Una serata in una parrocchia cilena e la scoperta di un’ipotesi nuova: vivere appieno il dolore per la morte di una sorella, offrirlo a Dio può cambiare la vita.
di Tommaso De Carlini (viceparroco di “Divino Maestro”, a san Bernardo del Cile)
In questi giorni, in Cile, viviamo la fine di un’estate molto intensa (qui le stagioni sono ribaltate rispetto all’Europa): abbiamo fatto l’oratorio estivo, siamo riusciti a costruire una nuova cappellina, con l’aiuto dei volontari della pastorale universitaria dell’università Cattolica di Santiago, abbiamo trascorso le vacanze con i ragazzi delle superiori. Infine, siamo stati con i nostri giovani e con un gruppo di adulti sull’isola di Chiloé per proporre l’esperienza di oratorio anche ai bambini che vivono lì. In mezzo a tutto ciò, ho passato qualche settimana in Italia. Ma oggi voglio raccontare un fatto accaduto la settimana scorsa.
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In parrocchia, ci troviamo il venerdì sera con un gruppo di adulti per confrontarci su un testo: durante la settimana, invitiamo tutti ad un lavoro personale. La domanda che ci eravamo dati da meditare l’ultima volta che ci siamo visti, suonava così: «Come può un’esistenza nel dolore arrivare ad essere tanto bella e desiderabile?». Dopo la preghiera iniziale, interviene una signora che non è cattolica né battezzata. Legge una parte del testo che avevamo distribuito, dicendo di essere rimasta positivamente colpita da queste parole:
La forza per aderire alla realtà ultima delle cose permette di usare anche quello che nessuno intorno a noi considera utilizzabile: il male, il dolore, lo sforzo per poter vivere, la incapacità fisica o morale, la noia e anche il rifiuto di Dio. Tutto può trasformarsi e mostrare gli effetti della sua trasformazione se si vive in relazione con la vera realtà: se si “offre a Dio”, dice la tradizione cristiana.
Poi, questa signora ci racconta di come aveva sofferto per la morte tragica della sorella. Soprattutto, dice, la faceva soffrire il fatto che tutto il mondo ritenesse normale dimenticare, come unica soluzione per tornare a vivere. Dimenticare il passato per costruire una nuova vita felice e spensierata. Questo atteggiamento non le corrispondeva perché non poteva dimenticare il dolore. Tutti i giorni, le ritornava alla mente il pensiero di sua sorella. Ella dice di essere rimasta stupita per il fatto che noi, invece, non la invitiamo a dimenticare ma piuttosto ad andare fino in fondo al suo dolore, ovvero ad offrirlo a Cristo, affinché Lui lo possa redimere e trasformare, come il pane e il vino che si portano sull’altare quando si celebra la messa. Confessa di non capire fino in fondo cosa voglia dire offrire il proprio dolore a Cristo, ma è certa che questa possa essere l’unica soluzione ragionevole per continuare a vivere come donna, come essere umano e non come un animale che esiste solo nel presente, senza tenere conto del passato.
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Alla fine dell’incontro, ho voluto ringraziarla per la sincerità con cui guarda alle cose. Mi sono rallegrato perché, grazie a lei, ho capito ancora una volta che il cristianesimo non è il risultato di tante riflessioni sulla vita ma la risposta più corrispondente alle esigenze del cuore umano, anche del dolore. Basta essere onesti e sinceri con la propria umanità: un incontro vero con Cristo permette di riconoscere, come è accaduto a questa signora, che Lui è l’unica risposta all’altezza delle nostre domande.
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