Una famosa testata nazionale ha pubblicato un redazionale (che sembra ignorare gli stessi articoli pubblicati in precedenza sulla testata) in merito a un grosso detrito spaziale rimbalzato l’anno scorso sul sistema solare e poi schizzatone via. Una cometa mancata nella quale alcuni scienziati e giornalisti hanno ostinatamente voluto vedere “una sonda ufo”. Piccole nevrosi dogmatiche, che però rivelano qualcosa.
Un anziano accademico mi ha insegnato che l’aggettivo da usare per valutare una tesi scialba ma di cui non si è ancora certi che la commissione vorrà bocciarla è “suggestiva”. Quasi una vox media, l’aggettivo può essere declinato come attributo enfatico o come eufemistica stroncatura.
Per un pugno di clic
Quest’aggettivo appunto ha scelto la redazione di Repubblica (pezzo non firmato… è tutto dire) per tornare a divulgare l’ipotesi dei cervelloni di Harvard riguardo a un detrito spaziale alla deriva: la medesima testata aveva già scritto il 15 dicembre 2017, a firma di Matteo Marini, che dall’asteroide non giungeva alcun segnale “alieno”; tre giorni dopo era Anna Lisa Bonfranceschi, sempre su Repubblica, a spiegare che il “sigaro spaziale” non ha un’origine aliena. Alla vigilia dei Santi Pietro e Paolo di quest’anno, sulla solita Repubblica, era Giuliano Aluffi a far spiegare a Marco Micheli (astronomo dell’Esa) “la verità” sul corpo celeste: «È una cometa» [spenta, va da sé, altrimenti neppure se ne discuterebbe].
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Si capisce come l’articolo comparso ieri sulla nota testata nazionale sia un (fin troppo) comune esemplare di “post acchiappaclic”, consistente in un titolo ruggente e in qualche riga di belati striminziti: dunque nulla di nuovo, altro che vita extraterrestre. L’essenziale del caso l’aveva scritto già il 21 novembre 2017 (sempre su Repubblica) la buona Anna Lisa Bonfranceschi:
OUMUAMUA nella lingua hawaiana significa “messaggero”. Il messaggero in questo caso è rossiccio, di aspetto allungato, arriva da lontano e prima di venirci a trovare ha viaggiato a lungo, per milioni di anni. Il messaggio che Oumuamua trasporta è racchiuso tutto nella sua orbita, perché il messaggero è un asteroide, il primo di origine extrasolare mai osservato. Un oggetto che, in altre parole, arriva da fuori il Sistema solare e che dopo esserci passato vicino si sta già allontanando. La storia di questo sigaro spaziale è raccontata oggi sulle pagine della rivista Nature.
Insomma un grosso sasso di origine ignota ma certamente esterna al sistema solare: forma singolare, velocità notevole… tutti attributi degnissimi di destare l’interesse della comunità scientifica e dei comuni mortali. La notizia sconcertante, si capisce, non è che i giornali cerchino di acchiappare clic (bisogna pur vivere: proprio ieri leggevo il roboante e assurdo titolo sul “dossier con cui costringono Bergoglio a mollare”), ma che a rincorrere le farfalle siano stavolta proprio i ricercatori dello Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics. Leggiamo infatti:
«Oumuamua potrebbe essere una sonda inviata intenzionalmente nelle vicinanze della Terra da una civiltà aliena», sostiene il rapporto, citato dalla Cnn. Si parla della possibilità che «viaggi nello spazio interstellare come un detrito grazie a un’attrezzatura tecnologica avanzata», spinto forse dalle radiazioni solari. L’alta velocità dell’oggetto, insieme alla sua traiettoria inusuale, fa pensare agli scienziati che non sia più funzionante.
Insomma, sintetizziamo: ha una forma strana, è “troppo veloce” e ha una traiettoria inusuale, non ne captiamo alcun segnale intelligibile e a stento immaginiamo quale tecnologia possa alimentare un manufatto durante un viaggio che supponiamo durare da “milioni di anni”… ma la risposta dei cervelloni di Harvard non è “le evidenze suggeriscono che si tratti di un detrito spaziale, certo interessante per alcune ragioni”, bensì: «Potrebbe essere una sonda mandata chissà come da chissà chi… ah, e come sonda sembra non funzionare più».
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L’unica cosa evidentemente aliena alla natura umana, finora, è l’argomentazione. E questo – si badi – non ha a che vedere con la mera teoria dell’esistenza della vita extraterrestre, a cui la teologia si è finora interessata relativamente poco perché – qualcuno sarà forse sorpreso di saperlo – la teologia cristiana si basa sulla Rivelazione, e dunque non ammette sviluppi speculativi in mancanza di dati certi da cui partire.
