Le antiche tradizioni italiane della tavola sono sempre state occasioni per introdurre i piccoli alla relazione con il Cielo e a ricreare il legami spezzati dalla morte
Si avvicina la solennità di Ognissanti e la giornata che la Chiesa dedica alla Commemorazione dei defunti. Ma a guardare i negozi e i luoghi di ritrovo giovanile potremmo dire che tutta l’attenzione è soprattutto concentrata su Halloween. Non tanto nella versione “Dolcetto o scherzetto”: più che altro si comprano maschere da strega e da zombie e si organizzano feste a tema di vampiri e fantasmi. Parte inevitabile la polemica sui social network: Halloween sì o Halloween no? Divertimento innocuo o festa satanica?
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Approfitto della ricorrenza per raccontarvi qualcosa sulla stretta relazione tra ricordo dei defunti e cultura della tavola, un tema che è anche al centro di belle tradizioni tutte italiane. La nostra società è per lo più imbarazzata quando si affronta il tema della morte, ma in quasi tutte le culture c’è attenzione al culto dei defunti e ad esso sono spesso collegati anche dei linguaggi del cibo, dei riti culinari messi in atto da parte di chi crede che tra noi e le anime dei defunti ci sia una stretta comunicazione.
Cominciamo da Halloween: che significa “All Holy’s Eve”, cioè “Vigilia di Ognissanti”. E’ ampiamente praticata in America Settentrionale perché lì sono emigrati i celti, portandosi dietro tutto il proprio bagaglio culturale. Halloween parla di sacro, di legami fra cielo e terra. I Celti credevano che il 31 Ottobre gli spiriti dei morti tornassero nel mondo dei viventi, errando indisturbati sulla terra. Convertendosi al cristianesimo, hanno compreso che alla luce della fede in Cristo non c’è più nulla da temere: si offrono preghiere e suffragi per i defunti ed essi dal cielo ci proteggono. Halloween diventò quindi una festa per i bambini, che mascherati vanno di porta in porta a chiedere dolcetti. E’ da qualche tempo di moda anche in Italia, ma nella versione moderna: una specie di carnevale di zombie e vampiri, che poco ha a che fare con l’antica tradizione celtica. Ci si traveste e si svuotano zucche, ma non si parla più dell’aldilà.
Se vogliamo celebrare le tradizioni di Ognissanti, perché non riscoprire le nostre? Anche in Italia esistono dei riti che aiutano a rendere visibile il ricordo dei nostri cari che ci hanno preceduto in cielo, e si tratta non a caso di riti che hanno a che fare con il cibo e la tavola. Si preparano determinate pietanze, si lascia la tavola imbandita per gli spiriti dei defunti, o si mettono dei dolcetti sul davanzale: sono piccoli gesti che aiutano a ristabilire quel legame che la morte ha spezzato. Nella mia città, Milano, si preparano i biscotti detti Pane dei morti. Si tratta spesso di riti che coinvolgono i bambini: un modo per aiutarli ad avere con la morte un rapporto senza paura, liberante, aperto alla speranza.
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In Sicilia, ad esempio, la commemorazione dei defunti non è una giornata all’insegna della tristezza. Per saperne di più, ho chiesto qualche informazione alla mia cara amica Rosa, palermitana e mamma di due bellissimi bambini. Mi ha raccontato che in quel giorno i bimbi al risveglio trovano in un cesto, appositamente posto sotto il letto, dei giocattoli e dei dolcetti, e i genitori raccontano loro che si tratta di un dono dei parenti defunti. C’è la Frutta Martorana, di marzapane; i dolci tipici alla mandorla; i Tetù, biscotti ricoperti di glassa bianca o al cioccolato; le ossa di morto, biscotti croccanti speziati.
E poi i pupi di zucchero, detti “pupaccena”, che rappresentano paladini e damigelle (… e oggi anche nella variante di supereroi o personaggi dei cartoons!). Come mi testimonia Rosa, è una grande festa per tutti, i bimbi capiscono che la morte non deve spaventare, ma sanno anche che è doveroso andare a ringraziare il caro defunto per i doni. Ecco che i cimiteri siciliani il 2 novembre si riempiono di bimbe con la loro bambola nuova o ragazzini che provano felici la loro bicicletta!
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Ho voluto raccontarvi qualcosa su questo argomento, perché anche in questo caso il cibo assume un grande valore dal punto di vista storico, culturale, sociale ed affettivo. Nei riti legati ai defunti, assume un profondo significato simbolico. Come scrive l’antropologo Ottavio Cavalcanti:
“La tavola è dunque il luogo non unico, ma privilegiato, dove siderali distanze temporaneamente si annullano; il colloquio si intensifica o riprende; lo scandalo della morte è riassorbito e scongiurato; rapporti familiari e amicali si rinsaldano”.
Per concludere, non scandalizziamoci di Halloween. Magari sarebbe meglio tirare fuori dal cassetto le nostre tradizioni antiche. Il problema non è Halloween, il vero problema è che ai bambini, passata la notte mascherata, non si parla dell’aldilà, non si spiega cosa c’è dopo la morte. I riti tradizionali ai quali ho fatto cenno permettono di affrontare questo tema con semplicità e senza paura. Il rischio, per la nostra società, è quello di ridurre la vigilia di Ognissanti ad un grande carnevale horror, fatto di vampiri e zombie. Rimarrebbero solo le zucche vuote. Senza quella liberante speranza che solo una fede capace di tradursi in cultura vissuta può dare.