In un libro-inchiesta la testimonianza delle vittime che denunciano le violenze fisiche e psicologiche subiteFlavia Piccinni e Carmine Gazzanni hanno da poco pubblicato per Fandango il volume: “Nella Setta”, che rappresenta al tempo stesso una documentata inchiesta ed una vigorosa denuncia del grave fenomeno della manipolazione mentale che milioni di italiani subiscono da parte di gruppi settari operanti nel nostro Paese, che professano una grande varietà di culti, da quelli di stampo laico-filosofico a quelli ad orientamento esoterico-religioso.
Individuare un confine tra adesione ad una setta e manipolazione mentale
Leggiamo nel primo capitolo: “Esiste un confine – che nel nostro paese soffre di un inspiegabile vuoto normativo – fra l’adesione ad un culto e la manipolazione mentale. È un confine sottile, che abbiamo provato ad illustrare affidandoci a decine e decine di testimonianze di membri di culti, di ex-adepti e di professionisti del settore”. Il libro infatti si avvale – oltre che di un’ampia ricerca documentale e delle interviste a magistrati, avvocati, psicologi, criminologi, psichiatri e rappresentanti di associazioni di vittime – soprattutto della sofferta testimonianza di chi, spesso con grande fatica, ingenti perdite economiche e gravi danni psichici, è riuscito, anche dopo decenni di affiliazione, ad uscire – meglio in molti casi sarebbe dire fuggire – dai rispettivi gruppi settari di cui hanno fatto parte.
L’intento non è quello di criminalizzare indiscriminatamente, come chiarisce Steven Hassan, il massimo esperto mondiale di manipolazione mentale, che sottolinea come : ” (…) esistono sette sane e gruppi sani. Esattamente come esistono sette e gruppi malsani. Quando si parla di sette, la gente pensa immediatamente a quelle cattive. Eppure esistono gruppi che sono simili a sette dove le persone sanno esattamente di cosa fanno parte, sono libere di parlare di quello che vogliono, di leggere ciò che desiderano e possono lasciare in qualunque momento senza punizioni. Ci sono invece gruppi distruttivi che si occupano di controllare le informazioni, di manipolare le persone e di trasformarle radicalmente”.
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Quale è il percorso che porta una persona ad avvicinarsi ad una setta?
Quasi sempre tutto nasce in un momento di difficoltà, di smarrimento: la perdita o la grave malattia di una persona cara, un divorzio, il licenziamento, una crisi esistenziale o di valori, il tradimento di un vincolo di fiducia, per cui si è alla ricerca, consapevole o meno, di una qualche forma di aiuto, di un riferimento a cui affidarsi. In altri casi la molla principale è la curiosità per qualcosa che appare nuovo, originale, stimolante. “Spesso tutto inizia con l’invito ad una conferenza gratuita, prosegue con un seminario offerto in dono o con un grande sconto, il clima è piacevole, gli altri membri sono gentili, ti ascoltano, sembrano interessati ai tuoi problemi. Ti bombardano d’amore letteralmente”.
Violenze fisiche, psicologiche, abusi sessuali, pedofilia…
Il love bombing, secondo la definizione teorizzata dalla psicologa Margaret Thaler Singer, non sarebbe da solo sufficiente a determinare l’adesione incondizionata al gruppo se questo abbraccio caldo e accogliente – come afferma Luigi Corvaglia, presidente del Centro Studi Abusi Psicologici (Cesap) – non avvenisse “nella cornice di un sistema auto-sigillante che divide l’interno dall’esterno. Esiste la divisione fra un noi su cui si investe il proprio amore, perché ciò che sta dentro il gruppo è puro e giusto, e un loro, il mondo esterno, inconsapevole, sporco e pericoloso”. Mondo esterno che va redento, purificato, salvato per cui l’adepto è investito di tale sovrumana missione per cui viene fatto sentire chiamato, prescelto, eletto. Ma dietro questa facciata etica, idealistica, e a vario titolo esoterica ed orientaleggiante, si celano sfruttamento lavorativo, violenze fisiche, psicologiche, abusi sessuali, pedofilia, rovine economiche e disgregazioni familiari perpetrati attraverso sottili strategie manipolatorie che fanno terra bruciata intorno l’adepto che così viene a tagliare i ponti con l’esterno, interiorizzando completamente e facendo sua la realtà settaria che diventa l’unica realtà pensabile e vivibile.
Uscire da una setta? quasi impossibile!
Se essere risucchiati all’interno di una setta è abbastanza semplice, risulta invece estremamente difficoltoso e complicato uscirne. Come spiega il Prof. Hassan: “La gente lascia i gruppi distruttivi in modi diversi. A volte vengono cacciati, di solito perché fanno domande che non piacciono ai leader, oppure sono disubbidienti e si comportano in modi incontrollabili. A volte si verificano crolli emotivi e così, i pazienti, vengono ricoverati negli ospedali psichiatrici dove il personale è difficilmente addestrato a riconoscerli come vittime. Ma c’è anche un’altra percentuale, forse la maggiore, che vede gli adepti scappare, spesso durante la notte. Poi però si sentono in colpa e ritornano, oppure si rifugiano nell’alcool, nelle droghe o in nuove sette. Queste sono persone che avranno tutta la vita problemi di insicurezza, paranoia e sofferenze psicologiche”. E non è difficile capire perché: queste vittime si ritrovano infatti sole, avendo interrotto da tempo i rapporti familiari ed amicali, spesso senza lavoro essendosi licenziati per contribuire “volontariamente” alle necessità ed agli scopi della setta, senza un soldo, avendo elargito tutti i propri averi al “santone” di turno, senza più essere capaci di vivere in un mondo da cui si sono allontanati da molti anni.
