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Siamo proprio qui a pettinare le bambole, anche la Barbie Cristoforetti

SAMANTHA CRISTOFORETTI
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Annalisa Teggi - pubblicato il 12/10/18
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Ogni bambina avrà tutto il tempo per capire chi vorrà essere, lasciamo che il tempo del gioco sia proprio il tempo divino della fantasia

Ma come si fa a farle le trecce? È stata la mia prima reazione infantile di fronte alla nuova nata in casa Mattel, la Barbie dedicata all’astronauta italiana Samantha Cristoforetti.

Più passa il tempo, più do credito ai miei scatti infantili e così sono precipitata nel ricordo di quel giorno di molti molti anni fa in cui finalmente mi regalarono Barbie Tropical, che i capelli ce li aveva lunghi quasi fino alle ginocchia. Quanto l’avrò pettinata? Per interminabili ore. Per interminabili ore felici, aggiungo.

E poi, a piccoli passi e grandi balzi, mi sono ritrovata in questo mondo di adulti in cui per insultare un lavativo gli si dice: “Non siamo qui a pettinare le bambole!”. Efficienza, risultati, prodotti sono le parole venerate nel recinto dei grandi che non giocano più e lavorano tanto, troppo. Ottengono anche grandi soddisfazioni e diventano esempi di passione e determinazione, come Samantha Cristoforetti. Non ho proprio nulla da recriminare a una bambola che le assomigli, lei che per mestiere è stata tra le stelle del cielo.



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Posso benissimo immaginare una bambina che giochi a fare l’astronauta e sogni di esplorare un pianeta sconosciuto su cui chissà cosa di straordinario succede. Posso anche pensare per qualche minuto sogni di fare l’astronauta da grande o la veterinaria, come capitò a me quando mi arrivò per Natale il gatto di Barbie con tutti gli accessori. Non ero preoccupata di dovermi trovare un lavoro, volevo costruire una storia bella di cui fossi protagonista. L’avventura è la dimensione del bambino, non la ricerca di uno status sociale. E il bello è che lui o lei sa scovare avventure nell’ambulatorio del veterinario, tanto quanto su una navicella spaziale; perché è l’immaginazione a fornirgli la spinta giusta.

Nel mondo del gioco non ci sono regole, e si possono trascorrere ore e ore a costruire e distruggere la stessa casa di Lego. Si possono trascorrere ore e ore a pettinare i capelli di Barbie Tropical; si può e, ancor di più, si deve. È forse la cosa più simile al concetto di eternità, un tempo in cui non si dovrà “produrre” ma solo – intensamente, pienamente – essere … e adorare. Adorare richiede una disponibilità a non misurare i minuti e le ore, una capacità a stare a tu per tu con qualcosa senza porsi limiti di stupore.

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Non so neppure io a cosa pensassi mentre pettinavo e pettinavo le mie bambole, con quei lunghissimi capelli mossi e chiari che erano l’esatto opposto dei miei, corti e neri. Adoravo, sognavo, immaginavo. È questo spalancarsi entusiasta e spensierato che chiamo gioco. Il mondo del gioco è uno dei doni più preziosi che possiamo dare ai nostri figli; il tempo e lo spazio spariscono, esiste solo la libertà di seguire un pensiero creativo e portarlo fin dove la fantasia vuole.



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Perciò lascio ai commerciali dell’industria tutte le valutazioni sulle nuove campagne per sensibilizzare le giovani con prodotti all’avanguardia e al passo con le ideologie del momento; e lascio alle commentatrici impegnate tutte le obiezioni o le lodi alla Mattel per l’impegno nel combattere gli stereotipi di genere e a diffondere un messaggio incoraggiante alle donne che possono essere tutto quello che vogliono. Eccetera eccetera eccetera. Sono discorsi da adulti e ci sguazzo in mezzo sempre.

Per una volta, io vado a giocare nella stanza con la bambina che ha comprato Barbie Cristoforetti e voglio proprio seguirla in qualsiasi universo la porterà; non ho idea di cosa ci capiterà, chi incontreremo, nessuno strumento della Nasa è mai andato lontano quanto faremo noi.

Da lassù, lontano, tra le stelle, vedremo piccoli piccoli gli opinionisti e gli industriali rimasti sulla terra. E se Dio vuole non si sentiranno più le loro voci che incasellano, progettano, misurano.