Ora che i ricordi di una vita sono tutti sfumati, divorati dalla malattia, rimane solo il ricordo della tenerezza struggente della maternità e della figliolanza, la relazione più intima e profonda che ci portiamo dentro.Stamattina, due passi al parco dietro casa. Incrocio un gruppetto di neomamme con carrozzina, intente a fare ginnastica spingendo i loro piccoli. Tenerissime.
Poco più in là, un altro essere umano su quattro ruote. In questo caso, però, anziché una persona che si è appena affacciata alla vita, sulla carrozzina c’è una donna molto anziana. E a spingerla non è una mammina sorridente, bensì una badante.
La badante sta parlando al cellulare in una lingua che non riconosco, dell’est europeo. Con una mano tiene il telefono, spinge la carrozzina solo con l’altra.
La donna anziana, evidentemente vittima dell’Alzheimer, ripete continuamente, come una litania: “Ma dov’è andata la mia mamma? La mia mamma dov’è andata?”.
Non mi vergogno a dire che mi sono spuntate le lacrime. Chissà da quanti anni la mamma di quella donna è “andata via”, in un mondo lontano da questo. Chissà da quanti anni questa anziana non ha nessuno che la accarezzi con la tenerezza della sua mamma.
E ora che i ricordi di una vita sono tutti sfumati, divorati dalla malattia, rimane solo il ricordo della tenerezza struggente della maternità e della figliolanza, la relazione più intima e profonda che ci portiamo dentro.
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Forse anche la badante stava parlando al telefono con i propri figli lontani, lasciati soli al suo paese. E in un mondo che ha sempre più bisogno di relazioni intense e vere come quelle fra genitori e figli, e vive una solitudine ed una fame di affetto sempre più intense, mi rivolgo a Colui che ha amato fino a fare la vita, proprio come una mamma, e gli ricordo le sue parole: “Quale donna si può dimenticare dei suoi figli, e non commuoversi per il frutto del suo grembo? Anche se questa madre si dimenticasse, Io non ti dimenticherò”.
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