Chiedo per tutto e per tutti l’intervento di Dio ma ora, pensandoci, ho capito che ho tralasciato una cosa importante: a Dio devo chiedere che cambi il mio cuore, che mi trasformi in uno strumento creativo del Suo amore.Ci sono i serial killer e poi ci sono io: serial prayer.
Niente di pericoloso, a meno che non siate Dio. Quello che bombardo tutti i giorni con una miriade di richieste, semplici, complicate, impossibili. Perché io, nel mio Dio, ci credo davvero. E detta così lo so che sembra lo slogan per il prossimo spot dell’otto per mille, ma la realtà è che io lo so che sono inadeguata e peccatrice e che non posso contare solo su me stessa. Sono così consapevole della mia scomoda posizione che non posso fare a meno di appoggiarmi a Lui. Non è una fede di paura no, ma di convenienza a volte sì.
Dio per favore fai questo, Dio ti prego aiuta quella persona, Dio sostieni mia mamma che non si sente bene, Dio ricordati di mio marito che oggi ha un colloquio importante, Dio la pace nel mondo e se riesci pure lo sconto sulla passata di pomodoro BIO.
E’ bello pensare sempre di avere qualcuno a cui affidare bisogni, ansie, paure, preoccupazioni e perché no, anche pensieri banali della quotidianità, ma spesso, in tutte queste richieste, queste che come pallottole sparo una dopo l’altra, tutte in centro perfetto, c’è qualcosa che mi sfugge. Per quanto siano richieste umili, per quanto mi affidi, per quanto mi renda conto che Dio non è un juke box dove metti il gettone e parte la canzone, per giunta la tua preferita perché la scegli tu ovviamente, con Lui non funziona così. Certo, i gettoni bisogna averli guadagnati, le preghiere, le rinunce, le novene e quel “sia fatta la tua volontà”, ma nonostante questo Dio non è un bersaglio dove dobbiamo fare centro. Anche se abbiamo tutte le carte in regola, se siamo stati buoni, devoti, se abbiamo detto tutte le preghiere la sera, se crediamo davvero che lui sappia quale sia la strada migliore per noi, perfino, non è abbastanza. E forse ecco perché spesso le mie pallottole sembrano non fare centro.
Dio non ci dà i compiti a casa. Dio ci ascolta sempre, ma l’errore sta in quello che chiediamo: sempre la nostra canzone preferita, quella di cui parlavamo sopra del Juke Box, quella che nel ritornello ha puntualmente “Dio fai questo, Dio fai quello, Dio grazie, Dio da sola non ce la posso fare”.
Ecco, caro Dio, la tua serial prayer di fiducia oggi è qui per chiederti (“Ah, eccola che ricomincia con le richiesta!”, penserà Lui) di insegnarle a pregare.
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Sono già brava a dirti quello che mi serve, come mi serve e quando mi serve, ma invece di darti ordini (come se Dio prendesse davvero ordini da me, poi!), di delegarti tutti i miei bisogni, vorrei solo una cosa: aiutami a cambiare prospettiva. Non solo “ti prego aiuta quell’amica malata”, ma piuttosto “dammi tempo per andarla a trovare”, “dammi le parole giuste per confortarla”, “infondimi la forza di cui non sono capace per starle vicino”.
Fammi tuo strumento, Dio. Non devi fare tu tutto al posto mio, sono io che devo fare con quella luce che solo Tu però, mi puoi dare. Non aiutare mio marito col colloquio, aiutami piuttosto ad avere pazienza quando invece di darmi una mano coi bimbi deve prepararsi o quando tornerà a casa sconfortato e non saprò come sollevargli il morale. Non sei solo, Dio. Non devi fare tutto Tu. In questo sbagliavo nelle mie preghiere.
Pregare non è solo chiedere con fiducia e buone maniere, è mettersi in gioco, è cambiare, è mettersi a disposizione. Sono io che devo alleviare, curare, sfamare, ma da sola, limitata e spesso svogliata come sono, non ce la posso fare.
Allora Dio, io metto il gettone, tu scegli la canzone giusta, una di quelle che non ho mai sentito, ma che ti danno la carica, la voglia, la serenità per essere quello che serve a quel collega, alla figlia, al marito, all’amica, a uno sconosciuto. La preghiera ci cambia davvero se siamo noi a voler cambiare, se quel’affidarci a Lui non è solo riconoscere la nostra debolezza, ma anche sapere che Lui può fare con noi, piccoli e imperfetti, cose grandi.
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