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Un prete può rifiutarsi di dare la comunione ai fedeli arrivati tardi a messa?

EUCHARYSTIA
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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 19/09/19
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Non ci sono divieti. Ma chi si avvicina alla comunione dovrebbe prima capire l’importanza di seguire la liturgia della Parola prima di quella Eucaristica. Come ci spiega un autorevole teologo

Di recente, nella Chiesa di San Pietro a Pirri, frazione di Cagliari, una donna è arrivata in ritardo alla messa delle 8, ma si è messa lo stesso in fila, per ultima, per ricevere l’eucarestia. Il giovane sacerdote l’ha gelata: «E’ arrivata in ritardo, non posso dargliela: sono le regole».

Giovanna Senatore, 54 anni, ha raccontato la sua storia dopo avere scritto un post su Facebook, annunciando anche l’intenzione di inviare una lettera al vescovo per avere un chiarimento (www.sardegnalive.net).

Aleteia ha chiesto un parere su questa vicenda di don Pietro Angelo Muroni, Decano della Facoltà di Teologia della Pontificia Università Urbaniana.

Assenza di divieti

Il professore Muroni ha spiegato che non esiste una norma precisa secondo cui, chi arriva in ritardo alla messa, non può ricevere la comunione, ma, al contempo, sebbene andrebbero valutati e verificati con attenzione i fatti accaduti, bisogna inquadrare bene il contesto in cui è inserita la vicenda della signora Senatore, o di qualsiasi altra persona nelle sue stesse condizioni.

Innanzitutto si fa osservare ciò che il Codice di Diritto Canonico stabilisce riguardo questo argomento:

Can. 843 – §1. I ministri sacri non possono negare i sacramenti a coloro che li chiedano opportunamente, siano disposti nel debito modo e non abbiano dal diritto la proibizione di riceverli.

Can. 912 – Ogni battezzato, il quale non ne abbia la proibizione dal diritto, può e deve essere ammesso alla sacra comunione.

La Redemptionis sacramentum

Quanto stabilito dal diritto verrà poi ripreso da alcuni documenti più strettamente liturgici, come ad esempio l’Istruzione “Redemptionis sacramentum” della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti la quale, evidenziando «alcune cose che si devono osservare ed evitare circa la Santissima Eucaristia», sottolinea:

[91.] Nella distribuzione della santa Comunione è da ricordare che «i ministri sacri non possono negare i sacramenti a coloro che li chiedano opportunamente, siano disposti nel debito modo e non abbiano dal diritto la proibizione di riceverli». Pertanto, ogni cattolico battezzato, che non sia impedito dal diritto, deve essere ammesso alla sacra comunione. Non è lecito, quindi, negare a un fedele la santa Comunione, per la semplice ragione, ad esempio, che egli vuole ricevere l’Eucaristia in ginocchio oppure in piedi.

E tuttavia, qualche numero prima, aveva sottolineato come

[83.] È certamente la cosa migliore che tutti coloro che partecipano ad una celebrazione della santa Messa e sono forniti delle dovute condizioni ricevano in essa la santa Comunione. Talora, tuttavia, avviene che i fedeli si accostino alla sacra mensa in massa e senza il necessario discernimento. È compito dei pastori correggere con prudenza e fermezza tale abuso.


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Il Concilio

Se da un lato, non c’è nessuna inibizione, a priori, della comunione, dall’altro si raccomanda vivamente la partecipazione piena alla celebrazione eucaristica, che è tale se si partecipa alle due parti, o “mense”, che ne costituiscono l’unico atto di culto: la Liturgia della Parola e la Liturgia Eucaristica.

Il Concilio Vaticano II, infatti, ci ha restituito questa verità grande dell’eucaristia, che non è rappresentata soltanto dal “fare/ricevere la comunione” (o come purtroppo si sente spesso dire “prendere la comunione”, sic!) col pericolo di “cosificare” o peggio ridurre a devozione privata la più alta manifestazione della Chiesa orante che è, appunto, la celebrazione eucaristica, ma è la celebrazione del memoriale della Pasqua di Cristo che si sviluppa in un rito che vede insieme, in un mutuo rapporto, la Parola e il Sacramento.

Questo è stato mirabilmente e autorevolmente sintetizzato dal Concilio Vaticano II, specie nella Costituzione liturgica “Sacrosantum Concilum” che stabilisce l’unità della celebrazione eucaristica:

Unità della messa

  1. Le due parti che costituiscono in certo modo la messa, cioè la liturgia della parola e la liturgia eucaristica, sono congiunte tra di loro così strettamente da formare un solo atto di culto. Perciò il sacro Concilio esorta caldamente i pastori d’anime ad istruire con cura i fedeli nella catechesi, perché partecipino a tutta la messa, specialmente la domenica e le feste di precetto.

