Conoscete la leggenda di San Volfango, un incredibile santo vissuto tra Ratisbona e i monti austriaci?
Si è fatto aiutare dal diavolo a edificare una chiesa. Questa è una delle numerose leggende nate e diffuse sul vescovo tedesco Volfango (Wolfgang, 925-994).
È uomo di Chiesa anche impegnato della vita civile; costruttore di edifici sacri, ma pure di case e di villaggi nelle campagne germaniche, nell’epoca in cui, secondo invenzioni messe in giro vari secoli dopo, l’Europa sarebbe vissuta nel terrore apatico della “fine del mondo”: verso l’anno 1000.
Benedettino
Si forma nel monastero benedettino di Reichenau, sul lago di Costanza, e dal 956, sebbene non sia sacerdote, guida la scuola arcivescovile di Treviri, in Renania.
Nove anni dopo abbandona l’incarico e si ritira nell’abbazia di Einsiedeln (attuale Svizzera), e nel 968 diventa prete. La sua volontà è lavorare per la cristianizzazione degli ungari che, terminate le razzie, stanno divenendo agricoltori, però i suoi sforzi hanno poca fortuna.
La “rivoluzione” della diocesi di Ratisbona
Nel 972 viene scelto come vescovo di Ratisbona, la città bavarese che le valli dei fiumi Regen e Naab collegano con le terre boeme, le quali, dal punto di vista ecclesiastico, dipendono dalla diocesi di Ratisbona.
Ma Volfango non gradisce queste dimensioni, e compie una scelta che sbalordisce: provare a rimpicciolire la sua diocesi per dare ai cristiani boemi una diocesi boema, con sede a Praga e con un loro vescovo.
Le proteste dei vescovi
Riceve molte proteste: quasi tutti i vescovi cercano di ingrandire le loro diocesi, perché Volfango qui vuole ridurre la sua? Perchè per incarnare il cristianesimo in una popolazione bisogna riconoscerne e valorizzarne la personalità, le tradizioni, anche con sede e gerarchia ecclesiastica locale. Volfango capisce così l’esistenza di una questione che occuperà anche il XX secolo e oltre. E non bada alle lamentele: la diocesi di Praga si fa. E nel 976 ha il suo primo pastore, Tiethmaro, predecessore del grande sant’Adalberto.
Leggi anche:
Così Santa Teresa di Lisieux scacciò il diavolo dalla sua vita
La fuga sui monti
Anno 974: i contrasti tra il duca Enrico II di Baviera e l’imperatore Ottone II lo “obbligano” a rifugiarsi nel monastero di Mondsee (regione di Salisburgo). E’ in questo periodo che sarebbe nato, secondo una leggenda, il suo rapporto con il diavolo (La Stampa).
Volfango stava vivendo un momento di difficoltà interiore. Era quasi irritato per i troppi onori, le troppe celebrazioni nel suo nome, le molteplici riverenze, gli applausi non solo del popolo ma pure del potere politico, anche nel più alto grado, e cioè l’imperatore Ottone stesso.
Gli ritornavano in mente le parole evangeliche: “… hanno ricevuto la loro ricompensa”. Era forse il suo caso, stava rischiando anche lui? Meglio fuggire.
La prima visita del diavolo
Destinazione: prima i monti vicino a Salisburgo, poi sulle rive dell’Abersee vicino a Falkenstein, sempre in Austria.
Per un anno intero volle patire il freddo, il caldo, la solitudine, la fame e la sete. Ma non solo. Il diavolo volle alleviare la sua solitudine con una visita non di cortesia ma di tentazione, come da copione e da mestiere. Risultato magro.
Allora gli scagliò contro una montagna per schiacciarlo. Ma Volfango, pronto, si scansò appoggiandosi al monte Falkenstein. E qui rimasero impresse l’impronta di una croce formata dalla testa e dalle braccia.
Leggi anche:
Così San Giovanni Bosco sfidava il diavolo
La chiesa di San Giovanni
Volfango lanciò da lì la sua ascia. Laddove cadde egli volle costruire con le proprie mani una chiesetta ed una cella. E, narra la leggenda, costrinse addirittura il diavolo, ad aiutarlo nella costruzione. Attorno a questa cappella nacque poi il villaggio chiamato St Wolfgang, San Volfango, sulle rive del lago omonimo, il Wolfgangsee. La chiesa, invece, fu intitolata a San Giovanni.
Dopo alcuni anni però fu riconosciuto da un cacciatore di Ratisbona e fece ritorno nella sua diocesi.
I due simboli
Questa leggenda spiega i due elementi con cui si raffigura san Volfango: l’ascia e la chiesa. Si voleva insomma far capire che nella sua vita egli era stato un costruttore di chiese. Ma non solo. L’ascia significava che si poteva invocare san Volfango come protettore delle frontiere. Il lancio dell’ascia era infatti un antico costume per definire una frontiera (Don Bosco Torino).
Volfango muore in Austria durante una campagna di predicazione. Papa Leone IX lo canonizza nel 1052.
Leggi anche:
Gli angeli hanno protetto San Francesco Saverio dall’assalto del diavolo