Certe situazioni non si dovrebbero neppure creare. Sindaco e maresciallo lasciano il corteo e vanno a denunciare il fatto. Nel mirino il “saluto” a Ciro Badami, già fedelissimo di Bernardo Provenzano
Nel cuore della provincia di Palermo, a Villafrati, l’arciprete ha fermato la processione del “Corpus Domini” davanti alla casa di un capomafia in carcere. E non uno qualsiasi, ma uno dei fedelissimi di Bernardo Provenzano, Ciro Badami. Una sosta non prevista decisa da don Guglielmo Bivona.
Le segnalazioni
Domenica sera scorsa, il maresciallo e il sindaco si sono guardati in faccia, non c’è stato bisogno di parole: si sono subito allontanati dalla processione. E appena tornati nei rispettivi uffici hanno iniziato a scrivere. Il carabiniere, alla procura della Repubblica. Il primo cittadino, al prefetto, ma anche all’arcivescovo di Palermo.
Durante la processione, c’era la moglie del boss ad accogliere la processione davanti casa: si è scambiata un veloce saluto con il sacerdote. Anche questo gesto non è passato inosservato.
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Chi è Badami
Badami era stato arrestato nel 2005, assieme al cugino Pasquale e al fratello Salvatore. Tutti e tre facevano parte della rete di comunicazione dell’allora superlatitante Bernardo Provenzano. Poi, dieci anni dopo, un altro arresto: Ciro Badami era diventato punto di riferimento per gli affari di Cosa nostra sul territorio (Repubblica Palermo, .2 luglio)
Le parole del sindaco
«Io non so se il sacerdote sapesse o meno che quella è l’abitazione di un mafioso condannato: c’era la porta aperta, accanto era stato sistemato un piccolo altare. Ma non ci possono essere equivoci davanti a certe situazioni. E Villafrati ha fatto ormai da anni delle scelte chiare, che non cambieranno di certo per i comportamenti di poche persone», ha dichiarato il primo cittadino a La Repubblica.
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L’anno scorso un altro pasticcio
L’anno scorso, il primo cittadino e il maresciallo erano andati via da un’altra processione: «Quella volta – racconta il sindaco – l’arciprete aveva fermato il santissimo sacramento davanti a una persona che non ha precedenti penali, ma la sua vicinanza a certi ambienti è risaputa in paese. Solo l’arciprete non sapeva, così ha detto» (FanPage, 3 luglio).
La processione a Corleone
Un precedente eclatante avvenne il 29 maggio 2016 a Corleone, quando la processione per San Giovanni Evangelista arrivò davanti alla casa della famiglia Riina, e, secondo polizia e carabinieri, il confrate Leoluca Grizzaffi, 36 anni, suonò la campanella e tutti si fermarono, proprio lì in via Scorsone 24. Il motivo? Per ossequiare la famiglia del defunto capo di Cosa nostra, secondo l’accusa. Il sacerdote, il 24 ottobre 2018, in primo grado, è stato condannato a sei mesi di reclusione dal Tribunale di Termini Imerese per quell'”inchino”.
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I due precedenti nel Catanese
Altri due episodi nel Catanese. Il 2 dicembre del 2015 a Paternò, con un doppio ‘inchinò davanti alla casa di Salvatore Assinnata storico boss legato alla famiglia Santapaola. Due cerai che erano in processione per la festa della Patrona, Santa Barbara, si sono fermati davanti alla sua abitazione. I portatori hanno eseguito a turno il classico ‘dondolamentò simulando un inchino reverenziale. Gesto non gradito però dal capomafia perché preferiva «non attirare l’attenzione», dirà poi intercettato.
Il 25 marzo 2016 a San Michele di Garanzia, durante la processione del Venerdì Santo, la bara con il Cristo Morto ha deviato il percorso previsto, con il forte dissenso di sindaco, parroco e del comandante della locale stazione dell’Arma per raggiungere lo slargo dove c’è la casa dei familiari del boss Francesco La Rocca (La Sicilia, 3 luglio).
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