La Regola d’Oro è stata considerata la pietra angolare dell’etica della reciprocità. In questo senso, si può intendere come l’inverso della legge del taglione, “occhio per occhio”, che rappresenta la base per tutte le forme di giustizia retributiva. Parlando in senso ampio, la Regola d’Oro è il principio di trattare (o non trattare) gli altri come si vorrebbe (o non si vorrebbe) essere trattati, ma la sua applicazione pratica dipende fortemente dal fatto che si sottolinei la sua forma diretta positiva, quella negativa proibitiva o la dimensione empatica di risposta. Può spaziare dall’implicare la necessità di rinunciare alla vendetta (o ad altre forme di giustizia retributiva) a una vera richiesta di azione positiva.
La Regola d’Oro si può ritrovare in quasi ogni tradizione culturale, etica e religiosa, pur se formulata diversammente. Il concetto ampio di “fare agli altri” appare infatti in alcuni papiri egiziani del Medio Regno (2040-1650 a.C.), nel Codice di Hammurabi (1750 a.C.), negli scritti di Talete (546 a.C.) e in altri filosofi greci delle origini, nonché in alcuni testi zoroastriani (300 a.C.-1000 d.C.), solo per citare alcune culture mediterranee e orientali.
Le religioni abramitiche (ebraismo, cristianesimo e islam) condividono la Regola d’Oro. Prima dell’avvento dell’islam, la sopravvivenza delle tribù era considerata essenziale nella Penisola arabica, e doveva essere assicurata da vendette sanguinose (la legge del taglione). Nell’ebraismo, questa regola della “reciprocità altruista” era ben stabilita nel libro del Levitico (Lev 19, 18: “Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il prossimo tuo come te stesso. Io sono il Signore”) proprio come divieto dell’uso della vendetta di sangue come principio retributivo. Anche nel Talmud babilonese si legge: “Ciò che ti è odioso, non farlo al tuo prossimo: questa è tutta la Torah; il resto è spiegazione; va’ e impara”. Questa formulazione talmudica è piuttosto simile a quella che troviamo nel Vangelo di Matteo, in cui si legge: “Tutte le cose dunque che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro; perché questa è la legge e i profeti”. C’è però una leggera differenza.
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Mentre sia il Levitico che il Talmud babilonese intendono la Regola d’Oro in termini negativi, proibitivi (ovvero “non fare”), il testo di Matteo fa l’opposto, puntando alla necessità di fare agli altri ciò che vorremmo venisse fatto a noi. Alcuni studiosi biblici sottolineano che l’insegnamento di Gesù è radicato in un altro passo del Levitico, in cui leggiamo che gli stranieri dovrebbero essere trattati “come chi è nato fra voi; tu lo amerai come te stesso; poiché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto. Io sono il Signore vostro Dio” (Levitico 19, 34).
Si può vedere chiaramente che questo comandamento (“fare agli altri” fa in realtà parte del Grande Comandamento) dipende da una comprensione molto specifica di chi è l’altro, ovvero implica una comprensione di chi è il mio prossimo che va al di là della preservazione della tribù (come farebbe la vendetta di sangue). Questo è il motivo per il quale, dopo aver scelto la formulazione positiva della Regola d’Oro (ovvero il “fai agli altri” anziché “non fare agli altri”), Gesù racconta la parabola del buon samaritano, indicando che il prossimo non è un membro della propria tribù, ma qualsiasi bisognoso, anche chi è comunemente considerato ostile.
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