A pochi giorni dalla morte del marinaio immortalato a Times Square, la statua che celebrava il famoso bacio con l’infermiera è stata imbrattata per suggerire che su quella donna sarebbe stata usata violenza. Infangare senza motivo la memoria di un uomo appena defunto non è un gesto ancora più violento?Finiremo per dover tradurre in una lunga dissertazione sessualmente corretta il motto “fate l’amore, non fate la guerra”. E faranno la guerra alle forme più spontanee dell’amore proprio quelli che di etica e morale affettiva se ne infischiano, ma ci tengono molto che il loro amore libero sia ipocritamente corretto. Insieme ai comunisti col Rolex di Fedez e J Ax ci faranno compagnia i libertini austeri: sesso casuale a volontà, ma solo dopo aver formalmente rigettato con disgusto ogni violenza sul corpo femminile. Fosse anche un’innocua battuta datata e rivelatasi al microscopio contemporaneo brutalmente sessista.
La violenza di un bacio
La scorsa domenica è morto George Mendonsa, nome che di per sé non dice molto. La sua immagine, in divisa da marinaio, la ricordiamo tutti: è il protagonista dello scatto fotografico che ritrae il suo bacio a Times Square con una ragazza vestita da infermiera. Se c’è una traduzione visiva del motto “fate l’amore, non fate la guerra” è quell’istantanea.
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Fu scattata da Alfred Eisenstaedt il 14 agosto del 1945 durante il V-J Day (Victory over Japan Day) a Times Square. Colse l’attimo, catturò il momento – si dice. Preso dall’ebbrezza del momento, (la gioia di poter dire conclusa la Seconda Guerra Mondiale) un giovane marinaio afferrò la tra braccia una sconosciuta vestita di bianco tra la folla e la baciò. Il fotografo immortalò la scena, era all’oscuro dell’identità dei protagonisti che rimasero due volti senza nome per tanto tempo.
Oltre a diventare un simbolo, quell’istantanea è diventata anche una statua in Florida intitolata Resa incondizionata. Tornando ai fatti attuali, è accaduto che, all’indomani della morte a 95 anni del fu marinaio intraprendente, un atto di vandalismo abbia rovinato la statua in questione: sulla gamba sinistra della figura femminile è comparsa la scritta #metoo. I responsabili sono ignoti e non è perciò dimostrato che sia un gesto pianificato dal movimento femminile creatosi all’indomani del caso Weinstein. La polizia sta indagando ed il monumento è stato ripulito, ci informa il notiziario 10News WTSP.
Ma se venisse alla luce che si tratta di un qualche solito ignoto che ha avuto un’ispirazione momentanea sull’onda di una certa insistente propagnada che gira nell’aria, sarebbe un segnale del pericoloso lavaggio del cervello che stiamo subendo dalla retorica aggressiva di un certo femminismo: la violenza della non violenza.
Un uomo muore e lo si vilepende, sulla pubblica piazza letteralmente, accusandolo subdolamente di un’aggressione, sapendo che non potrà replicare.
Il marinaio e l’infermiera
Davvero si può interpretare quello scatto fotografico come un trionfo della violenza maschile su una donna indifesa? Che cosa c’è di così urticante nell’espressione resa incondizionata, pensata per legare il tema dell’amore al tempo storico di fine guerra?
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Partiamo dai diretti interessati, da lui innanzitutto. George Mendonsa ricorda quel momento con tutta la semplicità del caso, che occhi accusatori potrebbero ritorcergli contro:
“E quindi eravamo a Times Square e la guerra era finita e vidi quell’infermiera. Avevo bevuto qualche drink e fu un istinto semplice, credo. La presi tra le braccia.” (da CNN)
Dobbiamo scrivere venti righe di premesse sui danni provocati dall’abuso di alcol per poter poi affermare che fu un gesto euforico senza cattiveria alcuna? Se fu una mossa senz’altro istintiva non lo fu solo per un prurito sessuale alla vista di una gonnella; il signor Mendonsa afferma di aver ricordato un momento tragico della guerra vissuta in prima persona: dopo aver subito un grave attacco nemico, cinque dei suoi compagni marinai persero la vita accanto a lui. L’elicottero dei soccorsi arrivò e le infermiere a bordo cercarono di salvare quelle cinque vite fino all’ultimo. Ne derivò in lui un’incondizionata gratitudine verso di loro. Baciare quella ragazza era tutt’uno col curare una ferita rimasta aperta.
