Un progetto editoriale annuale chiamato Underground, per portare allo scoperto la corrente viva del pensiero cristiano. Il primo volume è Santi ribelli, scritto a più mani da appassionati per appassionare alle figure più controcorrente della storia. Eccone un assaggio.I Santi hanno un navigatore speciale per studiare percorsi adatti a centrare ogni anima, Ildegarda si è presentata a casa mia con un vassoio pieno di dolci, i suoi biscotti della gioia.
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Ricordo ancora quella sera tarda, passeggiavo con un’amica che non vedevo da tempo e lei mi confidò di come il suo corpo era cambiato seguendo la dieta della santa di Bingen, non in vista della prova costume ma del suo essere madre: i dottori le avevano dato per certo che non avrebbe avuto più figli a causa di certe sue disfunzioni, invece eccola mamma di due allegre pesti. Non usò la parola miracolo, ma sguardo. Io e lei condividevamo lo studio appassionato del Medioevo e questa sua esperienza concretissima di vita ci confermò quello che già sapevamo, la progressiva perdita di uno sguardo universale dell’uomo proprio a partire dal tempo che seguì l’età delle cattedrali.
La nostra chiacchierata finì con un invito che subito accolsi: «Prova i suoi biscotti della gioia, la ricetta è su internet!». È diventata la merenda preferita dei miei figli.
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Mille anni mi separano da Ildegarda, e molto più. Lei tedesca di nobili origini, visitata da visioni potentissime, fondatrice di abbazie, scrittrice inesausta di teologia, musica, astronomia, cosmologia, poesia e tanto altro.
Nacque nel 1098 in Germania, ultima di dieci fratelli e fu messa in convento all’età di otto anni. Lì trovò la sua prima educatrice, quasi una madre: Jutta di Sponheim era aristocratica, ma con una vocazione profonda, trascorreva il tempo in clausura tra preghiere e l’ascolto, da una piccola finestra, dei lamenti della gente comune che da lei implorava benedizioni. Un vero angelo tra cielo e terra. Oltre a Jutta, Ildegarda scoprì in convento la voce di grandi autori cristiani, Dionigi l’Aeropagita e Agostino in primis. Ma già da piccolissima un’altra voce imperava sul suo cuore; era visitata da visioni che la prostravano, si trattava di una chiamata a cui lei cercò di resistere; poi le accolse e condivise i dubbi e il senso delle manifestazioni con S. Bernardo di Chiaravalle.
Fondò due monasteri, non senza sollevare invidie, maldicenze, accuse in ambito clericale. Le sue monache vestivano colori vivaci, cantavano, studiavano la medicina naturale. E lei, così legata all’umiltà della vita claustrale, non evitò di alzare lo sguardo fino all’imperatore quando ce ne fu bisogno: Federico Barbarossa confidava nei consigli di Ildegarda, ma quando oppose due antipapi ad Alessandro III si sentì redarguire da lei senza mezzi termini. Le voltò le spalle.
Questa figura così imponente, proclamata dottore della Chiesa nel 2012, potrebbe risultare lontana; invece mi sento di frequentarla con amichevolezza.
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Ci sono tantissimi blog per mamme indaffarate sul web, però io preferisco rifugiarmi nelle parole di Ildegarda quando i pezzi della vita non collimano e stridono. Fossi stata studentessa mi sarei chiusa in una biblioteca a studiare tutto ciò che scrisse, ma ora non posso. Ho trovato un testo meraviglioso per avvicinarmi a questa santa, che ogni giorno di più sento tenera come una nonna e mirabile quanto una regina: si chiama Ildegarda, la potenza e la grazia e ne è autrice Lucia Tancredi. La Tancredi ha rielaborato il testo latino della Vita Hildegardis in una forma romanzata, ma storicamente fedele. Ne citerò qualche passaggio che ho consumato di sottolineature fin troppo entusiaste.
Il mondo moderno ha guadagnato una parola alquanto triste, femminismo; serenamente io giro le spalle a queste finte conquiste e faccio memoria del segreto della donna, guardando una santa i cui occhi – ovunque si posassero – trovavano materia di curiosità, lode e pieno affidamento al Padre del mondo; dal filo d’erba nel prato, alle doglie del parto di una donna, alle stelle del cielo.
Questo mondo che ci circonda, che qualcuno ci descrive come terra desolata dove veniamo al mondo soffrendo a ventre aperto, da cui è bene astenersi, è invece emanazione del Logos che tutto governa. Il mondo è creatura voluta dal Supremo fattore, nel quale il Figlio si è fatto fattura.
Ah! Eccoli qui i secoli bui! Sarebbe più onesto definirli i secoli universali, abitati da gente capace di una visione unitaria, nel micro e nel macro, non dispersiva né disperata, bensì innamorata … innamorata di Chi, in ogni briciola di reale ha impresso la sua digitale impronta celeste.
Ildegarda non era schizofrenica nel suo essere interessata alla medicina, al canto, alla cosmologia, alla filosofia, alla cucina: era invece della stirpe degli universali, coloro che sanno che il mondo – da qualsiasi verso si prenda – conduce all’Uno. E intuivano che più instancabilmente si studia il senso di una disciplina più fiorisce una sfumatura incarnata di Dio.
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Noi, gente del XXI secolo, parliamo dei limiti come fossero una brutta parola, qualcosa da togliere, evitare, superare. Perché siamo noi quelli diventati schizofrenici e – in qualunque verso vada il mondo – siamo certi che una meta sicura non esista. La nostra creaturalità ferita e imperfetta ci è divenuta insopportabile, tanto da volerla plasmare a forza di tecniche, sonniferi, pillole di felicità e di morte. Non sono esente da questa tirannia del pensiero, perciò mi rifugio nel discernimento di questa santa medievale che faceva della sua persona qualcosa di simile alla cera di candela, disponibile a essere formata:
«Io», in realtà, non era per me una parola chiusa, come il nocciolo duro dentro il frutto, o un grano solo di rosario. Io ero un canale aperto. La realtà mi appariva sempre più come la cera molle su cui Dio aveva impresso il suo monogramma. Bastava essere aperti, farsi valico, soglia spalancata sul nero della porta.
Non credo sia un caso che anche Dante usi nella Divina Commedia questa immagine della cera che si lascia plasmare. Col beneplacito di tutte fan della chirurgia estetica, il nostro volto viene dipinto dalle circostanze; viene ferito e curato, lisciato e corrugato, sferzato di freddo e coccolato di caldo.
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Ma queste circostanze sono le mani di un Padre che solo sa quanta bellezza debba ancora tirar fuori da noi. Allora, la vera forza della donna – il suo essere predisposta ad accogliere nel ventre la vita – è abbracciare con duttilità volenterosa gli eventi, abbracciarli sporgendosi … perdendo l’equilibrio. Con una sintesi forse fin troppo paradossale, ringrazio Ildegarda di avermi ricordato che per amare come ama Dio bisogna essere degli squilibrati, pieni di gioia:
Ma col tempo anche tu hai imparato a comprendere che amare significa perdere l’equilibrio, sperimentare ogni volta una maniera vertiginosa per uscire fuori di sé. Forse essere donne vuole dire essere spossessate della gravità, cercare come il magnete la forza che ci attira altrove. Come se la carenza fosse uno stare dell’essere, una porta aperta.