Michela D’Antò e Federica Caracò hanno vinto il Primo premio con il massimo dei voti della giuria tecnica per la seconda edizione del Health technology challenge, svoltosi a Catanzaro. L’Health Technology Challenge (HTC) è un’iniziativa per mettere mano con approcci innovativi ai tanti problemi che affliggono a volte sembra irrimediabilmente il nostro sistema sanitario. Come possiamo agire meglio, spendendo meno e con maggiore efficacia a beneficio dei pazienti?
Tra i 162 progetti presentati ad aggiudicarsi il Primo premio assoluto sono state Michela D’Antò e Federica Caracò, della Fondazione Pascale la prima e dell’Università Federico II la seconda.
Leggi anche:
10 favolose invenzioni delle donne
Sono due donne ingegnere e questa combinazione, pare, abbia sortito risultati superbi. Anzi no: pratici, utili a molti, geniali. Femminili? Nessun problema con gli stereotipi, da queste parti. Ma sono anche altre voci (di solito impegnate a sottolineare con matite puntute differenze tra i due sessi dimenticando forse l’alleanza di fondo) ad attribuire ai benefici tratti di questo progetto fattezze muliebri:
Il loro progetto garantisce una buona qualità di immagini con maggior sicurezza e minor invasività, riducendo del 40-60% la dose di radiazioni. Fare meglio con meno, roba, da sempre, di femmine. (Labodif)
Il grassetto è mio; il testo della pagina Laboratorio delle differenze
[protected-iframe id=”f62f59ae8fff626e4817c9b47e14c48d-95521288-119775105″ info=”https://www.facebook.com/plugins/post.php?href=https%3A%2F%2Fwww.facebook.com%2Fpermalink.php%3Fstory_fbid%3D2469115366460734%26id%3D160791677293126%26substory_index%3D0&width=500″ width=”500″ height=”530″ frameborder=”0″ style=”border:none;overflow:hidden” scrolling=”no”]
Il premio è stato consegnato durante il XIX Congresso dell’Associazione nazionale degli ingegneri clinici (AIIC) che si è svolto a Catanzaro. Le due ingegnere di Napoli, Michela D’Antò, della Fondazione G. Pascale e Federica Caracò, dell’Università degli studi Federico II, hanno ottenuto il massimo punteggio della giuria tecnica e popolare con il progetto “Valutazione di un protocollo per la verifica delle funzionalità di un sistema di riduzione della dose installato su tomografi assiali computerizzati”. (Huffington)
Chissà se a loro, come pay off della loro invenzione, starebbe più a genio un ormai classico more is less o qualcosa di più partenopeo! Non importa. Conta il cuore di questo progetto che consiste nell’elaborazione di:
un protocollo per ridurre del 40-60% l’esposizione garantendo una buona qualità dell’immagine. Si tratta di un algoritmo che permetterà il collaudo di macchine di varie aziende e in diversi modelli in modo da poter effettuare le Tac a dosi ridotte. (Ib)
Le due professioniste sono partite dall’osservazione delle “abitudini diagnostiche” in uso nel nostro paese. E da chi più di tutti subisce gli effetti negativi di indagini che implicano l’esposizione a radiazioni: i malati oncologici.
Si stima che in Italia su oltre 40 milioni di esami radiologici effettuati ogni anno, circa il 44% sia prescritto in modo inappropriato e non sia strettamente necessario. I malati oncologici sono i più esposti a queste radiazioni durante la fase della diagnosi e nei continui controlli successivi, nel corso delle cure e dopo. (Ansa)
Leggi anche:
La cannuccia antistupro: l’invenzione geniale di tre studentesse americane
E’ bello e confortante ammirare in azione una simile creatività, frutto di altissime competenze tecniche e di attenzione orientata ai bisogni di persone reali e vulnerabili. Complimenti allora anche dalla redazione For Her alle due ingegneri napoletane, accomunate da preparazione, professionalità e un curioso cognome tronco che mi fa pensare ad uno sbilanciamento in avanti anche del loro modo di pensare. D’Antò e Caracò non restano “sdrucciole”, non ce le vedo a dire “non è un problema mio”, questa cosa e a valle noi siamo a monte. Le vedo correre da monte a valle, attrezzate, esperte e cariche di umanità. E l’intervista rilasciata in occasione della premiazione sembra confermare l’impressione.
Leggi anche:
Il paradosso, non solo norvegese, delle donne che scelgono studi e professioni “da donna”