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Non solo “populismo e popolarismo” nell’intervista del Papa a La Stampa

POPE FRANCIS IRELAND
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Giovanni Marcotullio - pubblicato il 09/08/19
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All’alba del giorno in cui il governo italiano “si sfiducia” (da solo), nelle edicole dello Stivale è stata diffuso il contenuto di una conversazione con Domenico Agasso Jr., la cui titolazione pare commentare in presa diretta la cronaca dei Palazzi italiani. In realtà l’intervista è stata rilasciata qualche giorno fa e contiene riferimenti a diversi temi caldi del momento.

Stamattina abbiamo letto su La Stampa l’intervista rilasciata dal Papa a Domenico Agasso Jr: «Il sovranismo mi spaventa, porta alle guerre». Accidenti, dice il lettore, la crisi è stata aperta ieri sera – tra Pescara e Roma – e questi nottetempo, fermate le rotative, sono corsi Oltretevere (da Torino!) per chiedere un commento a caldo al Pontefice? No, chiaramente: l’intervista è stata realizzata il 6 agosto, e chiaramente è difficile pensare che ben due edizioni utili alla pubblicazione siano “saltate” accidentalmente. Una buona bottiglia si tiene in serbo per le occasioni importanti, e poiché l’occasione importante si annunciava di là da venire a ore o a minuti… tanto valeva aspettare.



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La titolazione le conferisce un tocco di stringente attualità politica nazionale, ma in realtà la conversazione tocca molti temi caldi del momento – dall’Europa all’Amazzonia passando per l’emergenza migratoria internazionale – e a ben vedere il passaggio dall’uno all’altro è intrinsecamente ordinato, tout se tient.

Il dialogo sopra tutto, e per farlo serve identità

Una cosa che facilmente non verrà sottolineata, dell’intervista, è che alla questione “politica” – cioè quella di sovranismi, populismi e popolarismo – si arriva dalla domanda “Che cosa serve per il dialogo?”, la cui risposta è suonata così: «Bisogna partire dalla propria identità». E lì Francesco ha spiegato secondo il modello dinamico di dialogo e di identità che meglio conosce, ossia la Chiesa (nella fattispecie il dialogo ecumenico):

La propria identità non si negozia, si integra. Il problema delle esagerazioni è che si chiude la propria identità, non ci si apre. L’identità è una ricchezza – culturale, nazionale, storica, artistica – e ogni paese ha la propria, ma va integrata col dialogo. Questo è decisivo: dalla propria identità occorre aprirsi al dialogo per ricevere dalle identità degli altri qualcosa di più grande.

Quindi il Papa ha riproposto il proprio assioma del tutto superiore alle parti e del poliedro come paradigma della “globalizzazione buona”. A questo punto la domanda sui sovranismi era solo da formalizzare. E il Papa si è detto preoccupato:

Sono preoccupato perché si sentono discorsi che assomigliano a quelli di Hitler nel 1934. “Prima noi. Noi… noi…”: sono pensieri che fanno paura. Il sovranismo è chiusura. Un paese deve essere sovrano, ma non chiuso. La sovranità va difesa, ma vanno protetti e promossi anche i rapporti con gli altri paesi, con la Comunità europea. Il sovranismo è un’esagerazione che finisce male sempre: porta alle guerre.

E un discorso analogo ha fatto, il Pontefice, sui populismi. Si potrebbe osservare, in tal senso, che d’altro canto anche l’etica libertaria derivante dal pensiero radicale è vittima del medesimo male, ossia considerare gli individui delle monadi (come i sovranisti fanno con le nazioni), il cui potere decisionale sia virtualmente illimitato. Ciò conduce a forme di irresponsabilità etica e politica che sfaldano il tessuto sociale. Su questo abbiamo chiesto un commento a Flavio Felice, Professore ordinario di Storia delle Dottrine Politiche dell’Università del Molise (che proprio in questi giorni ha avuto spazio su giornali nazionali, cattolici e non, per via dell’anniversario sturziano):

Su “sovranismo” e “populismo”, mi sembra che il Santo Padre pensi (come è normale e perfino ovvio che sia) soprattutto al “populismo buono” di marca sudamericana, mentre l’esperienza del popolarismo europeo – che sta alla base dell’Unione Europea – è sensibilmente diversa. Il sovranismo non è un sentimento, è il riflesso di una cultura politica che prevede la nazione come sintesi delle identità culturali; una scorciatoia rispetto alla sfida liberale di far valere il ruolo delle istituzioni a difesa delle prerogative delle persone e dei corpi intermedi. Se c’è qualcuno che viene prima è la persona, con i suoi mondi e i suoi spazi relazionali.

Il sovranismo è un residuo neopagano di organizzazione dello spazio civile, negando la primazia della persona. Per non cadere nel sovranismo bisogna ripensare la sovranità, un concetto non più adeguato a rappresentare le istanze civili del nostro tempo, a meno che non si scelga di decostruirla, individuando le funzioni. È il progetto dei padri fondatori europei.

