Il martirio è da brividi. Ma non tutti gli storici concordano su come si sarebbero svolti i fatti
In Italia quello di Giulia è uno dei nomi femminili più popolari. Della Santa omonima (420-450), però, poco o nulla si sa, se non l’ essenziale: all’abiura della fede cristiana preferì il martirio.
È una Passio alquanto tarda risalente probabilmente al VII secolo d.C. a narrare il suo martirio intrecciandolo con leggende edificanti e tradizioni (Famiglia Cristiana, 23 maggio).
La schiava di Eusebio
Giulia era una nobile ragazza cartaginese del V sec. d. C. che, caduta in schiavitù, fu acquistata da un commerciante, un certo Eusebio, e condotta in Siria. Eusebio, sebbene pagano, teneva però in gran considerazione le doti umane e spirituali di Giulia, essendo lei una schiava dolce, sottomessa e devota.
Quando, finito il suo lavoro, le era concesso di riposare, si dedicava alla lettura o si raccoglieva in preghiera. Mossa dall’amore di Dio, essa digiunava frequentemente e il suo padrone non riuscì mai a farle interrompere il digiuno un solo giorno, se non la domenica di Risurrezione (Vatican News, 23 maggio).
Eusebio era così legato a Giulia tanto da portarla con sé nei suoi viaggi. In uno di questi, all’altezza di Capo Corso (Corsica), scamparono ad un naufragio e si fermarono sull’isola, dove regnava il governatore Felice, uomo violento e crudele.
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Il martirio e la resistenza eroica
Il governatore aveva deciso di acquistare la bella schiava, ma Eusebio rifiutò la pur allettante proposta, tenendo molto alla donna.
Una sera, allora, Felice, approfittando dell’ubriachezza di Eusebio, si fece condurre dinanzi Giulia, offrendole la libertà qualora avesse sacrificato agli dei. La Santa rifiutò con una secca risposta rifiutando gli idoli pagani. Felice, indignato, tentò in vari modi di far abiurare la giovane dalla propria fede. “La mia libertà è servire il Cristo, che adoro ogni giorno in tutta la purezza della mia anima”, ripeteva Giulia.
Nel mezzo di questi tormenti, la Santa continuava a confessare la sua fede con sempre più ardore: “Confesso – gridava – Colui che per amore per me ha sopportato il supplizio della flagellazione. Infatti, se il mio Signore è stato incoronato di spine a causa mia, è stato inchiodato all’albero della Croce, perché dovrei rifiutare di lasciarmi strappare i capelli come prezzo per la confessione della mia fede, al fine di meritare di cogliere la palma del martirio?”. La Santa morì crocifissa.
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Capelli strappati e crocifissione
Tutti gli sforzi di Felice, ciononostante, si rivelarono inutili. Per questo, non esitò a ricorrere a violenze, facendola percuotere e flagellare. Da ultimo, ordinò che le fossero strappati i capelli e che, come il Maestro che lei seguiva, fosse crocifissa a due legni in forma di croce, e gettata in mare.
I monaci
Avvertiti misteriosamente in sogno alcuni monaci della vicina isola di Gorgona di quanto accaduto, questi avvistarono al largo la croce con il corpo della martire ancora inchiodate mani e piedi. Non solo. Attaccato alla croce vi era un cartiglio, scritto da mani angeliche, con il nome e la storia del martirio. Recuperato il corpo e trasportatolo nella loro isola, dopo averlo ripulito ed unto con aromi, lo deposero in un sepolcro.
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Un’altra versione
Alcuni studiosi ritengono però che Giulia, di origine cartaginese, fosse morta martire in una delle persecuzioni sotto Decio (250 circa d.C.) o Diocleziano (304 d.C.) e che, a seguito dell’invasione dell’Africa da parte dei Vandali di Genserico, di fede ariana, alcuni cristiani fuggirono, portando con loro le reliquie della martire, riparando in Corsica.
Lì la Passio originaria fu arricchita di taluni particolari che fecero assomigliare sempre più il racconto del supplizio della giovane a quello della Passione del Signore (di qui il riferimento alla flagellazione, alla crocifissione, all’unzione del corpo, ecc.).
A Brescia
Sebbene la martire fosse morta in Corsica e fosse poi approdata presso altri lidi, lei non è stata dimenticata nell’ isola francese prossima all’Italia, di cui è ancora patrona. Nel 762 d.C. circa, la regina Ansa, moglie del re longobardo Desiderio, fece traslare le reliquie di Santa Giulia a Brescia, dove tuttora sono conservate. Viene ricordata dalla Chiesa Cattolica il 22 maggio.
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