L’urgenza dei nostri giorni è la relazione e per instaurare una relazione bisogna avere tempo. Essere madri significa sacrificare il proprio tempo, renderlo sacro nella creazione della relazione con il figlio. La questione non è se allattare o meno un figlio. Se usare una fascia o preferire una carrozzina. Se fare uno svezzamento con le pappe o con il cibo di cui si nutre la famiglia. Se dormire col bambino o tenerlo in camerina.
Il discorso è: le madri hanno voglia di sacrificarsi per i loro figli? Perchè dobbiamo farci questa domanda. Perché siamo di fronte a una generazione che non sa relazionarsi. E la relazione si instaura quando il bambino è piccolo. No, non da neonato. Prima. Molto prima. E per instaurare una relazione bisogna sacrificarsi, avere tempo.
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Le ninne nanne, quelle nenie senza significato che terminano tutte con la parola “mamma”, “nanna” e “bambino”, erano un inizio di relazione. La mamma-il bambino. Parole, frasi, racconti. E poi i fratelli. Tanti. Le voci. I parenti. Le zie zitelle che aiutavano in casa. Il bambino era circondato da parole. Semplici, è ovvio.
Poi le famiglie si sono nuclearizzate (madre-padre-figli/figlio). Poi è venuta l’emancipazione: giusta, corretta… ma i bambini hanno cominciato a stare più con le maestre e le educatrici, che pur brave che siano (ce ne sono davvero di qualificate), non sono mamma, o zia, o nonna. Sono in rapporto 1-4, 1-6, 1-8 e non instaurano relazioni, ma educano, stimolano.
Ecco che il problema non sta (più) nel cercare d’implementare l’allattamento materno o come ascoltare il bisogno di contatto. Adesso l’urgenza è la relazione, poiché le donne, oramai da anni, non si sanno relazionare coi bambini. Leggono libri, ascoltano i suggerimenti delle educatrici, seguono i consigli dei meme sui social, eseguono i consigli che le psicologhe danno sule riviste. La domanda che continuamente fanno a chiunque è: “Come faccio?” E “Quando fa così (il bambino) cosa vuol dire?”. E non c’è nulla di peggio del fatto di non sapere. Non avere una strada. Si fanno ricerche su Google su ‘Come fare a far dormire un bambino’ perché le donne non hanno esempi, sono sole e incompetenti. Certo: allattando la relazione la si instaura un po’ di più: è un buon inizio. La fascia è un buon modo per stare col bambino. Ma poi? Il tempo ci divora e in pochi anni alcune madri si trovano davanti bambini che non conoscono. Madri che pensano che un bambino abbia bisogno di giochi o di compleanni festosi al technicolor, quando invece i bambini hanno bisogno di tempo. Tempo per stare con i genitori. Tempo per parlarsi. Tempo per imparare a tagliare le zucchine. Tempo per acquisire sicurezza nelle tabelline. Tempo per spiegare la storia del drago verde che mangia gli spinaci così i bambini possono divorare, felici, le patate fritte. E tempo ce n’è poco. Purtroppo scorre. E a un figlio non interesserà se è stato allattato 6 mesi o 6 anni, se la fascia era a righe o i lenzuolini a cuori, oppure se è stato svezzato a carbonara o tofu. A lui interesserà il tempo.
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La relazione prima o poi si creerà. E quando poi un figlio ha quindici anni e un genitore non ha mai dato tempo alla relazione con lui, non si potrà pretendere molto.
Essere madri significa sacrificare il proprio tempo. Renderlo sacro nella creazione della relazione con il figlio. Conoscerlo, capirlo.
Ecco, se c’è qualcosa di cui hanno bisogno adesso i bambini, è il tempo con le loro madri. E questo, non perché la figura del padre non abbia rilevanza. Non perché le educatrici dell’asilo nido non siano capaci. Non perché le maestre della scuola materna non siano adeguate. Ma perché una società la cui cultura si basa sul provocare un distacco, uno scollamento, un allontanamento forzoso tra i bambini e le loro madri, contribuisce solo a rendere incapaci di relazionarsi degli adulti. Non ci saranno neuropsichiatri infantili o psicologi che terranno, quando poi i ragazzi non sapranno relazionarsi col docente.
Stiamo forse dicendo che le donne non devono lavorare? O non devono realizzarsi? No, ovviamente. Stiamo semplicemente chiedendo che i bambini vengano ascoltati. E che il tempo è dei bambini.
Pretendiamolo. Da mamma a mamma.
QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO DA RACHELE SAGRAMOSO