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Cantare in un coro arricchisce la mia fede e mi rende felice

Church Choir
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Chiara Bertoglio - pubblicato il 09/01/19
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Sembrerà strano che una musicista di professione si incanti per una cosa come cantare in coro; eppure è qualcosa di profondamente diverso dal solismo pianistico, qualcosa che mi arricchisce profondamente come persona, come credente e come musicista.Tanti, tanti anni fa, ero una ragazzina di tredici anni che andava nella lontana Svizzera tedesca a lezione di pianoforte. Non era facile: il Paese era lontano, per me, la lingua difficile, la cultura molto diversa. Mi mancava la famiglia, anche se stavo via pochi giorni; trovavo tanto lunghe le notti e tanto freddo il clima.
Mio papà mi portava in macchina fin oltre al San Bernardo, e da lì prendevo dei trenini che mi portavano tra Zurigo e Basilea. Alcune volte, quando il treno partiva e vedevo la figura di mio papà rimpicciolire sui binari, salutandomi con la mano, mi veniva da piangere.



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In quei viaggi in macchina su e giù per le montagne valdostane, in autoradio ascoltavamo sempre la mia musica preferita, che è rimasta la stessa nonostante siano passati tanti anni: la musica sacra di Johann Sebastian Bach. Adoravo cantare, anche se non avevo mai avuto una formazione vocale né l’opportunità di cantare in coro; perciò mi facevo regalare le partiture dei brani più importanti del repertorio bachiano, ed assordavo il mio povero papà che guidava l’auto imponendogli i miei gorgheggi bachiani.

Fast forward di più di vent’anni, e finalmente ho deciso di mettere in pratica questa passione, avvicinandomi al canto corale; e ho trovato l’ambiente migliore che potessi cercare nell’Accademia Maghini di Torino, un coro semiprofessionale (affiliato al professionale Coro Maghini) in cui tutte le mie aspirazioni si sono concretizzate: cantare soprattutto musica sacra di Bach; farlo sotto la guida di una persona di grandissima competenza, tale che anche le mie orecchie di musicista non solo non sono “ferite” dalle stonature che abitano tanti cori, ma anzi vengono continuamente educate dalla raffinatezza dell’intonazione e dello studio del suono; trovare un gruppo di amici con le medesime passioni, uniti dalla voglia di creare qualcosa di bello insieme.

Ieri sera abbiamo cantato le prime tre Cantate dall’Oratorio di Natale di Bach, uno dei “grandi classici” che allietavano le mie ascese al San Bernardo. Non mi sembrava vero di poter far parte anch’io di una realtà così bella; di sentirmi profondamente unita a questi nuovi amici, in un percorso che è fatto di impegno, concentrazione, studio, ma anche di battute, di divertimento, di condivisione. Sembrerà strano che una musicista di professione si incanti per una cosa come cantare in coro; eppure è qualcosa di profondamente diverso dal solismo pianistico, qualcosa che mi arricchisce profondamente come persona, come credente e come musicista.



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Qualcosa in cui percepisco il brivido della bellezza di Dio, nel momento in cui la chiesa si riempie del canto degli angeli, intonato da persone che possono condividere o no la fede cristiana, ma che tramite Bach si ritrovano ad evocare una letizia che non è di questo mondo. Qualcosa in cui intravedo l’incanto della società ideale, in cui la diversità e la pluralità delle voci arricchisce la trama contrappuntistica, in uno sforzo continuo di ascolto ed accoglienza dell’altro che sfocia nella perfetta armonia. Qualcosa in cui tutto il mio entusiasmo di musicista trova sfogo, in una gioia di far musica che forse è più lieve e nel contempo più concreta di quella del solismo, più ricco di responsabilità e più esposto al rischio del solipsismo narcisistico. Qualcosa in cui il gruppo, la squadra, la “famiglia” si compatta e si unisce, nell’impegno comune a cercare la bellezza e nel trovare un suono che sia “del coro”, a partire dalla diversità delle voci, delle età, della formazione.

Grazie a chi ha reso possibile tutto ciò, grazie agli amici del coro, grazie alla nostra super maestra Elena Camoletto, e grazie a Bach, la cui musica non cessa mai di rendermi profondamente felice.



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