Il riferimento all’Apocalisse fatto dal Papa Emerito nella sua Nota sugli abusi sessuali nella Chiesa è passato inosservato; eppure esso lumeggia il mistero della Chiesa alla fine dei tempi, quello della prova e della santità, della penitenza e della speranza.
Il Papa Emerito Benedetto XVI, in questo momento di prova che è il suo ritiro dalla pubblica scena, ha dovuto parlare. Dolcemente: di per sé un mormorio in una rivista ecclesiastica bavarese, un testo di per sé votato a una diffusione ristretta, che poi è diventata un corale planetario. I medesimi nemici che prima, sotto il suo pontificato e fin da allora, schizzavano il loro fiele, quegli stessi meditano oggi la loro vendetta. Nessuno può immaginare – pare – che il dolce Benedetto XVI abbia scritto da teologo, sotto il tocco dello Spirito Santo, da “cooperator veritatis”. Ogni commentatore ha fatto analisi più o meno stravaganti, alcuni dando l’idea di non aver neppure letto adeguatamente il testo.
Nelle lotte della Chiesa
Ma l’ora non è mai stata tanto grave. In piena crisi di abusi sui minori nella Chiesa, il Papa Emerito menziona un libro della Bibbia che contiene «tanti misteri quante parole» (san Girolamo) per comprare ciò che accade all’«attualità di quanto si trova scritto nell’Apocalisse». Flagrante, evidente – conclude. Nell’ultima parte delle sue “poche note”, Benedetto XVI cita l’ultimo libro della Bibbia, in cui la Rivelazione si conclude, la visione dettata dall’aquila di Patmos a proposito della fine dei tempi, tempo ultimo in cui siamo entrati a partire dall’evento pasquale di Cristo.
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Visione di eternità, beatitudine per quelli che la leggono, l’Apocalisse dà forza per vivere le tribolazioni e nutre la nostra speranza. E quanto a tribolazioni, ne viviamo come non mai! Certo, il Papa Emerito cita un passaggio particolare dal capitolo 12, quello della permanente accusa del diavolo contro Dio e contro la Chiesa «con lo scopo di allontanarci». Ma questa frase è più profonda, più vasta di quanto non sembri.
Il diavolo guerreggia più che mai
Nell’Apocalisse le grandi lotte della Chiesa sono come riassunte in una visione di eternità. Esse sono vere per i tempi di san Giovanni, per quelli di Pascal nel XVII secolo, ma anche per noi e per i nostri giorni. Benedetto XVI cita il grande libro che rischiara tutto mettendo in scena il diavolo, l’enorme drago che riecheggia il serpente antico della Genesi, «il seduttore di tutto il mondo», «colui che va a fare la guerra contro quelli che conservano i comandamenti di Dio e possiedono la testimonianza di Gesù». Sì, l’attualità dell’Apocalisse continua a svolgersi sotto i nostri occhi. L’indurimento del cuore tenta, ovviamente, di renderci ciechi e sordi; ma in questo libro «chi ha orecchie, intenda cosa lo Spirito dice alle Chiese!».
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E se effettivamente si parla di atti intrinsecamente malvagi, vengono pure menzionati altri che sono molto buoni, come ad esempio quelli dei martiri, folla immensa davanti al trono dell’Agnello, vestita di bianchi indumenti e con le mani che stringono palme; coloro che tornano dalla “grande tribolazione” e che «hanno lavato le loro vesti rendendole candide nel sangue dell’Agnello». L’Agnello sgozzato. Questa “folla immensa” è il “tanti altri” del Papa Emerito, che rende così grande e sublime la Chiesa:
Il termine martire è tratto dal diritto processuale. Nel processo contro il diavolo, Gesù Cristo è il primo e autentico testimone di Dio, il primo martire, al quale da allora innumerevoli ne sono seguiti. La Chiesa di oggi è come non mai una Chiesa di martiri e così testimone del Dio vivente. Se con cuore vigile ci guardiamo intorno e siamo in ascolto, ovunque, fra le persone semplici ma anche nelle alte gerarchie della Chiesa, possiamo trovare testimoni che con la loro vita e la loro sofferenza si impegnano per Dio. È pigrizia del cuore non volere accorgersi di loro. Fra i compiti grandi e fondamentali del nostro annuncio c’è, nel limite delle nostre possibilità, il creare spazi di vita per la fede, e soprattutto il trovarli e il riconoscerli.
La Chiesa indistruttibile
Nel libro dell’Apocalisse il tema è chiaramente quello del pentimento: usurpare il titolo di apostoli, mentire, perdere l’amore di prima, rinnegare la fede, non tenersi stretti al nome di Gesù, prostituirsi, non ascoltare la Parola, non vegliare, sozzare le proprie vesti, essere tiepidi; non pentirsi degli omicidi, delle fornicazioni, delle stregonerie… Se sono molte le denunce contestate, molte le colpe contro Dio, contro gli altri e contro sé stessi, viene pure promessa però una splendida ricompensa, una certezza di fede che fonda la speranza: la vittoria è stata riportata, la si può già fin d’ora mettere al sicuro mediante l’intimità con il Signore, il quale entra per cenare «io con loro ed essi con me». Intimità nell’Eucaristia, rispettata nell’attesa del grande vis à vis.
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Quando Benedetto XVI scrive che la «santa Chiesa è indistruttibile», Chiesa che dona agli uomini la medesima vita di Dio, il Papa emerito s’iscrive nella grande tradizione cristiana della speranza che restituisce forza. In mezzo a un cammino contrastato, disseminato di trappole, impervio e scosceso, la luce certa dell’orizzonte si dispiega generosa: questo “splendore di verità”, questa “bussola” che permette di avanzare senza scoraggiarsi, senza fallire, nell’apostasia generalizzata.
Il tempo della conversione
Il fedele cristiano non entrerà in alcuna polemica, tantomeno nel tempo di Pasqua che segue e compie la domenica delle domeniche. «Com’è la tua domenica, così sarà il tuo ultimo giorno». Conservi invece nel cuore queste parole luminose del Papa Emerito e le mediti per convertirsi. Papa Francesco le sottolinea incessantemente, come nell’angelus del 24 marzo 2019:
Noi possiamo fare grande affidamento sulla misericordia di Dio, ma senza abusarne. Non dobbiamo giustificare la pigrizia spirituale, ma accrescere il nostro impegno a corrispondere prontamente a questa misericordia con sincerità di cuore.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]