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Don Fabio Rosini, Abramo, i migranti: la Bibbia secondo Neri Marcorè

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 23/05/19
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L’attore e regista marchigiano racconta in che modo è stato ispirato dalle Sacre Scritture

Ospite lo scorso 2 maggio alla serata inaugurale del Festival Biblico di Vicenza, il regista e attore Neri Marcorè è un cultore delle Sacre Scritture.

Marcorè, intervistato da Famiglia Cristiana (23 maggio), cita una sua recente lettura: «Ho appena concluso un libro di don Fabio Rosini che s’intitola L’arte di ricominciare (edizioni San Paolo, 2018 ndr). Parla del libro della Genesi e di come queste parole vadano interpretate in senso metaforico. La Bibbia racconta cose che in realtà vogliono dire anche molto altro. Sono parole dietro alle quali ci sono dei messaggi, dei consigli utili per la nostra quotidianità. Questo interessa, penso, un po’ tutti. È qualcosa che ci aiuta a migliorare nella vita, nel rapporto con noi stessi e con gli altri».


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Il Nuovo Testamento

Dell’intera Sacra Scrittura, Marcorè dice di conoscere meglio il Nuovo Testamento «perché fino a una certa età ho frequentato la Chiesa e ho completato il percorso dei sacramenti. Mi è invece meno familiare l’Antico Testamento, ma mi piacerebbe affrontare la lettura integrale delle Bibbia… Chissà, prima o poi ci riuscirò».

“Il fascino della fedeltà assoluta”

In realtà, scrive Famiglia Cristiana, l’attore marchigiano mostra una certa familiarità con le storie bibliche. Il personaggio che lo colpisce di più è «Abramo». «Un padre – osserva Marcorè – che riesce ad avere un figlio solo in tarda età e ama questo sangue del suo sangue più di ogni altra cosa. Poi, a un certo punto, Dio gli chiede di sacrificarlo per amor suo e lui ha un rispetto talmente grande per Dio da essere pronto a obbedire. Credo che anche qui vada applicata un’interpretazione metaforica: non devi mai dimenticarti da dove arrivano le cose, al di là che tu creda o meno. Siccome Isacco è arrivato da Dio, non puoi sottrarti alla sua richiesta…»

«Per fortuna – aggiunge – c’è anche il lieto fine, ma il fascino di Abramo è quello della fedeltà assoluta, del tutto iperbolica. Da non credente, che razionalmente non riesce ad ammettere l’esistenza di Dio, tutto questo su di me esercita un grande fascino».


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“I custodi delle chiavi”

Poi sentenzia: «Secondo me il peccato è sprecare l’opportunità di vivere bene la mia esistenza. Essenziale è spenderla per fare qualcosa di buono e possibilmente per essere felice». Perché i valori tramandati nelle Sacre Scritture devono avere riflessi nella propria quotidianità. E uno di questi valori – quello che ha sperimentato anche il Popolo di Abramo – è l’accoglienza.

«Se vogliamo davvero costruire un mondo migliore», riflette, «non possiamo continuare a pensare che questa terra appartenga solo a noi, o che abbiamo dei meriti per essere nati in Italia. Non ha più dignità chi scappa da una guerra rispetto a chi è infelice in un posto e pensa di trovare la propria felicità in un altro. In questo senso non siamo i custodi che detengono le chiavi d’accesso per decidere chi deve entrare e chi non deve entrare. Se viviamo nel benessere, è merito di chi ci ha preceduto e del caso che ci ha fatto nascere qui e non in una regione subsahariana».


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