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Il perdono insegnato da Gesù fu veramente una novità assoluta?

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È falso che il perdono sia un tratto esclusivo del Nuovo Testamento, sconosciuto all’Antico. È altrettanto falso che la giustizia appartenga solo all’Antico Testamento e scompaia con Gesù, perché anzi Egli proclama di essere il giudice, come nella parabola delle opere di misericordia di Matteo 25.

Fin dall’inizio della storia del popolo di Dio, nel racconto dell’Esodo, si manifesta imperiosamente la necessità del perdono ed appare come Israele sappia di avere vita per grazia, per la misericordia del Signore. Dopo l’episodio del vitello d’oro, per la generazione uscita dall’Egitto non sembrava esserci altra sorte che la punizione, quando ecco che Mosè ancora una volta si pose come intercessore per il suo popolo peccatore.

L’Esodo racconta che «allora il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore. Il Signore passò davanti a Mosè, proclamando: “Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione”. Mosè si curvò in fretta fino a terra e si prostrò. Disse: “Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi. Sì, è un popolo di dura cervice, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fa’ di noi la tua eredità”» (Es 34,5-9).


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Quel giorno l’alleanza fu rinnovata, quando apparve evidente che se essa fosse dipesa unicamente dalla fedeltà di Israele sarebbe stata presto sciolta. Il Signore manifestò la sua misericordia  e promise nuovamente fedeltà a Israele, popolo peccatore ma amato.

Infinite volte il Signore perdonò ancora il suo popolo ed iniziò pian piano ad insegnare che tale doveva essere anche l’atteggiamento di Israele – si pensi, ad esempio, ad Osea cui viene chiesto di amare una prostituta per essere segno dell’amore che resta saldo nonostante l’infedeltà del suo popolo.

Ma certo il perdono che Gesù offre ed invita a vivere è una novità assoluta. Nel discorso della montagna il Cristo afferma: «Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?» (Mt 5,44-47).


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Le antitesi di Gesù – «ma io vi dico» – già a livello linguistico indicano la via nuova che si apre. Ma è soprattutto il contenuto delle sue parole che stupisce: si tratta di amare il nemico, di pregare per lui, si tratta di amare chi non è fratello, chi non appartiene al popolo eletto di Dio, chi anzi vuole il male. Ancora una volta Gesù non viene ad abolire, ma a portare a pieno compimento.

Con lui si apre la strada della testimonianza dei martiri. I martiri cristiani non saranno solo coloro che accetteranno di morire per confessare il nome di Gesù, ma saranno anche coloro che lo faranno, amando coloro che li uccidono e pregando per loro. Se qualcuno venisse ucciso nel nome di Gesù e portasse odio al suo carnefice per ciò stesso non potrebbe essere martire. Ecco la meraviglia della fede cristiana.

Gesù vuole che ogni odio sia vinto. L’odio è ciò che è lontano da Dio più di qualunque altra cosa.
Giovanni, l’amico fedele del Cristo, insiste con una semplicità ed una chiarezza spettacolari, proprie di chi ha capito tutto del maestro: «Se uno dice: “Io amo Dio” e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1 Gv 4,20).

Ma come è possibile vivere un amore che abbracci anche chi ci odia? Più ancora: che senso ha amare chi ci odia? La risposta a queste domande “impossibili” viene proprio dalla vita di Gesù, dalla sua testimonianza della misericordia di Dio. Gesù ha pregato per chi lo ha odiato: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34).

Gesù ha vissuto nella convinzione che il perdono potesse cambiare il cuore dell’uomo, fino all’ultimo istante della vita. Al buon ladrone che solo in punto di morte, avendo finalmente  compreso i propri peccati, disse: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno», il Cristo rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (Lc 23,42-43).

La preghiera di Gesù per i suo persecutori e la sua promessa del Paradiso sulla croce non sono le parole di un grande uomo, di un grande illuso che promette senza sapere cosa dice: sono, invece, le parole di colui che ha la pretesa di rivelarci la misericordia stessa di Dio. Dio odia il peccato, ma continua ad amare i peccatori, anzi li ama ancor più perché sa che sono bisognosi della sua misericordia.

Una delle preghiere del Messale, recita: «Tu, Dio, continui a chiamare i peccatori a rinnovarsi nel tuo Spirito e manifesti la tua onnipotenza soprattutto nella grazia del perdono» (Prefazio della Preghiera eucaristica della riconciliazione). Questa affermazione è meravigliosa: l’onnipotenza di Dio è tale da essere capace di cambiare il nemico in amico. La conversione di Paolo è, a questo proposito, straordinaria. Colui che aveva partecipato all’uccisione di Stefano, colui che aveva svolto un ruolo decisivo nella prima persecuzione dei cristiani, si convertì e divenne apostolo del Signore.



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Amare il nemico è l’unica forza capace di rinnovare il mondo, è l’unica vera rivoluzione che trasforma le persone e la storia.

Ma certo è impresa difficile, perché tutti ci scopriamo capaci di odiare, quando siamo in presenza di qualcuno che vuole il nostro male. Anche persone estremamente serene e pacifiche, avvertono salire in loro un senso di fastidio sempre più forte, quando sono costrette a vivere con parenti la cui parola è una critica che scava nel cuore istante dopo istante come una goccia. Tutti siamo capaci di diventare nemici: questo è il dramma della vita.

In una delle sue bellissime meditazioni Jean Vanier raccontò una volta del suo incontro con una donna di etnia tutsi cui erano stati uccisi trentasette parenti. Si rese conto immediatamente che non avrebbe avuto senso chiederle di invitare a cena di colpo gli assassini dei suoi cari: non poteva essere quello il senso del comando evangelico di perdonare. Man mano che parlava con lei si rese, però, conto che quella donna aveva già deciso in cuor suo di non vendicarsi se avesse incontrato uno di quegli assassini. Ed era un primo passo sul difficile cammino del perdono. Man mano che colei che tanto aveva sofferto parlava egli si rendeva sempre più conto che quella donna desiderava che gli assassini si rendessero conto del male compiuto e si convertissero, chiedendo perdono a Dio. Era un secondo passo verso un perdono più profondo. Mentre lei parlava ancora, Jean Vanier si accorgeva che la donna stava riconoscendo che la sua etnia aveva anch’essa fatto del male alla tribù rivale nel corso dei secoli: con questo non intendeva ovviamente dare ragione alla violenza efferata e demoniaca dei suoi nemici, ma certo significava un ulteriore passo verso un perdono. Infine, si rese conto che quella donna diceva: «Io non ho ancora la forza di perdonare, ma chiedo a Dio di perdonarli e prego perché non siano condannati eternamente».

Jean Vanier concluse il racconto commentando: «Non ha forse anche Gesù pregato il Padre dicendo: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”»? Una testimonianza che ricorda come il perdono sia un lungo cammino, che l’amore del nemico non sia una cosa da niente. È, piuttosto, la strada stretta e lunga proposta dal Vangelo.

Qui l’articolo originale apparso sul sito “Gli Scritti”