesto di cancellare questa pesante eredità, ma di iniziare qualcosa di nuovo e di bello lì dove siamo, di portare un metodo, quello di Cristo: vieni e vedi.
La nostra missione è fatta di cose semplici: l’entusiasmo di entrare in classe e rivedere gli studenti, la convenienza e il fascino di una vita in cui si condivide tutto, la ragionevolezza di ciò che diciamo e facciamo, la serietà con cui viviamo l’amicizia, il desiderio che altri possano conoscere ciò che rende grande e interessante la nostra vita. A noi è chiesto di seminare generosamente, coscienti che forse non vedremo i frutti del nostro lavoro perché la nostra ricompensa è già nel seminare stesso.
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Dalla semplice fedeltà alla nostra vocazione, nascono poi tanti piccoli avvenimenti: un ragazzo scopre in un innamoramento non corrisposto l’occasione di un cammino buono; uno studente trova nella nostra casa un’accoglienza che non riceve neanche nella propria famiglia; una giovane coppia scopre attraverso la nostra amicizia la possibilità di non fermarsi a ciò che non va dell’altro, di perdonarsi; un amico vive la morte di un genitore senza disperazione, con la certezza di un bene presente anche nel dolore.
Vediamo così realizzarsi, anche tra di noi, le parole pronunciate da Carrón agli ultimi esercizi di Cl: “Non sono definito dal mio sforzo di cambiare ma dalla consapevolezza di quello che è successo nella mia vita”. Veramente, l’incontro con Cristo permette di scoprire il bene in ogni circostanza!
QUI IL LINK ORIGINALE ALL’ARTICOLO PUBBLICATO DA FRATERNITÀ SAN CARLO