Siamo in Polonia, durante l’occupazione nazista. Anna e Stanislaw sono sposati da poco e vivono in una misera casa insieme con la mamma di lui. Non il nido d’amore che tutte le spose sognano eppure, proprio dietro quella porta, abitava una donna capace dell’amore più grande. Ha sacrificato anche suo figlio per salvare la nuora e il bimbo che portava in grembo.Immagina di sposare un uomo.
Attaccato disperatamente alle sottane della mamma.
E povero in canna.
Così povero da non potersi permettere di portarti a vivere in una casa vostra.
O che forse ci riuscirebbe anche, a trovare una sistemazione alternativa, solo che non vuole perché “iiihhh, poi come fa la mia mammetta, tutta sola?”.
Immagina di sposarti.
E di andare a vivere con tua suocera.
Immagina di vivere con lei ventiquattr’ore su ventiquattro, e non in una sistemazione transitoria alla “vabbeh, stringiamo i denti”, ma in un sodalizio indissolubile stile “io, mammeta e tu”, finché morte non ci separi.
Immagina di avere tua suocera che recita il rosario nella stanza affianco, mentre tu vivi i tuoi momenti di intimità con tuo marito.
Immagina di avere tua suocera che controlla tutto quello che fai e che (sempre col sorriso sulle labbra, percaritàdiddio!) ti fornisce ogni due minuti degli imperdibili consigli. “No, attenta a quell’anta della finestra ché è difettosa, fa così da anni”, “attenta, corri a spalar la neve tu che sei giovane, ché poi se ghiaccia su questo vialetto in discesa son cavoli amari”.
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Come dite?
Un incubo? “Meglio la morte?”.
Beh. Sono solamente supposizioni mie, ma immagino che, a un certo punto, abbia pensato esattamente la stessa cosa anche la povera signorina Anna, quando il suo Stanislaw le aveva chiesto la mano… a patto di andare a vivere tutti quanti con mamma Marianna, “ché poverina, si sente così sola, dopo che mia sorella s’è sposata ed andata a vivere con suo marito”.
Eh.
T’hai capito, la sorella.
***
Comunque, che gli piacesse o no, i due sposini si erano rassegnati a questa bizzarra sistemazione.
Per risparmiare, si risparmiava.
Trascorrevano la vita assieme, in un interessante menage a trois: erano sempre in compagnia al momento del pranzo, al momento di andare a letto, al momento di riposarsi nel primo pomeriggio prima di tornare alle proprie occupazioni. Erano tutti assieme anche quel giorno, quando qualcuno aveva bussato alla porta e la giovane Anna si era alzata dalla sua seggiola, per andare ad aprire.
Tutto subito aveva sgranato gli occhi, trovandosi di fronte un ufficiale nazista che le puntava addosso una pistola.
Certo: nella Polonia del ’43 occupata dalla Germania, i nazisti non erano propriamente noti per la cortesia e la premura con cui si rapportavano con la popolazione autoctona. Ma quel giorno, con un nazista che urlava in Tedesco sulla soglia di casa loro, i tre membri della famiglia si scambiarono un’occhiata incerta, e sinceramente stupita. Cos’avevano fatto, loro, di male?
Non erano ebrei, non erano oppositori politici, non erano zingari, non erano ammalati; non erano ricchi (niente soldi da sequestrare), non avevano mai fatto male a una mosca, non si erano mai lamentati del regime, non avevano mai dato motivo di essere considerati “presenze sgradite” o “criminali”… perché cavolo si trovavano con un nazista che gli puntava una pistola alla tempia, adesso??
I loro interrogativi trovarono presto una risposta.
A quanto pare, nel paesello vicino, alcuni esponenti della Resistenza polacca avevano appena ammazzato un certo numero di Tedeschi. Occhio per occhio, vita per vita, il commando nazista aveva stabilito di reagire giustiziando dei cittadini polacchi presi a caso, per dare una lezione a quei partigiani che si erano spinti a tanto oltraggio.
Fu un attimo, ci fu a malapena il tempo di capire cosa stava succedendo: nell’arco di pochi istanti, Anna fu spintonata all’interno della sua casa, i soldati entrarono nell’appartamento, accerchiarono la donna e suo marito, e li ammanettarono per condurli sul luogo dell’esecuzione.
La vecchia suocera Marianna, che era seduta in disparte a lavorare a maglia, ci mise qualche secondo per realizzare cosa stava succedendo.
“NO!”, gridò disperata.
Gridò e si alzò di scatto, facendo rotolare in terra i ferri da maglia e il gomitolo di lana. “No, vi prego!”. Si gettò ai piedi di un soldato, scoppiò a piangere: “vi prego! Prendete me!”
Tacque per un attimo e puntò gli occhi in quelli del soldato, supplicante. “Prendete me, uccidete me; ma liberate uno dei due. Mi offro al suo posto. A voi non cambia nulla”.
I soldati si guardarono. Quello che sembrava essere il capo strinse le spalle e fece una smorfia sprezzante: “se proprio ci tieni, vecchia…”. E poi aggiunse: “chi dei due vuoi salvare, allora?”
Ancora inginocchiata, in lacrime, con le mani giunte in preghiera, Marianna posò lo sguardo sui due ragazzi prigionieri. Guardò suo figlio, il frutto del suo grembo, il suo bambino perfetto, il sangue del suo sangue, la vita della sua vita, la sua ragione d’esistenza; e il figlio guardò lei, pallidissimo e ad occhi sgranati. Si fissarono per qualche istante, che sembrò una vita.
E poi, Marianna guardò la nuora.
“Lasciate libera lei”, sussurrò pianissimo. “È incinta”.
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Marianna Biernacka e suo figlio Stanislaw furono trucidati a Naumowicze, presso Grodno, il 13 luglio 1943.
Anna sopravvisse e diede alla luce un figlio, e visse molti altri anni grazie al sacrificio della suocera.
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