Saremo ancora inondati di pura retorica sulla violenza per la festa della donna? Il professor Crepet sposta lo sguardo su due ferite reali dentro i rapporti di coppia, erroneamente scambiate per gesti d’amore: la gelosia e le forme estreme di passione.Tra due giorni un paio di parole si contenderanno il clamore mediatico: mimosa e femminicidio. La festa della donna sarà occasione per ricordare in forme più o meno retoriche gli ancora troppo numerosi casi di violenza contro le donne. Un caso di femminicidio ogni 72 ore, ci ricordano le asciutte statistiche.
L’ultima sentenza che sta facendo indignare l’opinione pubblica riguarda una forte riduzione di pena in un caso di omicidio del 2016, con l’attenuante di una “soverchiante tempesta emotiva e passionale“: accadde a Riccione, un uomo strangolò la compagna che frequentava da appena un mese, inscenando poi un tentativo di suicidio.
La pena dell’ergastolo – ridotta a 30 anni in seguito alla scelta del rito abbreviato – è stata ulteriormente ridotta a 24 anni (poi diventati 16 sempre a causa della strategia del rito abbreviato) perché, stando alle motivazioni della sentenza, l’uomo – Michele Castaldo – avrebbe ucciso la compagna Olga Matei in seguito a un folle raptus di gelosia. (da Giornalettismo)
Gelosia e passione, due termini che salgono sul banco degli imputati. Possono diventare chiavi di lettura per attenuare la colpa di un omicidio? Ma soprattutto: perché vengono ancora ritenute un valore aggiunto, positivo, nel lessico di un rapporto affettivo?
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Interviene in merito il professor Paolo Crepet, con una lunga intervista su Repubblica dedicata al suo nuovo libro, che s’intitola proprio Passione. Non è fuori luogo, in tempo pasquale, richiamare alla memoria l’orizzonte complessivo di questo termine che abbraccia anche la Via Crucis di Gesù, vale a dire la Passione del Signore.
Bufera di passione
L’origine delle parole è sempre illuminante e il viaggio della passione comincia proprio dal verbo latino patio, patire. Oltre alla sofferenza vera e propria, la parola s’incammina a raccontare tutte quelle esperienze in cui la persona viene trascinata a sentire in modo forte, anche l’amore. Quello che resta immutato è che il soggetto non è più soggetto, ma vittima di una forza debordante (che può essere anche buona, ma non è sotto controllo).
Ecco allora che la passione amorosa (e quanto ci educa male la pubblicità!) sembra suggerire un’esperienza affettiva così grande da essere travolgente, ma è l’anticamera di un’ipotesi sbagliata di amore, in cui la persona non è protagonista del sentimento con tutta la sua libertà. Può essere bello solo in apparenza dire di essere travolti dall’amore. Così Crepet sottolinea:
Perché c’è ancora una cultura, trasmessa sia in ambito familiare sia in quello più ampio del gruppo sociale, quindi scuola e amicizie, che insegna alle ragazze a pensare che l’amore passionale possa o debba prevedere anche qualche “lecita” violenza. (da Repubblica)
Quando si entra in un regno di emozioni incontrollate, il confine con gli estremi è molto labile. Il lessico amoroso è molto condizionato dai film e dagli spot, che però sono fuorvianti rispetto alla realtà viva di una relazione. Ancora buona parte dei luoghi comuni sull’amore ce lo raccontano come un dio indomito e poco soggetto alla volontà, invece sarebbe ora di proporlo per l’ideale grande di cui è custode: essere un’esperienza di libertà piena insieme a un altro.
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Amo qualcuno non quando assieme facciamo tutto quello che ci viene in mente, magari senza freni, ma quando ho a cuore che la sua persona fiorisca affidandosi a me. L’amore sfrenato è sinonimo di due egoismi che si usano a vicenda. La violenza passionale è proprio l’egoismo che sopraffà l’altro, quando questo tradisce le mie aspettative egocentriche.
Certa retorica sulla violenza di genere non aiuta, perché crea solchi sempre più profondi tra la donna e l’uomo. In questo mi sento di dissentire dai termini che Crepet usa per delineare il quadro generale della nostra società:
Essenzialmente molti uomini hanno ancora difficoltà ad accettare la lunga coda della liberazione della donna, nonostante siano passati più di quarant’anni dalle tante conquiste, come il divorzio. (Ibid)
Non sarei mai portata a definire il divorzio una conquista, men che meno come una bandiera da sventolare nel percorso di emancipazione della donna. Possiamo parlare di ferita necessaria in certi casi; ma di certo non credo che la donna possa gloriarsi di aver conquistato con le sue lotte femministe la possibilità di sfasciare la famiglia a norma di legge. Questa lettura suggerisce l’idea di un braccio di ferro: alla violenza del maschile la donna risponde con una violenza femminile. Invece è un’amara perdita di entrambi i sessi; è un confronto per entrambi con l’ineluttabile presenza del peccato.
