E’ morta stamattina (ieri, per chi legge NdR), giorno della salita al cielo di San Benedetto, fondatore del suo ordine. Era badessa emerita del monastero di clausura dell’isola di San Giulio, comunità che lei aveva fondato 46 anni fa e diretto sino allo scorso autunno. (Per ricordarla e fare tesoro dei suoi insegnamenti ripercorriamo con Costanza Miriano l’incontro che fece con lei nel 2016)Una sera sono partita da Roma con l’ultimo volo, e sono arrivata in albergo a Milano a notte fonda. Poche ore di sonno, e poi, ancora di notte, mi sono rimessa in viaggio verso il Lago d’Orta. Lungo l’autostrada immersa nel buio l’attesa della luce (e del calore: erano meno sette gradi!), cresceva.
Dovevo fare delle riprese del Monastero delle Benedettine sull’Isola San Giulio, il Mater Ecclesiae, un luogo che da tempo sognavo di vedere, e sognavo il sole sorgere sul lago, illuminare le vetrate, circondare di riflessi le mura circondate da acque scure. Per raccontare il volto femminile della misericordia, come mi aveva chiesto il mio direttore, non c’era niente di meglio che scrutare il volto di una super donna, madre Anna Maria Canopi, la badessa del monastero. Per raccontare il bisogno che la nostra civiltà immersa nel buio ha della luce della fede non c’era niente di meglio che tornare in un luogo custodito dalle figlie di San Benedetto, cioè di colui che Dio scelse quando una civiltà stava finendo, per difenderne e conservarne e trasmetterne il meglio con la preghiera e il lavoro.
Quel viaggio di qualche settimana fa mi torna in mente oggi, mentre cerco qualcosa da dire sulla festa della donna. Le donne più belle che ho incontrato ultimamente le ho viste lì. Credo che una donna sia bella quando le sue contraddizioni sono ricomposte, riportate a unità, e la monaca è proprio questo: una donna unitaria. Una donna che non si fa trascinare dal desiderio di piacere, dall’ansia di essere dappertutto, dal bisogno di essere la prima della classe (anche quando la classe ha una sola allieva, noi comunque abbiamo l’ansia da prestazione). Una donna le cui azioni sono tutte ricondotte all’unità da un cuore immerso nella preghiera, e che di questa preghiera trabocca.
Leggi anche:
Il mistero delle donne raccontato da Benedetto XVI
La monache sono donne così profondamente realizzate, e così specialmente belle, e così potenti! Non esiste niente di più potente al mondo di una donna che prega, perché unisce al potere della preghiera, il potere di commuovere il cuore di Dio, la forza di un cuore che chiede, e ci sono certi cuori di madre (tutte le donne sono madri, ha detto Madre Canopi) a cui davvero nessuno, neppure Dio lo vuole, può resistere, come alle nozze di Cana.
La prima cosa che ho visto in portineria è stata l’icona della Madonna del silenzio: ne avevo un santino un po’ stropicciato regalato da amiche perugine, e desideravo tanto averne altri, con la preghiera di Fra Emiliano Antenucci. E così ho scoperto che quell’icona che guardavo tutti i giorni è legata alle Benedettine dell’Isola di San Giulio: sono state loro a scriverla su richiesta di Fra Emiliano, partendo da un’immagine di un affresco (la storia è raccontata in La Vergine del Silenzio). Una meravigliosa copia (di quelle da due soldi, per me preziosissima) adesso sta in camera mia.
Maria ha la mano destra alle labbra:
si manifesta così – scrivono le monache – che lo stupore per il mistero dell’incarnazione deve diventare un atteggiamento permanente del cuore, ascolto ininterrotto del Verbo che incessantemente risuona nell’intimo, silente canto di lode che prorompe da tutte le fibre dell’essere.
Sarà difficile crederlo, soprattutto per chi mi conosce meglio, ma l’augurio che mi faccio per questa festa della donna è di imparare il silenzio, un silenzio fecondo e carico dell’incontro con l‘unica Parola che vale davvero la pena di dire, di ascoltare. A volte il silenzio, e l’osservazione e la custodia nel cuore di quello che ci ferisce, che ci fa fatica accettare, è l’unica via di uscita. Nell’icona il nastro che orla il mantello di Maria è in oro bianco, e sembra una strada. Noi sappiamo quale, anzi Chi è la Via, ma abbiamo bisogno di vigilare per non perderci, e Maria, scrivono le monache, si fa compagna in questo cammino. Il nastro nell’icona sale. Scende, a un certo punto scompare poi ricompare:
questo significa che la strada buona non è tutta lineare, agevole, scontata; perciò serve fidarsi.
Leggi anche:
Perché il Papa ha voluto una Vergine del Silenzio in Vaticano?
Bisogna salire e quindi meglio non sprecare il fiato a parlare, come si fa in montagna. Ma il silenzio non è solo un mezzo ascetico. Quando nel punto più alto del braccio destro il nastro si interrompe, quando la strada sembra bloccata, chiusa, persa… Quando sembra sia arrivata la morte di tutto quello che in questa vita ci faceva gioire, allora serve fare un salto di livello. Maria porta la mano alla bocca e sembra dire:
Poni un sigillo alle tue labbra, custodisci la Parola nelle profondità del cuore, lasciati sorprendere dallo Spirito. E quando non vedi più come proseguire nel cammino, quando ogni opportunità pare perduta, quando le fatiche affrontate sembrano essere state vane, taci. Lasciati portare oltre dal silenzio, lasciati sollevare dall’amore, senza opporre resistenza, senza frapporre il tumulto dei tuoi pensieri. Allora ritroverai la Via da seguire e, seguendola, intravvederai il mio volto, irradierai la pace.
Auguro alle mie amiche, e prima di tutto a me stessa, di imparare a somigliare un po’ alle donne meravigliose che nel segreto dei monasteri di tutto il mondo lo mandano avanti misteriosamente, continuando a chiedere la grazia per noi. Auguro a quelle donne meravigliose di essere sempre consapevoli del regalo che ci fanno per il loro solo esserci. Anche noi che siamo nel mondo, nei nostri monasteri interiori, spesso collegati fra di loro via telefono o social o anche molto molto più in alto, con il cloud cosmico della comunione dei santi, custodiamo nel silenzio e nelle nostre preghiere – valgono anche quelle distratte, spezzettate, al semaforo o dal dentista – le vite di coloro che ci sono affidati, i nostri mariti, i figli, i genitori, le amiche e gli amici, anche noi nel nostro piccolo custodiamo dolori e chiediamo grazie, e ricominciamo ogni giorno a dire sì alla vita.
QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO SUL BLOG COSTANZA MIRIANO