L’Europa

Appunto di Europa si stava parlando, all’inizio dell’intervista: la titolazione lasciava sperare in un confronto sul profilo politico di Ursula von der Leyen, ma nel testo si trova appena una domanda sul fatto che sia donna. Per contro, Agasso ha permesso al Papa di tornare a richiamare alcuni concetti sul declino dell’Europa (concetti già espressi fulgidamente in occasioni come il conferimento del Premio Carlo Magno nel 2016):

L’Europa non può e non deve sciogliersi. È un’unità storica e culturale oltre che geografica. Il sogno dei Padri Fondatori ha avuto consistenza perché è stata un’attuazione di questa unità. Ora non si deve perdere questo patrimonio.

I migranti

Anche sull’emergenza migratoria Papa Francesco ha soprattutto ripetuto quanto ha avuto modo di dire in altri contesti: i quattro criterî (accogliere, accompagnare, promuovere, integrare) supervisionati dalla “prudenza politica”, ma c’è stata una cosa che il Papa non ha detto molte altre volte, laddove ha invitato i governi a non pensare tanto a soddisfare i bisogni dei migranti, quanto a offrire loro delle occasioni.

Ci sono Stati che hanno bisogno di gente, penso all’agricoltura. Ho visto che recentemente di fronte a un’emergenza qualcosa del genere è successo: questo mi dà speranza. E poi, sa che cosa servirebbe anche? […] Creatività. Per esempio, mi hanno raccontato che in un paese europeo ci sono cittadine semivuote a causa del calo demografico: si potrebbero trasferire lì alcune comunità di migranti, che tra l’altro sarebbero in grado di ravvivare l’economia della zona.

Idee semplici e di buonsenso, che talvolta vedono sollevarsi obiezioni burocratiche (come si fa a regalare case, ancorché disabitate?), le quali però dovranno probabilmente essere superate una volta che ci si trovi al bivio tra scomparire e sopravvivere (e speriamo anche prima).

Persona umana e radici cristiane

Sembra di tornare a quanto ci diceva il professor Felice leggendo la risposta del Papa sui “valori comuni”, che sarebbero per il Pontefice «i valori umani, della persona umana. Insieme ai valori cristiani: l’Europa ha radici umane e cristiane, è la storia che lo racconta». Non sarà mai sufficientemente ricordato come lo stesso concetto di “persona” derivi – quanto alle prerogative come l’inalienabilità di certi diritti – dallo sviluppo del dogma cristiano, ma l’erosione pratica e progressiva delle tutele alla persona (progresso delle legislazioni abortiste, eutanasiche e xenofobe) è contemporanea alla secolarizzazione – e sintomatica della stessa.

Amazzonia, ecologia e Sinodo

Parole importanti sono state spese dal Papa anche sul Sinodo del prossimo ottobre, convocato sull’Amazzonia. Anzitutto sulla (non-)centralità dei “viri probati” (del resto il Papa non aveva mai fatto mistero del proprio scetticismo in materia):

Assolutamente no: è semplicemente un numero dell’Instrumentum Laboris. L’importante saranno i ministeri dell’evangelizzazione e i diversi modi di evangelizzare.

Sì, perché il Sinodo «non è una riunione di scienziati o di politici. Non è un Parlamento […]. Nasce dalla Chiesa e avrà missione e dimensione evangelizzatrice». In particolare esso

è “figlio” della “Laudato si’”. Chi non l’ha letta non capirà mai il Sinodo sull’Amazzonia. La Laudato si’ non è un’enciclica verde, è un’enciclica sociale, che si basa su una realtà “verde”, la custodia del Creato.

Dal Papa è giunta dunque una dritta per gli analisti sinodali: rileggere (ma per molti: leggere) l’enciclica sociale e accettare una buona volta che le emergenze ambientali (in primis il global warming) abbiano una rilevanza ecclesiale perché invocano la responsabilità peculiare dei discepoli di Gesù.



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A tal proposito, è tanto consolante che il Papa intraveda qualche cambiamento su questi temi «nei movimenti di giovani ecologisti» quanto desolante che non gli sia venuto alle labbra altro nome che quello di Greta Thunberg. Non perché si possa avere qualcosa contro la giovane svedese (ma delle critiche alla cupola che l’ha issata a front-girl saranno lecite…), bensì perché sembra che il panorama cattolico e cristiano non riesca proprio a raccogliere energie fresche orientate a una delle sfide del nostro tempo. Fortunatamente qualcosa c’è, invece, e penso all’esperienza della rivista francese Limite, con annessi culturali e sociali. Non raccolgono i titoloni dei giornali, è vero, ma propongono un’analisi costante e approfondita (nonché briosa) delle tematiche; come se non bastasse (perché non basta) tentano anche esperimenti per uno stile di vita alternativo. Cosa a cui accenna il Papa nell’ultima risposta. Il futuro non si può certo costruire (solo) a suon di venerdì…