Gli anniversari della morte per noi cristiani sono la memoria viva del dies natalis; Filippo è nato al Cielo e non è un modo di dire, ma serve un tempo pieno della grazia di Dio perché una madre si rialzi dal proprio dolore.di Anna Mazzitelli
Oggi trenta ottobre.
Domani (oggi ndr) trentuno.
Dopodomani novembre.
Devo dire che rispetto allo scorso anno mi sento più serena. Il Vangelo di ieri raccontava l’incontro della donna che da 18 anni aveva una malattia che la costringeva a stare curva. Ecco, lo scorso anno, già quando venne letto quel Vangelo, ricordo che io mi sentivo esattamente come quella donna, curva nel mio dolore. Questa volta no, questa volta va un po’ meglio.
Siamo stati, Stefano e io, un po’ in giro per parlare della nostra storia, di come Dio sia intervenuto nella nostra vita e non ci abbia lasciato disperare davanti a quello che ci stava succedendo.
Siamo stati a Ferrara, accolti da amici in una maniera talmente bella che qualunque cosa raccontassi sarebbe poco. Come sempre succede in occasioni come questa, quello che riceviamo è sempre molto di più di quello che diamo. Beatrice e Riccardo ci hanno aperto la loro casa, a Ferrara, ci hanno presentato ai loro parenti e ai loro amici, ci hanno donato tempo, energie, confidenze, cibo, sorrisi, lacrime, emozioni.
Vedere persone belle, che cercano di affrontare le loro fatiche quotidiane affidandosi a Dio, che mettono problemi piccoli e grandi nelle Sue mani, che vivono preoccupazioni e gioie come tutti, e li vivono guardandoli sotto la luce della fede è meraviglioso, perché ti ricorda che non sei l’unica ad avere difficoltà, e non sei l’unica che a volte stenta ad affidarsi, ma ti ricorda anche che nel momento in cui riesci ad affidarti, tutto cambia.
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Come sempre in queste occasioni ci vengono consegnate tante storie di grande sofferenza, e noi cerchiamo di conservarle nel cuore, di portarle con noi durante la preghiera, di ricordare nomi, volti, situazioni, dettagli, per poter chiedere con precisione e con insistenza la carezza di Dio sui volti delle persone che stanno soffrendo.
Siamo stati poi in provincia di Arezzo (non voglio essere vaga, è che nel giro di mezza giornata abbiamo attraversato tre comuni diversi, e i nomi non sono il mio forte), e anche lì siamo stati sommersi da sorrisi, gentilezza, parole, amicizia.
Laura e Filippo, appena tornati da Bergamo in un weekend per loro faticosissimo, si sono presi cura di noi e, sebbene ci fossimo visti solo una volta, prima di allora, ci è sembrato di conoscerli da sempre, per la familiarità con cui abbiamo trascorso le poche ore assieme.
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Mi stupisco sempre di come, poi, ogni volta che ci mettiamo in gioco per parlare della nostra storia, escano fuori cose nuove. Questo naturalmente dipende dal fatto che chi ci fa le domande e guida la conversazione, legge gli eventi con i suoi occhi, e ne sottolinea qualcosa di molto personale. Alcune cose le raccontiamo sempre, è inevitabile, dobbiamo ogni volta ripercorrere le tappe, almeno a grandi linee, e parlare degli ultimi giorni con Filippo. Ma poi quello che ci viene chiesto è sempre diverso, e questo è importante soprattutto per noi, perché ci costringe a osservare l’accaduto da altri punti di vista, e a scoprire in quello che è successo ancora e sempre la mano di Dio che ci ha guidato.
Don Danilo, in quest’ultima occasione, ci ha regalato delle emozioni incredibili, perché ha messo l’accento su dei punti che fino a quel momento erano rimasti un po’ in secondo piano, e ci ha fatto parlare e ricordare momenti della nostra vita di coppia che non sempre ci vengono in mente, ma che hanno costruito il nostro legame, e quindi è bene sottolinearli, almeno ogni tanto.
La sua comunità, poi, ci ha davvero commosso. In genere dopo che abbiamo raccontato una storia straziante, sebbene cerchiamo di farlo con il sorriso e cerchiamo di far comprendere la luce che abbiamo vissuto, malgrado all’apparenza possa sembrare tutto molto buio, poche sono le persone che ci fanno domande o che commentano, e questo ci dispiace, perché ci sembra che crei distanza, e che quello che Dio ha operato nelle nostre vite sia una cosa riservata, non possibile a tutti. Invece il nostro messaggio è proprio l’opposto: se Dio ha fatto così tanto per noi, che non siamo niente di speciale, è perché Lui è speciale, e lo è con tutti, è disposto a farlo per chiunque, e per qualsiasi tipo di situazione e di dolore. La comunità di don Danilo, invece, ci ha investito con domande e con testimonianze personali, si sono aperti, messi in gioco, hanno raccontato fatti, hanno condiviso pezzetti della loro vita, e questo ha creato un’atmosfera particolare, serena, familiare, lieta nonostante le fatiche e le sofferenze di ciascuno.
Don Danilo stesso, poi, ha concluso facendoci pregare con le sette preghiere di Filippo, e ha fatto pregare tutta la sua comunità per il nostro novembre, che si avvicina.
Ecco, forse per la prima volta da quando Filippo è andato in cielo e da quando ci chiedono di parlarne, ho rischiato di piangere.
Perché lo temo, questo benedetto mese, e contemporaneamente so che, come ogni anno, sarà pieno di dolore ma anche di bellezza, e saranno tante le persone che si ricorderanno di starmi vicino, ognuna a modo suo, e pregheranno perché lo attraversi e ne possa uscire sana e salva.
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Come il nostro amico Maurizio, che pochi giorni fa mi ha telefonato perché un tramonto più rosso del solito gli ha ricordato il cielo di Roma ad ottobre, solo per dirmi che ci pensa e che prega per noi.
Come chi mi sgrida in anticipo, e mi fa la predica (salvo poi scusarsi), ma che nei prossimi giorni mi starà accanto con una attenzione diversa e si terrà per sé le sgridate, come ha fatto negli anni passati (ma solo per il mese di novembre).
Come chi pregherà in silenzio, senza dirmi niente, senza grande pubblicità o desiderio di riscontri, ma sarà determinante perché mi permetterà di non piangere (troppo), di non passare trenta giorni in totale apnea, di prendermi cura della mia famiglia, di non litigare con i miei figli, di sorridere ai miei alunni, di essere, nonostante tutto, lieta.