«Il “Padre nostro” non è quello di Papa Benedetto XVI. Dio non ci induce in tentazione!! Benedetto XV si è fatto ingannare dal diavolo». Così si leggeva nel novembre 2007 sui siti web tradizionalisti, quando Jorge Mario Bergoglio era un “semplice” arcivescovo argentino.
Ma, allora, tali personaggi erano una voce sparuta, priva – al contrario di oggi – del supporto mediatico della destra religiosa (anzi, “divina”, come la chiama Camillo Langone). La quale sta incolpando Francesco di voler cambiare il Pater noster ignorando che la forma “non abbandonarci alla tentazione” venne introdotta nel 2008.
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E’ compito dei teologi, non tocca a noi la questione della opportunità o meno di una migliore traduzione della preghiera insegnata da Gesù, nei Vangeli. Semplicemente mostriamo come i sedicenti ratzingeriani che hanno come missione esistenziale la guerra all’attuale Pontefice – su qualunque argomento -, si trovano a combattere lo stesso Benedetto XVI. «Il Padre nostro sarà modificato e zuccherato», ha denunciato recentemente, ad esempio, il giornalista Marco Tosatti, leader della “resistenza anti-bergogliana”. «Con quale improntitudine si osa manomettere un testo vecchio di duemila anni? In Germania, contro la nuova traduzione, sostenuta da Bergoglio, hanno obiettato pure gli atei». Ma non il Papa emerito, sotto il quale è nata ed è stata approvata.
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In queste critiche – condivise da molti altri e non esclusive dell’amico Tosatti -, emerge una grave impreparazione giornalistica e una poca familiarità con la lettura dei Vangeli. Infatti, è dalla traduzione della Conferenza Episcopale Italiana pubblicata nel 2008 dalla Libreria Editrice Vaticana, con il placet di Benedetto XVI, che venne autorizzata la tanto discussa modifica della Scrittura : «La scelta del Consiglio permanente è stata quella di intervenire solo dove fosse assolutamente necessario per la correttezza della traduzione», spiegò mons. Giuseppe Betori, l’allora segretario della Cei. «Nel caso del Padre nostro si è affermata l’idea che fosse ormai urgente correggere il “non indurre” inteso ormai comunemente in italiano come “non costringere”. L’inducere latino (o l’eisfèrein greco) infatti non indica “costringere”, ma “guidare verso”, “guidare in”, “introdurre dentro” e non ha quella connotazione di obbligatorietà e di costrizione che invece ha assunto nel parlare italiano il verbo “indurre”, proiettandolo all’interno dell’attuale formulazione del Padre nostro e dando a Dio una responsabilità – nel “costringerci” alla tentazione – che non è teologicamente fondata. Ecco allora che si è scelta la traduzione “non abbandonarci alla” che ha una doppia valenza: “non lasciare che noi entriamo dentro la tentazione” ma anche “non lasciarci soli quando siamo dentro la tentazione”».
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Eravamo nel maggio 2008. Dieci anni dopo, l’attuale Pontefice introduce la stessa modifica anche nella liturgia. Tempo fa, Francesco ha infatti ripreso il concetto: «Nella preghiera del Padre Nostro (cfr Mt 6,13) c’è una richiesta: “Non ci indurre in tentazione”. Questa traduzione italiana recentemente è stata aggiustata alla precisa traduzione del testo originale, perché poteva suonare equivoca. Può Dio Padre “indurci” in tentazione? Può ingannare i suoi figli? Certo che no. E per questo, la vera traduzione è: “Non abbandonarci alla tentazione”.
Apriti cielo, le sedicenti “bussole” cattoliche, silenti quando avvenne la modifica ai tempi di Ratzinger, hanno trovato il nuovo appiglio per condannare nuovamente il Papa all’eresia: Bergoglio osa cambiare la parola di Gesù. Sorpresa invece sul Secolo d’Italia: «Il Papa e il Padre Nostro: ma le correzioni le aveva già fatte la Cei al tempo di Ratzinger».
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