Sono figlia di una madre che per tanti anni ha subito una situazione matrimoniale pesante e si lacerava nel dubbio di dover “porgere l’altra guancia” a un marito che non la rispettava. Fu un lungo percorso per lei capire che quel detto evangelico non significa subire, ma osare uno sguardo diverso. Anche un voltafaccia, in casi estremi. Quando scelse la separazione non fu una risposta aggressiva per emancipare se stessa, ma una coscienza addolorata: occorreva allontanarsi per tagliare la testa a un mostro che divorava marito e moglie. Andare via era ancora una voce d’amore, ma gridava Noli me tangere.
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Dal possesso alla compagnia
Il possesso è l’altra ombra gigante che incombe sull’affetto tra uomo e donna: ci si guarda come una proprietà reciproca, tenendosi al guinzaglio. Ne è una spia allarmante la gelosia, spesso scambiata per premura. Il professor Crepet è molto chiaro in merito:
La gelosia porta sempre sciagure e drammi e bisognerebbe insegnare ai giovani a non considerarla come un sintomo dell’amore, perché non lo è mai. E va detto a scritte capitali che la gelosia non è una forma d’amore, ma solo di possesso, perché l’amore è rispetto innanzitutto. (Ibid)
E ci sarebbe da ragionarci sul rispetto, che potrebbe essere inteso solo come una forma inamidata di distanza. La retorica qui può davvero offuscare la vista: rispettare una donna non significa solo permetterle di perseguire i suoi sogni, non inibirla nelle sue aspettative. Si finisce davvero a pescare in una pozzanghera se ci limitiamo a considerare le due parti di una relazione affettiva come soggetti di due sentieri diversi, entrambi desiderosi di raggiungere mete distinte. Il rispetto, cristianamente inteso, delinea l’ipotesi di aver così a cuore il destino altrui da farsene carico … ed è tutt’altra cosa dalla scenetta in cui lei reclama: “Voglio poter aver una carriera!” e lui risponde: “Sì, cara, tu hai diritto a una carriera”. L’opposto di possesso in amore non è indipendenza, ma compagnia.
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Amare quella persona
Nella coppia ciascuno è parte in causa della felicità altrui, c’è infilato così dentro da sentire come premura personale il sorriso (e le lacrime!) della sua metà. E’ senz’altro necessario nel nostro paese denunciare le ferite gravi che colpiscono la famiglia e le donne, in particolare.
In molti casi, soprattutto quando si entra nel merito di violenze e femminicidi, ci si accorge di parlare come chi dà per scontato che i buoi siano scappati e il recinto sia distrutto. Essere consapevoli che i rapporti affettivi patiscono una crisi grave non significa aver smesso di credere che possa esserci una cura a monte, oltre alle tante forme di monito a valle.
Scavare ancora più a fondo il solco che separa uomini e donne crea barricate ulteriori, che tendenzialmente fomentano nuove forme di violenza. Ne sia prova la deriva del movimento #metoo.
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Al principio di tutto, ogni rapporto affettivo è una sfida paradossale: il mio bene non è una conquista in solitaria, ma prevede l’intrusione benedetta dello sguardo di un altro. Il più delle volte questo dato assai carnale è lasciato nel dimenticatio, addirittura neppure concepito. Ha ragione Crepet nel sottolineare che gli atti violenti di certi partner derivano da una visione astratta dell’amore, che evita di incarnarsi:
Molti uomini amano l’amore, non la persona che hanno accanto. Quindi non essendosi innamorati della persona, ma solo di un’idea astratta dell’amore è chiaro che poi quella donna tu non la capisci, perché non l’hai scelta veramente, perché non la conosci, è solo una portatrice di amore. Quindi non solo non sai chi è, ma in fondo non ti importa neanche di scoprirlo. (Ibid)
Amare l’amore significa essere schiavi di un io che vuole essere padrone del suo viaggio in terra. Perciò ogni discorso serio sull’affettività, e anche sulle sue tragiche derive violente, non può che partire dalla fisionomia precisa di un volto, cioé dall’ipotesi che la via al nostro destino ci venga incontro, e cioé dalla domanda: vuoi accogliere l’invito a essere felice che ti è stato recapitato attraverso una presenza in carne e ossa?