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L’erede di Madre Canopi: dovevo sposarmi, poi ho scelto la clausura. Vi spiego perché

Madre Maria Grazia Girolimetto

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 05/09/19
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La nuova Superiora del Monastero di Orta San Giulio racconta la sua vocazione e le sue giornate nel convento tra lavoro, giornali, preghiera e ospiti

La clausura raccontata dall’erede di madre Anna Maria Canopi.

Madre Maria Grazia Girolimetto, nata 56 anni fa in un paese della Brianza, lo scorso novembre è stata eletta badessa dalle più di cento consorelle (settanta sull’ isola, più di trenta in altri luoghi del Nord Italia), nel monastero benedettino Mater Ecclesiae dell’isola di San Giulio, sul lago d’ Orta.

Madre Canopi, nel 1973 – chiamata dall’allora vescovo di Novara, Aldo Del Monte – aveva strappato ai rovi l’ex seminario abbandonato per farlo diventare ben presto un monastero, diventato faro per la spiritualità cristiana. Il 21 marzo, quando “la Madre” è mancata a 87 anni, anche madre Maria Grazia era lì, insieme alle consorelle. «È morta proprio come desiderava, circondata da tutte noi in preghiera», ricorda. «È come se l’avessimo dolcemente consegnata nelle mani del Signore, il che ci ha dato una grande pace: non ci siamo mai sentite orfane».

“Mi colpivano mitezza e silenzio interiore”

«“Coraggio e pazienza” mi diceva sempre – sottolinea Madre Maria Grazia – soprattutto quando io ero già badessa. Sono stati mesi molto preziosi per me: pur essendo lei in disparte, era per me il bastone cui appoggiarmi, la mano del Signore sicura che con lungimiranza sapeva indirizzarmi. Era una donna molto forte e molto dolce, all’apparenza esile, ma tanto robusta nella fede. Mi colpivano la mitezza e il silenzio interiore ed esteriore con cui accoglieva il bene e si lasciava ferire dal male, senza mai avere un moto d’ impazienza. (…) Tuttora la sento molto presente».



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In principio fu il cardinale Martini

L’erede di Madre Canopi, racconta di essere arrivata alla clausura perché «respirando la fede in famiglia e in parrocchia. Ero molto impegnata in oratorio e ho vissuto esperienze molto forti nella diocesi di Milano. Accostandomi alla Parola di Dio attraverso le lectio del cardinal Martini è nato in me un profondo anelito interiore. Avevo studiato Pedagogia all’ Università Cattolica, insegnavo alla scuola secondaria. Un’ esperienza molto arricchente. All’inizio pensavo di sposarmi, poi – attraverso un lungo discernimento – mi sono resa conto che non mi bastava un amore circoscritto a una famiglia».


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La scelta

Madre Maria Grazia «desiderava qualcosa in più: arrivare a tutti. Allora non ho potuto far altro che mettermi nel cuore di Dio, per essere attraverso di lui il cuore materno per ogni uomo. È stata una scelta combattuta: all’ inizio ho lottato con il Signore. Ma quando lui dà un’ intuizione, dà anche la forza e i segni per proseguire. A 26 anni sono entrata in questo monastero».

madre canopi monastero

Alessandro Vecchi|Wikipedia|CC BY-SA 3.0

“Non abbiamo vie di fuga”

Con il senno di poi, la religiose anticiperebbe quell’ingresso in monastero. «Perché solo nel luogo dove è riposta la propria vita si può trovare pienezza e felicità. All’ inizio si ha sempre una concezione idilliaca della vita di clausura: si pensa sia ritirata, priva delle fatiche del vivere insieme. In realtà, quella monastica è prima di tutto una vita di grande comunione: viviamo gomito a gomito, 24 ore su 24, e non abbiamo vie di fuga. Per questo, prima di tutto, dobbiamo fare pace con noi stesse e affinarci nelle relazioni fraterne. Solo così, tra le mura del monastero, possiamo vivere in pienezza il Vangelo della carità, della mansuetudine».


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Cosa si fa durante la giornata

Tra quelle mura si svolge ogni giorno una giornata di affidamento a Dio, organizzata così:

«La sveglia suona alle 4.20 e ci troviamo tutte nel coro. Soprattutto nelle prime ore della giornata facciamo bottino di preghiera per essere poi pronte a lavorare. Il monastero è come un alveare dove a ciascuna, in obbedienza, viene affidato un lavoro: nei laboratori di restauro di tessili antichi, di ricamo e di iconografia, nella stamperia, ma anche in cucina, lavanderia e sartoria. Alla sera, dopo cena, una sorella incaricata dello spoglio dei giornali ci riassume gli avvenimenti che, in tutto il mondo, richiedono la nostra preghiera. La portinaia fa invece presente le esigenze delle persone che durante la giornata hanno bussato alla nostra porta. È un momento di sana fraternità. Diversamente saremmo compresse».

Gli ospiti

La Madre ricorda che si può fare così esperienza di preghiera anche al di fuori del monastero. «Sì, ritagliandosi nel cuore una piccola celletta interiore dove andare a rifugiarsi anche in mezzo al frastuono. E poi concedendosi spazi in cui ossigenare la propria vita attraverso silenzio e ascolto».

Tanto è vero che il monastero è uno spazio di silenzio e ascolto per 10 mila persone ogni anno. «Sì, è concretamente un porto per le anime. Poi, la sera, quando vanno via tutti con l’ ultimo battello – conclude – noi rimaniamo sole sull’isola. Ma il monastero continua a essere una finestra aperta su quell’ eternità dove tutto è visione di Dio» (Famiglia Cristiana, 5 settembre).


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