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Le minacce e le violenze subite da chi vuole lasciare la setta
L’enorme difficoltà ad affrancarsi dalla setta è anche dovuta al fatto che, come afferma il prof. Hassan, “I gruppi più distruttivi installano anche fobie nella mente delle persone per renderle impaurite, per evitare che si ribellino al leader, all’ideologia o provino anche soltanto a lasciare il gruppo”. In non pochi casi le vittime fuoriuscite testimoniano di essere state pedinate, di aver ricevuto minacce e di essere state oggetto di attentati più o meno gravi alla propria vita.
Il libro offre una ampia panoramica dei gruppi settari operanti in Italia: Scientology, Damanhur, UPM (Un Punto Macrobiotico), Misa Yoga (Movimento per l’integrazione dello Spirito nell’Assoluto), la setta di Montecchio, Arkeon, la Comunità di Forteto, i Bambini di Dio, i Testimoni di Geova, Soka Gakkai, Durjaya Vidya, Archeosofia, OM (Osho Miasto), Umani in divenire, Gruppo Genio21. Tutti questi gruppi, attraverso le varie forme di business connesse ai doveri affiliativi degli adepti ed alle attività promozionali svolte a titolo di autofinanziamento dai volontari, rastrellano ingenti somme di denaro a beneficio esclusivo o prevalente dei guru a capo delle varie organizzazioni, di fatto vere e proprie imprese commerciali.
Lo scandalo di Forteto
Tra le varie vicende dettagliatamente illustrate spicca per la sua tragica assurdità quella del Forteto, in cui vengono affidati dal Tribunale dei Minori a questa comunità bambini e ragazzi che verranno nel tempo sistematicamente abusati dal suo fondatore, precedentemente condannato per reati della stessa natura. Ma il problema dei bambini all’interno delle sette va ben oltre il rischio di abusi sessuali. Come afferma la psicologa Margaret Thaler Singer: “I bambini cresciuti nelle sette non hanno modelli di comportamento capaci di insegnare loro la compassione, il perdono, la gentilezza o, piuttosto semplicemente, il valore di un abbraccio. Sono costretti, al pari di tutti gli altri membri della setta, ad idolatrare il leader. E così diventano dipendenti dei guru, passivi ed emotivamente sottomessi. Alla fine, non sanno niente del mondo. Lo dividono però in due categorie: dentro e fuori. Noi, dentro il gruppo, siamo giusti. Tutto quello che è fuori è sbagliato. Non sanno nulla di come funzioni una famiglia normale, non sanno come le persone risolvano le dispute o imparino a giocare, a lavorare o vivere in modo democratico all’interno di un nucleo affettivo. Imparano semplicemente a obbedire, con il rischio di diventate adulti con personalità ansiose e dipendenti”.
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L’urgenza di colmare il vuoto normativo sulla manipolazione mentale
Le vittime delle sette non solo non ricevono alcuna forma di assistenza dallo Stato, se non unicamente dalle varie associazioni man mano formatesi prevalentemente ad opera di ex-adepti, ma trovano enormi difficoltà a poter dimostrare in tribunale le violenze subite a causa dell’attuale inesistenza nel nostro codice penale del reato di manipolazione mentale, da quando nel 1981 è stata espunta dall’ordinamento la “vecchia” fattispecie del plagio. Da allora il nostro Paese è diventato terreno propizio alla nascita e alla diffusione di sette distruttive per cui urge una lucida iniziativa legislativa, da vario tempo ed a più riprese tentata infruttuosamente, oltre ad una massiccia e capillare informazione sulla pericolosità delle strategie manipolative di questi gruppi.
Il paradosso delle vittime che colludono con i loro carnefici
Non è certamente facile disegnare ed attuare strumenti di contrasto al fenomeno manipolatorio ed alle sottili strategie di condizionamento messe in atto dalle sette distruttive, anche perché, come spiega il Prof. Andrea Fagiolini, professore ordinario di Psichiatria all’Università di Siena, “il problema principale è che non tutti coloro che sono plagiati desiderano essere liberati dai loro condizionamenti. In alcuni casi, infatti, queste persone colludono con i loro manipolatori e sono impermeabili alla critica o ai consigli esterni, fino a sviluppare veri propri fanatismi”.
Nei ringraziamenti finali gli autori si rivolgono alle tante vittime che non hanno ancora avuto la forza di raccontare i loro drammi, “nella speranza che questo libro serva a rendere un poco più sottile la paura e lo sconforto: non siete soli. Ogni singola riga è dedicata a voi, e alla speranza che l’attuale cortina di silenzio venga smantellata in nome della reale libertà di culto, che non può essere – come abbiamo qui documentato – uno strumento per vessare chi, attraverso il credo, viene manipolato”.