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Il Nobel per la pace accusato di complicità in genocidio

SUU KYI
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Agi - pubblicato il 28/08/18
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Il Myanmar di Aung San Suu Kyi potrebbe finire davanti alla Corte Penale Internazionale per il massacro della minoranza musulmana dei RohyngiaIl Myanmar di Aung San Suu Kyi ha compiuto un “genocidio intenzionale”, che potrebbe portare il Paese guidato dal premio Nobel per la pace davanti alla Corte Penale Internazionale. A inchiodare i vertici della nazione asiatica è un rapporto delle Nazioni Unite che individua nel capo dell’esercito e in altri cinque alti comandanti militari i responsabili di crimini contro “crimini contro l’umanità” e “crimini di guerra” contro la minoranza musulmana dei Rohingya​. E tutto questo è avvenuto mentre la donna che si è battuta per anni per i diritti umani voltava lo sguardo da un’altra parte.

Il genocidio fu scatenato dopo che i miliziani Rohingya avevano sferrato attacchi contro la polizia birmana il 25 agosto dell’anno scorso. La repressione nello Stato di Rakhine fu un bagno di sangue: circa 7 mila membri di questa minoranza sono stati uccisi nel primo mese di violenze, secondo Medici Senza Frontiere. I profughi sono scappati in Bangladesh a piedi o su fragili imbarcazioni; in molti hanno raccontato storie raccapriccianti di violenza sessuale, tortura e villaggi bruciati.



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Le accuse nel rapporto dell’Onu

“I principali generali birmani, tra cui il comandante in capo Min Aung Hlaing, devono essere indagati e perseguiti per genocidio nel nord dello Stato di Rakhine, come pure per crimini contro l’umanità e crimini di guerra negli Stati di Rakhine, Kachin e Shan”, si legge nel rapporto della Missione del Consiglio per i diritti umani dell’Onu, istituito per l’accertamento dei fatti accaduti in Myanmar l’anno scorso. “Le prove presentate nel rapporto sono chiare. A causa delle continue violenze perpetrate nello stato di Rakhine dall’agosto 2017 – ha affermato Save the Children – i bambini sono stati sottoposti a gravi violazioni dei diritti umani, come omicidi, menomazioni e violenze sessuali. I bambini sono stati uccisi davanti ai propri genitori e le ragazze hanno subito violenza sessuale. Di circa 500.000 bambini Rohingya in Bangladesh, molti sono fuggiti da soli dopo che i loro genitori sono stati uccisi o dopo essere stati separati dalle loro famiglie. La missione conoscitiva ha raccolto le testimonianze di molti bambini con ferite visibili che raccontavano di sparatorie, pugnalate o bruciature”.


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Le autorità birmane, secondo le quali l’esercito ha colpito solo gli insorti, hanno poi fatto un accordo con il Bangladesh per rimpatriare i profughi, ma solo pochi di loro sono tornati a casa. Aung San Suu Kyi, si legge nel rapporto, “non ha usato la sua posizione di capo del governo de facto, né la sua autorità morale, per contrastare o impedire gli eventi nello stato di Rakhine. Con le loro azioni e le loro omissioni, le autorità civili hanno contribuito alla commissione di atroci crimini”.

Le responsabilità di Facebook

La prima tempestiva reazione al rapporto non è arrivata dalla diplomazia, ma da Facebook, che ha messo al bando la pagina del comandante in capo dell’esercito del Myanmar e ha rimosso altre pagine legate alle forze armate birmane. “Bandiremo da Facebook 20 cittadini e organizzazioni birmane, tra cui il generale Min Aung Hlaing, comandante in campo dell’esercito”, ha fatto sapere il social media in una dichiarazione ufficiale, aggiungendo che in questo modo vuole evitare che questi individui ed entità usino il servizio per “fomentare ulteriori tensioni religiose ed etniche”.

L’Ue, dal canto suo, ha fatto sapere nel pomeriggio che il rapporto dell’Onu è “puntuale e cruciale”, ma “qualsiasi ulteriore passo” verso un rafforzamento delle sanzioni contro Myanmar dovrà “essere discusso con gli Stati membri”. L’Ue “sta esaminando” il testo del documento pubblicato ieri e questa settimana incontrerà gli autori per approfondirne i contenuti.

Le prove raccolte attraverso foto scattate con i cellulari e i testimoni oculari del genocidio, però, potrebbero sparire presto. “La stagione dei monsoni e le condizioni dei campi profughi li mettono a rischio – afferma un editoriale del New York Times corredato da un filmato che mostra una parte di quanto avvenuto nel Myanmar – e le Nazioni Unite dovrebbero presto mettere a punto un nuovo meccanismo per raccoglierle e proteggerle”, cosi’ da poterle utilizzare in un tribunale come quello della Corte penale internazionale.

 

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