Poiché tuttavia la mera ipotesi dell’esistenza di forme di vita extraterrestre nell’universo non appaia a oggi escludibile a priori, si capisce che la teologia cristiana si sia più volte provata a gettare qualche linea di riflessione in vista di ulteriori sviluppi. Con risultati alterni, normalmente proporzionali al rigore metodologico e alla prudenza delle ipotesi avanzate. Ad esempio Armin Kreiner, docente di teologia alla Ludwig Maximilians Universität di Monaco, ha pubblicato uno dei titoli più celebri (e più sbilanciati) del settore: il suo Gesù, gli ufo e gli alieni raccoglieva il dossier ufologico e lo poneva sul tavolo da lavoro del teologo cristiano. Correttamente Kreiner osservava che dal punto di vista cristologico la questione nodale sta nel comprendere la rilevanza dell’evento di Gesù rispetto a forme di vita extraterrestre. Più o meno come la questione dell’umanità degli indios tra XVI e XVII secolo, ma all’ennesima potenza perché stavolta dovremmo escludere non solo l’ipotesi monogenista in senso stretto, bensì ogni pensabile partecipazione degli alieni alla “natura umana”. Fin dal principio, per ipotesi.
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L’errore di Kreiner sta in un incauto riferimento alle teologie di Bonaventura e Duns Scoto, i quali riferiscono sì la necessità dell’incarnazione di Cristo a tutto il mondo e non solo al peccato di Adamo, ma con questo intendevano che tutta la creazione è ipso facto precipitata nella maledizione dell’uomo, e assolutamente non prendevano in considerazione l’ipotesi – allora inconcepibile seriamente – di forme extraterrestri di vita intelligente. Insomma Kreiner prende due grandi dottori medievali e sulla loro scorta si spinge a dire che degli “avatar di Gesù” si potrebbero (o si sarebbero già potuti) incarnare altrove nell’universo. Cosa che oltre a risultare occamisticamente ridondante sarebbe cristologicamente inammissibile. A suo tempo Gianfranco Ravasi ne spiegò benissimo le ragioni:
Non per nulla l’editore italiano ha premesso al saggio di Kreiner un’introduzione critica di un altro docente, Andrea Aguti dell’università di Urbino, che punta – oltre ad alcune contestazioni nei vari passaggi argomentativi dello studioso tedesco – al centro cristologico nodale. Ed è qui che egli oppone alla pluralità indipendente dalle manifestazioni di Dio una differente proposta che ricentra il tutto nell’evento Cristo.
Esso, pur essendo “puntuale”, a causa della sua matrice trascendente non avrebbe solo un valore “localistico” ma cosmico, come suggerisce per altro l’apostolo Paolo: «È piaciuto a Dio che abiti in Cristo tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato col sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli» (Colossesi 1,19-20; la tesi è ribadita in Efesini 1,10 ove Cristo è visto come l’asse “capitale” che unifica e salva l’intero essere). Si avrebbe, quindi, come dicono i teologi, una cristologia “inclusivista” che coordina nell’evento dell’Incarnazione tutta la relazione tra Creatore e creazione, la quale può avere modi espressivi diversi che le differenti religioni del nostro pianeta e le ipotetiche differenti umanità extraterrestri riflettono. Tanto per proporre un parallelo squisitamente cristiano: la celebrazione della Messa applica in tempi e luoghi diversi i frutti di un unico evento storico salvifico, la morte e risurrezione di Cristo, senza moltiplicarlo, e questo è possibile perché in quell’evento storicamente “unico” è in azione Dio che è eterno e infinito e può, quindi, estendersi con la sua azione in tutto il tempo e lo spazio.
O con le più concise parole di Piero Coda:
Anche gli extraterrestri, se esistono, sono creature di Dio e per la solidarietà che coinvolge tutta la creazione, rientrerebbero anche loro nel riscatto dal peccato originale.
Ha ragione Vladimiro Bibolotti, Presidente del Centro ufologico nazionale, a dire che la posizione della Chiesa si riassume bene nelle parole di mons. Tanzella-Nitti, astronomo e docente di Teologia Fondamentale presso la Pontificia Università della Santa Croce:
I cristiani non hanno bisogno di rinunciare alla loro fede in Dio, semplicemente sulla base della ricezione di queste nuove informazioni inattese di carattere religioso ma che riguardano civiltà extraterrestri, una volta che il religioso verifica che queste civiltà aliene provengono al di fuori della Terra, dovranno condurre una rilettura del Vangelo comprensiva dei nuovi dati.
