Così Chesterton sulle derive di un sistema educativo che si preoccupa di tutto ma evita gli interrogativi della morale: “Tutte le persone che pensano all’educazione sembrano non pensare mai ai bambini”.di G. K. Chesterton
Sono sempre stato favorevole all’educazione. La ragione è ovvia: io credo in una religione; e un uomo che crede in una religione non crede in frammenti di quella religione. Il modo pedante di dirlo è che, se qualcosa è vivo e organico, non può essere diviso senza che arrivi la morte. Se ami il cane davanti al caminetto, non ti piace che ci siano pezzi del cane davanti al caminetto. Più desideri trovare tua moglie in sala da pranzo e meno (di regola) desideri trovare metà di tua moglie in sala da pranzo. Mezza moglie non è meglio che niente matrimonio; è peggio, perché vuol dire essere vedovo anziché scapolo.
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Pertanto, qualunque cosa che abbia in sé una scintilla di vita e una circolazione di forze non può essere tagliata in pezzi. Insegnare ai bambini soltanto i primi elementi di una religione è come leggere ai bambini solo i primi capitoli di un racconto giallo. È una crudeltà verso i bambini. Gli ultimi capitoli di un racconto giallo sono indispensabili per poter ricavare un qualche senso dai primi. E la religione differisce dalla filosofia proprio in questo: che la religione è un racconto giallo, nel senso che il suo segreto non è soltanto soddisfacente ma anche stupefacente. Ebbene, io so di non poter insegnare tutta la mia religione a tutti i bambini inglesi; so anche che, date le attuali divisioni intellettuali, sarebbe malvagio provarci. Perciò sono contento che della mia religione non sia insegnato niente, se non quanto io stesso sono in grado di insegnare nelle sale da fumo, sugli imperiali degli omnibus, sui giornali e nelle birrerie.
Tutte le persone che pensano all’educazione sembrano non pensare mai ai bambini. Molti moderni documenti sull’educazione, incluso questo, [sull’Educazione Morale nelle scuole] mi colpiscono per il fatto che non sono cattivi per i bambini o buoni per i bambini. Non riguardano i bambini. Chi li scrive ovviamente non ha la più pallida idea di quel che un bambino è. Per prendere il punto più ovvio, parlano come se il bambino stesse lì fermo a farsi educare. Parlano come se il governo di casa tua consistesse interamente di quel che tu devi fare dei bambini. Un bel po’, invece, consiste della domanda disperata di che cosa i bambini faranno di te. Parlano di dare questo o quel tocco finale alla forma della volontà del bambino, come se il bambino non avesse una volontà propria. Parlano di formare la mente del bambino come se il bambino non se la fosse già formata e non la conoscesse insolitamente bene. Un bambino è più debole di un uomo se si tratta di una lotta o di conoscenza del mondo; ma non esiste niente a mostrare che un bambino sia più debole nella volontà o nel desiderio. Si dice in quella pubblicazione che l’educazione morale dovrebbe consistere meno nel sottolineare i mali morali che nel rendere attraenti gli ideali di bene. Ora voglio solo sottolineare che questo sentimento è espresso senza alcun tipo di riferimento ai bambini. L’uomo che l’ha scritto è un uomo adulto, che pensa solo a uomini adulti e alle loro particolari condizioni nella nostra comunità.
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Come ammonimento per l’adulto moderno quella frase ha un valore. A noi, che siamo maturi e malvagi, bisogna che sia sempre ricordato che la bellezza è bellezza, che la gentilezza è gentilezza, che il coraggio è amabile o che i gigli sono bianchi. È giusto dire a un triste uomo civilizzato: «Oh, pensa un po’ meno alle leggi e un po’ più alla vita!». Ma non ha proprio alcun senso dir questo ai bambini. I bambini hanno più vita di quanta ne abbiamo noi; la sola cosa che gli manca è la legge. I bambini sentono il candore del giglio con una chiarezza grafica e appassionata che noi non possiamo dare loro. La sola cosa che possiamo dare loro è l’informazione: l’informazione che, se schianti il giglio, esso non ricrescerà di nuovo. Non c’è bisogno che insegniamo loro il bene di ammirare il giglio; la sola cosa che possiamo insegnare è il male di sradicarlo. Non c’è bisogno che insegniamo loro ad ammirare il coraggio; lo ammirano già. Possiamo solo insegnar loro che certe cose, come il disgustoso procedimento di farsi fare il bagno, nel tempo si rivelano capaci di aumentare tale qualità. Che cos’ha a che fare un bambino con la ricerca della verità? Il massimo che puoi chiedere a un bambino è che dica la verità che conosce; non che si metta a cercare quella che non conosce.
Da G. K Chesterton, La famiglia, regno della libertà (libro distribuito dal Centro Missionario Francescano, per richiederlo: laperlapreziosa@libero.it )