Lo racconta il libro di Tobia dell’Antico Testamento. Ecco la storia e il significato di quell’apparizione
Troviamo la figura dell’angelo Raffaele in un libretto dell’Antico Testamento: il libro di Tobia. L’argomento del libro di Tobia è, per il lettore moderno, apparentemente piuttosto banale. Il protagonista, Tobi, è un anziano ebreo deportato a Ninive, in Assiria, insieme alla moglie Anna e al figlio Tobia; Tobi è un uomo molto religioso e caritatevole, e tuttavia è colpito da una grande disgrazia: egli diventa cieco e, nella sua sventura, prega Dio di farlo morire.
Il libro ci presenta, improvvisamente, un’altra storia parallela, quella della giovane moglie Sara, figlia di Raguel e Edna, abitante nella città di Ecbatana, molto distante da Ninive. Sara ha avuto sette mariti che le sono stati uccisi da un cattivo demonio di nome Asmodeo; disperata, prega anch’essa Dio di farla morire. Dio ascolta le preghiere di entrambi e manda un angelo, Raffaele, a salvare tutti e due. In questo frangente, il vecchio Tobi si ricorda di aver depositato del denaro presso un lontano amico che, guarda caso, non abita troppo distante dalla città di Sara (della cui storia Tobi non sa ancora nulla). Tobi decide così di inviare il figlio Tobia a prendere quel denaro; nel suo viaggio Tobia è accompagnato da un amico, Azaria, che è in realtà l’angelo Raffaele sotto sembianze umane; ma questo né Tobi né Tobia lo sanno.
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La proposta di Raffaele
Arrivati a Ecbatana, Azaria/Raffaele propone a Tobia di sposare la giovane Sara, cosa che Tobia fa, riuscendo a vincere Asmodeo con l’aiuto di un pesce pescato durante il viaggio. Il libro termina con un lieto fine: Tobia recupera il denaro del padre, ritorna a Ninive con la moglie Sara, guarisce la cecità del padre Tobi, ancora con l’aiuto del pesce. Padre e figlio scoprono soltanto allora la vera identità angelica di Azaria, e il libro si chiude con un canto di lode a Dio e con il racconto della morte, prima di Tobi, poi, molti anni dopo, di Tobia.
Fin qui la storia, come si presenta a un lettore frettoloso. Lo scopo di questo commento non è altro che quello di far vedere come una storia del genere, apparentemente distante dai nostri gusto, conservi ancora tutto il suo valore e, per il credente, continui ad essere una parola che Dio ci offre e che vale per la nostra vita oggi. Per molto tempo si è tentato di difendere l’autenticità storica di Tobia, soprattutto a partire dal fatto che nella sezione iniziale del libro (Tb 1,3.3,6) il vecchio Tobia parla in prima persona, come se scrivesse le proprie memorie, In realtà, è ormai chiaro che lo sfondo storico del libro – ovvero il regno assiro al tempo di Sennacherib e Asshardon, tra l’ottavo e il settimo secolo a.C. – è senz’altro fittizio e non corrisponde in alcun modo a dati storici reali.
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Preghiera e opere di carità
Benché Gerusalemme e il tempio siano nominati spesso, il libro di Tobia presenta una religiosità centrata non sui sacrifici offerti nel tempio, ma sulla preghiera e sulle opere di carità, una religiosità, cioè, tipica delle comunità giudaiche della diaspora. Il contesto nel quale il libro nasce, non va così trascurato: il narratore vuole mostrare, attraverso la storia di Tobi, anch’egli dipinto come un giudeo della diaspora, come sia possibile, per i giudei del proprio tempo viventi in terra strani era, continuare ad essere fedeli al Dio d’Israele fuori dalla propria patria e all’interno di una cultura così estranea alla loro com’era ad esempio quella ellenistica.
La missione dell’arcangelo Raffaele, l’angelo inviato da Dio per curare il vecchio Tobi e Sara sua sposa con il fiele del pesce e con il compito di accompagnare Tobia, figlio di Tobi per affrontare un viaggio rischioso per la sua vita, culmina nella manifestazione della propria essenza, quella, cioè, di angelo inviato da Dio per svolgere la sua funzione di accompagnatore, di curatore e di guaritore. A differenza del misterioso personaggio che noi incontriamo nel libro della Genesi e che rifiuta di svelare il proprio nome a Giacobbe, Raffaele si autorivela usando un nome che significa ciò che ha compiuto durante la sua missione: “medicina, farmaco di Dio”, “Dio guarisce”. Pur non adempiendo esattamente il compito di “angelo custode”, (la sua è una missione temporanea terminata la quale scompare), Raffaele si fa compagno di viaggio di Tobia come di ciascun uomo che si affida alla provvidenza divina in particolari momenti della vita.
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L’insegnamento dell’arcangelo
Siamo convinti, e la fede nella parola di Dio, ce lo conferma che Raffaele visitatore, amico e compagno di strada, ascolta il grido rivolto a Dio da parte di coloro che sono nella difficoltà di vivere un’esistenza fedele alla legge divina e alla pratica religiosa. Egli insegna l’amore verso Dio e verso il prossimo nella pratica della giustizia, dell’elemosina, dell’amicizia e della fratellanza. Con l’avvento di Cristo sulla terra siamo pienamente convinti che Gesù resta l’unico mediatore tra Dio e l’uomo perché suo salvatore venuto nel mondo per dare la vita e darla in abbondanza (Gv 10, 10), ma dobbiamo constatare anche Dio nell’Antico Testamento rivela la sua sollecitudine per l’uomo sofferente materializzandosi negli angeli, in particolare in san Raffaele come già aveva fatto con i tre uomini che si presentarono al patriarca Abramo.
Ciascun cristiano è chiamato a rendere visibile la missione angelica di curare e guarire e di rendersi tramite di salute e di salvezza per gli altri. Per fare ciò occorre usare un atteggiamento umano di accoglienza e di rispetto verso l’uomo che resta un emarginato e uno sconosciuto se non viene accolto e servito come persona con tutti i suoi problemi, i suoi atteggiamenti, i suoi bisogni e le sue aspirazioni per essere ascoltato, comunicare con lui e dialogare.
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