E cosa ne pensa la ragazza di allora? Greta Friedman aveva 21 anni all’epoca e da adulta ricorda così quel giorno:
All’improvviso fui afferrata da un marinaio. Non fu un bacio vero e proprio. Fu più che altro un gesto di gioia perché non doveva ritornare in guerra. (da CNN)
Greta pronunciò queste parole a una festa di veterani, non all’ufficio di polizia. Per quanto lei stessa non lo interpreti come un colpo di fulmine romantico, non pare esserci traccia di accusa da parte sua. Nessuna denuncia è stata perpetrata da parte sua. Lei, la supposta vittima, offre la giusta e lapalissiana chiave d’interpretazione: fu gesto di gioia. Dopo anni di terrore e morte è rivoluzionario poter andare incontro a uno sconosciuto … per baciarlo. Ma ora qualcuno si premura di correggere anche la diretta interessata, mettendola tra le vittime senza chiederle il consenso. Un po’ forzata come solidarietà femminile!
Lusinga molto il nostro io pensare che le cose migliori di noi siano progettate a tavolino dalla creatività, lungimiranza, intelligenza. E’ molto più vero constatare che i nostri gesti migliori possono venire da un istinto balzano. Ed ecco a cosa servivano i fotografi, prima dell’era Instagram, ad accorgersi di cose eclatanti in un mondo distratto. Oso aggiungere che non c’era neppure bisogno di tutta questa pergamena di spiegazioni, perché la gente comune da più di sessant’anni a questa parte ha sempre guardato quello scatto cogliendo al volo il senso del tutto.
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Il marinaio e l’infermiera, due stereotipi da giornaletti rosa e film erotici di serie B, se ne stavano lì a ricordare che gli umani preferiscono condividere la gioia, piuttosto che tenersela per sé, soprattutto se sullo sfondo nero dell’orizzonte c’è un oceano di morte.
Ma noi siamo la generazione cresciuta senza conoscere guerre sulla pelle, siamo perciò più fiacchi e pavidi. Siamo anche più astratti. Creiamo movimenti antiviolenza che sbraitano, ma non sentiamo più il bisogno di una coscienza che s’interroghi sul bene e sul male; l’unica premura è fare più clamore virtuale possibile, sperando che nel fascio da ardere ci sia qualche vero colpevole … e peccato se ci finisce qualche innocente.
La resa incondizionata
La giovane infermiera si lascia andare tra le braccia di uno sconosciuto. Le sue mani non accennano a respingerlo; la presa di lui è forte e lei si lascia andare. Può sostenerla. Sì, si chiama resa. E non c’è parola più urticante per le femministe odierne: una donna che si arrende è un insulto all’emancipazione. Davvero? In che mondo vivono queste femministe?
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Non c’è verbo più forte dell’arrendersi, che è tutt’uno con l’aver fiducia. Non è il soldato che alza le mani di fronte a una pistola armata, è la consapevolezza di chi può smettere di pensare di essere autosufficiente. Questa resa sono io ogni sera quando mio marito apre la porta di casa e finalmente posso sciogliere le mie ansie nel suo sorriso; o quando mi appoggiavo alle sue braccia distrutta dopo ogni contrazione del travaglio. Gettare fumo negli occhi alle nuove generazioni per confondere l’essere succube con l’aver fiducia non è una violenza molto grave? Cosa ci è capitato se preferiamo mandare alle ortiche il vecchio buon senso e ci riempiamo la bocca di forzature ideologiche così traviate e prive di umana compassione?