Da più di 50 anni, la Chiesa invita i fedeli a pregare per le vocazioni in modo particolare nella quarta domenica dopo Pasqua. Ogni vocazione è unica e ciascun cammino è irripetibile. Aleteia vi propone di scoprire quello di padre Emmanuel Tois, ordinato prete dopo essere stato magistrato per 16 anni.
«Dio passa mediante l’uomo, e io ho incrociato l’umanità per tutto il tempo della mia vita da magistrato». Oggi parroco di Notre-Dame du Rosaire, nel XIV arrondissement di Parigi, padre Emmanuel Tois, 53 anni, ha un percorso singolare. Per 16 anni è stato un po’ giudice d’istruttoria e un po’ giudice al tribunale minorile o per le tutele… Una missione accattivante che l’ha preparato con discrezione a un’altra missione, quella di pastore. Così ha detto ai microfoni di Aleteia:
Ho visto tante persone che soffrivano. Il giudice è un uomo al servizio della pace, il suo scrupolo è quello di prendere decisioni che siano buone per le persone. Questo mestiere mi ha insegnato che l’ascolto è fondamentale. Un giudice ascolta tanto. Alle volte si è angosciati e ci si domanda: «Che cosa posso dire a questa persona per darle pace?» Si ha voglia di fare del bene e si pensa che il bene passi dalla parola. Si ha paura. È quando si ascolta veramente che si giunge a dare pace alla persona, perché finalmente può deporre qualcosa. E se uno sta a pensare a cosa può dire non ascolta più. Lo Spirito Santo c’è ed è Lui che ispira le cose da dire.
Proveniente da una famiglia «molto confusa sul piano della fede», tuttavia ha vissuto le grandi tappe della vita cristiana. Nel 1977, il giorno della cresima, il piccolo Emmanuele riceve la chiamata al sacerdozio in modo molto netto: «Quel giorno ho veramente percepito lo Spirito Santo», si ricorda. A partire da allora, decise di andare a messa tutte le domeniche e rimase fedele a quell’impegno diventando chierichetto. «L’eucaristia mi ha attratto e formato», prosegue padre Emmanuel Tois. La messa occupò un posto crescente nella vita del giovane adolescente, il quale non esita ad approfittare dei ritrovi in famiglia per vivere a proprio modo la vocazione che presente. «Mi sono messo a giocare alla messa col grembiule della nonna», aggiunge con una punta di divertimento. Qualche camicetta a mo’ di alba e di paramenti liturgici, una manciata di caramelle come ostie e via. E, per quanto calmo, il futuro officiante che è in lui, non intende cedere il passo: «Ero io il prete!».
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Un mestiere che lo prepara alla sua futura missione
Diploma in tasca, prende e dice ai genitori che vuole entrare immediatamente in seminario. Senza disapprovare il proposito, questi ultimi lo invitano però a cominciare gli studi. Un primo ostacolo che però gli avrebbe fatto tanto bene. «Non so cosa ne sarebbe stato di me, se fossi entrato in seminario a 18 anni», riconosce. Si impegna allora negli studi di diritto «un po’ per caso», e scopre con grande sorpresa che lo appassionano tanto. Ma dopo sedici anni di mestiere il suo desiderio di diventare prete non è scomparso.
Una scelta che gli dà pace
Appare allora un nuovo ostacolo: la questione del celibato.
Volevo – se avessi fatto questa scelta – rispettare il celibato e viverlo in modo equilibrato. Non è che uno si congeli, quando diventa prete. Ci è voluto del tempo. In quel momento non avevo coscienza dell’importanza della preghiera. Il Signore aiuta enormemente, in quello che all’epoca mi sembrava un peso pesantissimo da portare. Oggi riconosco che non è poi così difficile, e rimetto tutto nelle mani del Signore, e ho ricevuto la grazia del sacramento.
Infine, l’ultimo ostacolo: i soldi. Da magistrato conduce una vita agiata e non ha pensieri per l’indomani. Dare le dimissioni? Lasciare l’appartamento? «Un prete guadagna il salario minimo professionale garantito. Sono andato nel panico: come sarei vissuto con così pochi soldi?!». Avvicinandosi alla quarantina, però, la chiamata è forte e lo spinge a prendere una decisione. Quando sceglie di entrare in seminario, la pace che sente gli indica che ha preso la decisione giusta.
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Diverse figure hanno contato, nella sua vocazione, trasmettendogli valori essenziali: i suoi genitori, grazie ai quali ha scoperto la bellezza del mestiere di magistrato; uno zio prete al quale ha potuto confidare la propria vocazione; la nonna, atea, alla quale era molto legato e che un giorno gli aveva buttato lì un “che fortuna avere la fede!”. Ordinato prete all’età di 47 anni, vede un nesso evidente tra i suoi due “mestieri”: «Il punto in comune fra il magistrato e il prete è il loro profondo contatto con l’umano».
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]