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Gucci “difende” le donne celebrando l’utero vuoto

MODEL UTERO GUCCI

GUcci Cruise 2020 Fashion Show

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Paola Belletti - pubblicato il 31/05/19
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Anche il brand Gucci butta il suo sdegno chic sul tavolo da gioco: la Georgia è contro l’aborto? Anche la Lousiana e l’Alabama? Allora la moda dice no! In nome della libertà della donna, ca va sans dire.

«Le donne vanno rispettate e considerate libere di scegliere quello che vogliono per il proprio corpo. Anche se è la scelta più difficile, quella di interrompere una gravidanza». Davanti a ciò che sta avvenendo negli Usa, dove, dall’Alabama alla Louisiana, sempre più Stati approvano leggi ed emendamenti per impedire l’aborto, neanche la moda può restare in silenzio. La pensa così Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci, che tra i suoi modelli scesi in passerella ai Musei Capitolini. (Il Messaggero)


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A parlare e postare così è il direttore creativo del Brand, Alessandro Michele. E per dirlo con il linguaggio della moda ha buttato in passerella, oltre a modelli e modelli in un disturbante continuum maschile-femminile sempre meno identificabili, un abito per celebrare l’utero, l’utero vuoto.

Siamo al Gucci Cruise 2020 Fashion Show, ai Musei Capitolini.

In passerella scorre come un fantasma del quale sfoggia sia il pallore sia la sottigliezza -che sembra quasi inconsistenza- una modella, vestita in un lungo abito bianco sul quale è ricamato un utero con i colori di una illustrazione anatomica: vuole essere un fiore. E’ l’utero come lo intende quest’uomo, cioè – a ben giudicare un oggetto sterile e ornamentale. E così  commenta:

Noi che facciamo moda è come se avessimo delle antenne – ha spiegato Michele – per quello che ci succede intorno. E l’utero delle donne, questo mistero che noi uomini possiamo immaginare, l’ho immaginato come un fiore. Interrompere una gravidanza non estirpa questo fiore (Ibidem).

Uteri immaginari, ventri immaginati: del bambino, nessuna traccia. Gli uteri e gli sguardi sono desolati.

Della donna che non sia ridotta a corpo di cui disporre (o far disporre) nessuna denuncia, nessuno a farsi scudo. Anche Roma, nell’immaginazione di quest’uomo, è un grande utero che tutti ci contiene. Ma quando ci partorirà?

Eppure c’era quasi: l‘utero è un mistero, la donna lo custodisce; l’uomo può contemplarne il prodigio. L’utero è un mistero perché la vita di ogni persona è un mistero. E il fiore divelto semmai è la vita tolta dalla sua prima decisiva dimora, non l’utero lasciato orfano del figlio. Ma poco importa; qua ciò che conta è il pensiero, l’immaginazione, sono i simboli, le sensazioni. Tutto intangibile, sussurrato, esclusi i profitti dell’industria della moda e l’approvazione, non so dire quanto monetizzabile, della religione del pensiero unico dominante, quello che ha nell’aborto il suo contro-sacramento principale.

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Così in passerella sfilano blazer con slogan femministi degli anni Settanta “My body my choice” e capispalla con la data 22.05.1978, quella della legge 194 sull’interruzione volontaria della gravidanza. La maison dal 2013 è impegnata con la campagna Chime for Change per supportare i diritti sessuali e riproduttivi delle donne: perché, come ha spiegato su Instagram dopo la sfilata, «Nessuno può andare avanti se metà di noi viene trattenuta indietro».

Dire e ridire le stesse cose sulla menzogna mastodontica dell’aborto come diritto è estenuante eppure sempre necessario. In questo caso basterebbe stare un po’ all’aria aperta, incontrare visi reali, stare con donne, uomini, bambini veri e poi, di colpo, piombarsi a guardare le immagini di questa sfilata.

Sfido chiunque a reprimere una istintiva reazione di fastidio, angoscia e ripulsa. Donne e uomini magrissimi, pallidi, con sguardi così vacui da far dubitare di un livello seppur minimo di coscienza. Cosa c’è di veramente bello in un’estetica di questo tipo?


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Se è necessario essere addetti ai lavori per rendersene conto, significa che non è vera bellezza. Che sia necessario essere addestrati per apprezzare uomini ridotti all’anoressia che indossano gambaletti color carne dovrebbe interrogare molti. Così come la necessità di sbeffeggiare o dissacrare simboli cattolici (il velo da suora, ad esempio, a che pro?)

Invece, nella coerenza interna che ogni espressione artistica esige, ecco che nella proposta presentata ai Musei capitolini spicca un altro modello emblematico: la maglia con la data dell’approvazione della legge 194. La legge per la tutela sociale della maternità e (ci sarà un refuso, dovevano scrivere o. E’ evidente che sia un aut aut. O tuteli la maternità, proteggendo mamma e  bambino, aiutandoli entrambi, o permetti di interromperla legalmente) la legalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza.

Va riconosciuto al mondo della moda, a parte di esso perlomeno, che sta già facendo tanto da tempo per permettere alle donne di evitare gravidanze indesiderate: l’amenorrea è conseguenza inevitabile di un indice di massa corporea troppo basso, si sa.

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