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In forte aumento il numero di minori che chiedono di cambiare sesso?

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Silvia Lucchetti - pubblicato il 24/10/18
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Gli effetti aberranti della ideologia gender si fanno sentire ormai in maniera significativa sulle nuove generazioniIl 19 e 20 di questo mese si è tenuto a Napoli presso l’Università Federico II il convegno dal titolo: “La popolazione transgender e gender non conforming”, organizzato dall’Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere (ONIG) in collaborazione con l’Osservatorio Universitario sulle Differenze, il Centro di Ateneo SInAPSi (Servizi per l’inclusione attiva e partecipata degli studenti) e il locale Dipartimento Accademico di Neuroscienze e Scienze Riproduttive ed Odontostomatologiche (Corriere).

Il convegno secondo i suoi promotori ha cercato di proporre una lettura integrata del complesso argomento attraverso una pluralità di prospettive: quelle della psicologia clinica, della medicina, della sociologia e della giurisprudenza. Nell’intervista rilasciata a margine del convegno Paolo Valerio, Ordinario di Psicologia Clinica presso il citato ateneo ha affermato che sono sempre più, anche in Italia, i minori transgender o gender non conforming, nei quali l’espressione di genere non è in sintonia con il sesso biologico, che chiedono di poter cambiare sesso o di iniziare percorsi di transizione.

A Napoli 31 casi di minori

Quest’anno sarebbero 31 a Napoli i minori che hanno richiesto assistenza psicologica in tal senso, a fronte dell’unico caso registrato nel 2005. Secondo l’intervistato questo incremento è da attribuirsi “(…) al diffondersi delle informazioni su questi temi, soprattutto attraverso internet: aiuta le famiglie a capire meglio il fenomeno e a rispondere alle esigenze dei figli e delle figlie, al contempo ragazzi e ragazze si sentono più liberi di dichiarare la percezione di genere” (Ibidem). A parte qualche legittima perplessità sul fatto che navigando su internet si possa ricavare una seria conoscenza di questo complesso e delicato argomento, corre l’obbligo di far rilevare come questo approccio “depatologizzante” a cui di fatto è sottesa la teoria del gender – “forzatura ideologica che consiste nel sopravvalutare in modo determinante il dato culturale nell’identità maschile e femminile con paradossali e grottesche negazioni della realtà” (come scrive Tonino Cantelmi nel volume “Nati per essere liberi”, Edizioni Paoline, 2015)- non trovi corrispondenza nella classificazione psichiatrica attuale.



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La Disforia di Genere

Infatti il DSM 5, l’ultima versione del 2013 del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, la cosiddetta “bibbia” della psichiatria, include a pieno titolo la Disforia di Genere nel novero dei disturbi mentali. Nell’intervista viene poi citato uno studio olandese del 2012 secondo cui nell’infanzia il 4,6% dei maschi ed il 3,2% delle femmine avrebbe una ambivalenza nei confronti della propria identità biologica, mentre l’1% dei maschi e lo 0,8% delle femmine sentirebbe una vera e propria incongruenza di genere. Ammessa con riserva l’attendibilità di questi dati, sappiamo però con certezza che nella stragrande maggioranza dei casi questa difficoltà di identificazione nel proprio sesso biologico si scioglie con il passaggio tra infanzia ed adolescenza, tanto che, secondo quanto riportato nel DSM 5 la prevalenza (complessiva presenza di un certo fenomeno in un determinato intervallo temporale nella popolazione) della disforia di genere negli adulti nati maschi varia dal 5 al 14 per centomila, e per le nate femmine dal 2 al 3 per centomila.

Nonostante le rassicurazioni espresse dal professor Valerio circa l’attenzione prestata ad ogni singolo caso di comportamenti gender non conforming, l’enorme differenza fra i dati dello studio olandese e quelli riportati dal DSM 5 deve far seriamente riflettere circa il rischio che a causa della teoria del gender, e del notevole impulso culturale offerto oggi a questa ideologia, molti minori che semplicemente evidenziano non conformità a comportamenti di ruolo di genere “canonici” (come fare il maschiaccio nelle bambine/ragazze o comportarsi da femminuccia nei bambini/ragazzi) possano essere di fatto condizionati ad assumere modelli identificativi diversi dal loro sesso biologico verso cui naturalmente invece si orienterebbero nella delicata transizione puberale.



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L’uso dei farmaci bloccanti

Nell’intervista si accenna poi al fatto che rispetto ai minori presi in esame, una volta giunti in fase immediatamente prepuberale, si iniziano a valutare interventi che prevedono l’assunzione di farmaci bloccanti l’attività dell’ipotalamo (la parte del cervello dove risiede fra l’altro il “grilletto” della pubertà) per fermare la produzione di estrogeni (dalle ovaie delle ragazze) e di testosterone (dai testicoli dei ragazzi). Secondo questa opinabile strategia, per fortuna ancora raramente attuata in Italia, frenare lo sviluppo puberale servirebbe ad impedire che questi ragazzi e ragazze rifiutando violentemente il proprio corpo in trasformazione possano mettere in atto comportamenti autodistruttivi. A questo punto viene da farsi non poche domande rispetto a questa prospettiva – che si dichiara concretizzata a Firenze e Torino solo in 10 casi per il forte pericolo di suicidio corso dai minori coinvolti (Corriere) – la quale rischia di estendersi molto rapidamente e diventare di fatto una prassi. Innanzitutto se abbia senso e legittimità un intervento teso a contrastare il fisiologico processo della pubertà, quali effetti abbia poi sul minore questa condizione di limbo nel momento in cui egli/ella si confronta con i suoi coetanei ormai in fase di sviluppo, e per ultimo ma non da ultimo quale messaggio verrebbe a ricevere e di quale autentica libera scelta verrebbe a fruire il preadolescente confuso sulla propria identità di genere se, come si legge nell’intervista:

(…)essere transgender è una normale variante dell’espressione del genere, che è molto più complessa e sfumata del maschile e femminile, anche se fin da piccoli riceviamo una educazione che distingue nettamente fra maschile e femminile sulla base del sesso biologico.

Pertanto, pur nella consapevolezza di trovarci – quando autentico – di fronte ad un fenomeno complesso in sé stesso e per le problematiche che sottende, sulle cui cause si sa con certezza ancora molto poco, urge levare un forte grido di allarme circa il rischio di una vera e propria epidemia transgender diffusa da errati presupposti ideologici in grado però di generare nuovi stereotipi culturali assolutamente aberranti sotto il profilo scientifico, etico ed antropologico.


SEARLY ALTI
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