La star di Grey’s Anatomy, che ha portato un tocco di cristianesimo nella serie, ricorda la nascita prematura della figlia Hannah e la bellezza tremante di affidarsi.Tutti la conoscono come April Kepner, personaggio che, dopo dieci anni di onorato servizio, ha dato l’addio alla serie Grey’s Anatomy. I fan hanno protestato a gran voce e i produttori della serie si sono resi conto del motivo; la sceneggiatrice Shonda Rhymes ha dichiarato:
La comunità cristiana è molto poco rappresentata. Dovremmo tutti lamentarci della perdita di una figura che ha portato al programma un profilo diverso e con uno scopo. (da Relevant Magazine)
Sarah Drew è figlia di un sacerdote presbiteriano, donna di fede cristiana anche lei; è stata scelta per rappresentare una giovane dottoressa con la sua stessa visione religiosa in una cornice piuttosto atea come quella di Grey’s Anatomy.
Al pari delle minoranze afroamericane, dell’inchino al mondo LGBTQ, anche lei è stata presa per catturare una fetta di pubblico: Miranda Bayley è di colore, Arizona Robbins è lesbica e April Kepner è cristiana. Lascia perplessi, ma è così. Con un nota bene: spesso e volentieri il personaggio cristiano o è stupido e da denigrare, o è bigotto e cattivo. Sarah è riuscita nell’impresa di scalfire – leggerissimamente – il copione che va per la maggiore.
Leggi anche:
Jennifer Aniston: siamo donne che non possono avere figli, non cose guaste
La casta nella casta
Quando è comparsa all’interno della serie che già faceva milioni di ascolti, la dottoressa April Kepner sembrava la solita scemotta cristiana che vuole rimanere casta fino al matrimonio; era impacciata e timida. Derisa dagli spettatori, ha saputo prendersi la scena crescendo in profondità ed intensità. Dietro le quinte, l’attrice Sarah Drew ha spiegato che le è stato chiesto di portare sullo schermo la sua vera esperienza di cristiana praticante e di intervenire sul copione quando le scene scritte per il suo personaggio potevano tradire la verità di un’autentica esperienza religiosa.
Il pubblico si è legato a lei proprio per la crescita che April Kepner ha testimoniato, quella di chi parla apertamente della fede, viene un po’ bistrattato per questo, ma sul lungo percorso cambia lo sguardo di chi incontra. April ha questo di realmente comune con il cristiano in carne e ossa: sbaglia spesso, tradisce i comandamenti, ha dubbi di fede, ma ne fa il riferimento incrollabile a cui ritornare. Lascia un fidanzato sull’altare, per dirne una.
Leggi anche:
Nathalie Guetta: sono un’attrice ma volevo solo essere una mamma e una moglie
Da spettatrice ho apprezzato moltissimo la scelta di portare agli spettatori un messaggio forte contro la propaganda pro aborto che la fa da padrone sugli schermi: mi riferisco al momento in cui April decide di partorire un figlio che vivrà per pochi istanti, lo battezza, lo abbraccia e lo lascia tornare al Padre. Al suo fianco un compagno ateo che propendeva per l’aborto, ma vive in pienezza lacerata la gioia di una presenza così piccola.
L’episodio è stato a detta di tutti un capolavoro, forse perché anche l’intoccabile casta della profanissima Hollywood in fondo sa bene cosa tocca il cuore dell’uomo, e sa che accoglienza e amore incondizionato sono la vita vissuta di molta più gente di quella che grida “my body, my choice”. Per la faccia da copertina vale l’ideologia, ma la logica degli ascolti deve tenere conto di cosa davvero interessa alla gente.
Così Sarah Drew è un po’ una mosca bianca nel mondo luccicante del cinema e della TV, ma non poi così bianca; lei stessa infatti documenta la presenza dell’esperienza cristiana, ben più pervasiva di quel che si direbbe, a Hollywood:
Ho incontrato cristiani ovunque sia stata, su ogni set: sia nei cast che nelle squadre di lavoro. Ho incontrato produttori che sono cristiani e producono spettacoli laici; davvero c’è tanta Verità e bellezza che può essere scovata in ogni varietà di film che c’è. (da Patheos)
Fuori dal piccolo schermo, la grande notorietà acquisita ha permesso a Sarah Drew di offrire una testimonianza di vita vissuta che può essere di conforto a tante mamme, la nascita di una figlia prematura.
Perdere il controllo, cioè affidarsi
Ieri, festeggiando il quarto compleanno della secondogenita Hannah, Sarah Drew ha ricordato quale esperienza potente sia stata la nascita della bambina. Sposata dal 2002 con il professore della UCLA Peter Lanfer è madre anche di un maschietto di 6 anni, Micah Emmanuel.
Leggi anche:
Giusy Buscemi: 8 figli? Sarebbe perfetto!
Con alcuni scatti su Instagram, ieri ha raccontato la maternità in termini di rischio e perdere il controllo: non esattamente le parole tranquillizzanti e zuccherose che si trovano sui giornali o nelle pubblicità, eppure così corrispondenti a quel nodo emotivo tutt’altro che rasserenante che tutte abbiamo sentito diventando mamme. Hannah nacque prematura nel 2014 e accadde che
[…] rimase ricoverata per settimane. Non potevo fare nessun tipo di piano. Non potevo avere il controllo sul suo ricovero. E così non potrò controllare mai ciò che le accadrà in futuro. Tutto quello che posso fare è camminarle accanto, ricordandole giorno dopo giorno quanto sia preziosa e amata. Da quando è nata mi sta insegnando ad affidarmi e sono tanto grata di avere un’insegnante così piccola nella mia vita.
Si associa troppo spesso, oggi, alla femminilità l’idea di una forza volitiva da supereroine e c’è anche il rischio che questa ombra scenda sulla maternità. Che invece è proprio la forza dell’arrendersi, dell’essere più che “essere capace”. Quando ero in attesa del secondo figlio ascoltai una conferenza tenuta da una esperta senza dubbio competente ma con cui fui in pieno disaccordo: per tenere alto il morale delle mamme a fine gravidanza, disse che avrebbero fatto esperienza di un’autostima pazzesca guardando il bambino e dicendo “Questo l’ho fatto io”. Sarà l’esatto opposto – pensai tra me e me – e sarà meglio così.
Leggi anche:
Julia Roberts: ogni giorno vedo rientrare mio marito a casa e ringrazio di averlo con me
Il bambino non lo fa la madre, lei lascia spazio nel suo corpo perché la vita cresca. Ed è tutt’altra cosa.
Surrender è sempre stato un verbo difficile da tradurre, per me. C’è il senso della resa, ma non quella a denti stretti; quella che spalanca le braccia e si affida. Fa bene Sarah Drew a usare questo verbo per la maternità, perché in questo nostro tempo che smania per essere padrone di tutto e su tutto, proprio a noi madri cristiane è chiesto di testimoniare la forza della resa, l’essere parte attiva di un progetto di vita di cui non siamo né l’Alfa, nè l’Omega. Ma di cui siamo custodi solerti:
Quando si diventa genitori (anche adottivi, con l’affidamento e in ogni forma) si accetta il rischio più grande possibile. È anche il più grande salto di fede. Impari come amare, impari a lasciar andare. Non abbiamo nessun vero controllo su questi piccolissimi esseri di cui abbiamo la responsabilità. Possiamo fare del nostro meglio per amarli, proteggrli e insegnar loro a essere gentili, ma a fine giornata, non possiamo aver il controllo su quel che sono e diventeranno. Amare i figli è un gesto quotidiano di resa.