E dunque in una rassegna dei pronunciamenti impegnativi della Chiesa sulla questione anche noi ricorderemo L’Extraterrestre è mio fratello, l’intervista rilasciata da Padre José Gabriel Funes a Francesco Maria Valiante e comparsa su L’Osservatore Romano il 27 dicembre 2014; le interviste di mons. Corrado Balducci e quelle più recenti di padre Guy Consolmagno. In mancanza di ulteriori (e concreti) sviluppi, potranno moltiplicarsi le voci ma non gli elementi di riflessione. Su Avvenire il già ricordato professor Aguti aveva richiamato l’antica tesi della pluralità dei mondi,
In epoca moderna […] affermata tanto da pensatori cristiani (Cusano) quanto da critici del cristianesimo (Bruno) in base ad argomenti non troppo dissimili, ma anche negata da molti altri.
Ammettere molteplici mondi, tuttavia, è cosa filosoficamente distinta dall’ipotizzare l’attuale concomitanza alla nostra di forme di vita extraterrestre: anticamente i termini della questione venivano posti in senso metafisico, non astronautico. Alla mutazione della questione hanno contribuito naturalmente le grandi scoperte astronomiche del XV e XVI secolo, ma pure – ci si imbarazza a dirlo, ma ometterlo sarebbe grave errore – la narrativa fantascientifica che, soprattutto a mezzo cinematografico, ha profondamente in/de-formato l’immaginario comune (e l’opinione pubblica).
Alieni “umani, troppo umani” – umani alienati
Anche i presunti scatti rubati nella famigerata “Area 51” ci mostrano figure sfacciatamente antropomorfe, solitamente marcate da macrocrania e da sintomi che la nostra medicina riconduce alla Sindrome di Pfeiffer (ad esempio gli occhi grandi). Insomma, volendo fare gli avvocati del diavolo e brandire una volta tanto la teoria evoluzionistica contro certi fantasiosi “scienziati”: perché gli “alieni” avrebbero il torace dei mammiferi? Perché sarebbero tetrapodi, e per di più bipedi? Perché avrebbero un endoscheletro laddove già sul pianeta terra gli individui viventi con un esoscheletro si stimano in numero enormemente maggiore rispetto agli altri? Insomma, anche volendo variare sul tema dell’extraterrestre, gli spunti sarebbero innumerevoli: ci sono i cefalopodi, gli invertebrati…
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Si obietterà che la sola forma di vita autocosciente nota sul pianeta Terra è quella umana, e che dunque quando l’uomo immagina una vita analoga sarà portato a immaginarla conforme a sé. Ma questo suona molto come il racconto biblico di Adamo che sfoglia davanti a Dio il grande catalogo della creazione e pur trovandolo bello e interessante non vi trova ciò che inconsapevolmente cerca.
Poi il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile».
Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome.
Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l’uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile.
Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto.
Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo.
Allora l’uomo disse: è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta».Gen 2, 18-23
Verrebbe da dire che – con buona bace di Feuerbach – l’umanità impedita dalla morte di Dio a creare la divinità a propria immagine e somiglianza si sia data a plasmarsi ostinatamente (e perfino “contra spem” obietterà qualcuno) nelle forme di vita extraterrestri. Questo spiega il noto paradosso per cui un cristallo di ghiaccio su Marte è vita mentre una morula nel ventre materno non lo è – o, declinando “a destra”, perché un povero va sostenuto “a casa sua” mentre va respinto se è così determinato a star meglio da affrontare un viaggio terrificante. Insomma sono le nevrosi di tutti gli uomini “credenti” – c’è chi crede di credere e chi crede di non credere: quelli che credono e basta vengono guariti dalle nevrosi in virtù della Fede.
Esiste davvero un dio inumano che è solo l’ombra deforme e mostruosa dell’uomo, ma né quanti lo affermano diventano per ciò credenti né quanti lo negano diventano perciò atei. Basti considerare la fede tenace con cui guardano un sasso che rimbalza sul sistema solare quasi fosse uno stagno e dicono di aver visto una sonda aliena (che, purtroppo per noi, non sarebbe più funzionante…).
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Tutto ciò muove un comprensibile scetticismo teologico (che sfiora un non condivisibile sarcasmo): «Non è bene che l’uomo sia solo» è una frase vera come possono esserlo gli oracoli divini, e chi professa di aver riconosciuto il Dio che si rivela non può sorridere del fatto che tanti suoi simili, forse senza colpa, non possano neppure dare un nome al malessere che li pervade.
Ci sono i giornali, più o meno blasonati, che vivono di clic. Ci sono gli scienziati, più o meno razionali, che vivono di pubblicazioni. E poi ci sono gli uomini, più o meno infelici, che vivono schiacciati dalla paura di morire soli. Ma se nel cielo non riescono a scorgere un Padre, tuttavia non si rassegnano a non trovarvi almeno dei fratelli (che poi sarebbero ulteriori indizi dell’esistenza del Padre).
Chissà se esistono gli alieni: di sicuro il mondo è pieno di alienati, e dovremmo cercare di riportarli fra noi. Con un poco di empatia e di tenerezza, tanto per cominciare.