L’Ordinamento delle letture della messa

Questo viene richiamato anche dall’“Ordinamento delle letture della messa”, che stabilisce quanto segue:

  1. Alla parola di Dio e al mistero eucaristico la Chiesa ha tributato e sempre e dappertutto ha voluto e stabilito che si tributasse la stessa venerazione, anche se non lo stesso culto; mossa dall’esempio del suo fondatore, essa non ha mai cessato di celebrare il mistero pasquale, riunendosi insieme per leggere «in tutte le Scritture ciò che a lui si riferiva» (Lc 24,27), e attualizzare, con il memoriale del Signore e i Sacramenti, l’opera della salvezza. È infatti «necessaria la predicazione della parola per lo stesso ministero dei Sacramenti, trattandosi di sacramenti della fede, la quale nasce e si alimenta con la parola».

Nutrita spiritualmente all’una e all’altra mensa, la Chiesa da una parte si arricchisce nella dottrina e dall’altra si rafforza nella santità. Nella parola di Dio si annunzia la divina alleanza, mentre nell’Eucaristia si ripropone l’alleanza stessa, nuova ed eterna. Lì la storia della salvezza viene rievocata nel suono delle parole, qui la stessa storia viene ripresentata nei segni sacramentali della liturgia. Si deve quindi sempre tener presente che la parola di Dio, dalla Chiesa letta e annunziata nella liturgia, porta in qualche modo, come al suo stesso fine, al sacrificio dell’alleanza e al convito della grazia, cioè all’Eucaristia. Pertanto la celebrazione della Messa, nella quale si ascolta la parola e si offre e si riceve l’Eucaristia, costituisce un unico atto del culto divino, con il quale si offre a Dio il sacrificio di lode e si comunica all’uomo la pienezza della redenzione. 


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Il caso in Sardegna

Ora, noi non sappiamo in quale momento preciso sia entrata in chiesa la signora (tra l’altro, sarebbe eventualmente opportuno distinguere tra un evento occasionale, spesso non dovuto a negligenza del fedele, e un’abitudine…), ma si comprende, parlando in generale, come la questione sia ben più complessa rispetto al semplice arrivare o meno “a messa iniziata”. La questione è anche, per un certo verso teologica: la Chiesa celebra nei sacramenti, e in specie nella celebrazione eucaristica – come ci ricorda ancora Sacrosanctum concilium al n. 6 – il Mistero Pasquale di Cristo «leggendo “in tutte le Scritture ciò che lo riguardava” (Lc 24,27), celebrando l’eucaristia, nella quale “vengono resi presenti la vittoria e il trionfo della sua morte” e rendendo grazie “a Dio per il suo dono ineffabile» (2 Cor 9,15) nel Cristo Gesù, «a lode della sua gloria” (Ef 1,12), per virtù dello Spirito Santo». Per cui si partecipa alla messa, per dirla in parole povere, proclamando/ascoltando la Parola e prendendo parte alla Liturgia eucaristica: l’una non sussiste senza l’altra. Arrivare puntuali alla messa, inoltre, evita distrazioni da parte di coloro che già stanno celebrando o sono all’ascolto della Parola.

E’ immaginabile che il presbitero, quando si è rivolto alla signora dicendo che la «regola» vieta la distribuzione della comunione a chi arriva in ritardo a messa, volesse in qualche modo rispondere all’invito del n. 83 della Redemptionis sacramentum ricordato sopra: «È compito dei pastori correggere con prudenza e fermezza», volendo intendere proprio questo: che una liturgia vissuta a metà, in parte, non completamente, non è una liturgia “piena”. Il compito del presbitero, infatti, è anche quello di guidare, educare, formare ed eventualmente correggere, sempre con grande rispetto.

Il Concilio ci ricorda che il ricevere la comunione rappresenta in un certo modo il culmine della celebrazione eucaristica, la sua consumazione; ma un culmine che si raggiunge attraverso un cammino fatto di riti, ritmi e tempi dettati dalla celebrazione stessa e a cui si deve giungere con il giusto spirito e partecipazione, dopo aver assimilato dentro di sé il richiamo della parola di Dio e, con l’invito “ite missa est”, andare a vivere nella propria vita il Mistero celebrato.



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