Marianna Amatore, disoccupata e munita di Panda a metano, si offre per accompagnare a scuola i figli delle famiglie sfollate dopo il crollo del ponte Morandi
«Purtroppo al momento sono disoccupata per cui posso mettere il mio tempo a disposizione degli altri» così Marianna Amatore, 34 anni, racconta la sua idea ad Annissa Defilippi del Secolo XIX: creare un taxi “del sorriso” per accompagnare a scuola i bambini sfollati dopo il crollo del ponte Morandi a Genova.
La viabilità è stata gravemente compromessa, riscrivere i percorsi stradali cittadini significa trasformare in vere e proprie odissee quelle che prima erano passeggiate di pochi minuti. Tra poco riprenderà l’attività scolastica e molte famiglie genovesi si troveranno ad affrontare grossi ostacoli, le cui vittime più esposte sono e saranno i più piccoli.
Macerie umane
Sono circa 500 le persone costrette a lasciare le proprie abitazioni in zona Certosa e in attesa di capire cosa sarà del loro futuro: recuperare tutti gli oggetti personali, ricevere un nuovo alloggio, riscrivere la quotidianità, sapere l’entità dell’indennizzo. È cominciare da capo, senza preavviso; una caduta libera nell’ignoto, senza più contare sul proprio «nido». A ragion veduta, Francesco Ravera (presidente del comitato dei residenti di via Porro, sottostante al ponte Morandi) usa una metafora forte:
«Noi siamo come i sopravvissuti a una guerra, il trauma è davvero molto simile» ( da Genova24 )
Se è angosciante l’immagine di un ponte che crolla sotto i piedi o le ruote dell’auto, altrettanto lo è quella del ponte che crolla addosso alle case e schiaccia muri e vite.
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Fa tabula rasa di una quotidianità che è sicurezza, protezione, abbraccio. Quella tanto esecrata routine di vita, per cui si vorrebbe etichettare il tragitto casa-lavoro e lavoro-casa come il buco nero della gioia e dell’entusiasmo, è invece un fondamento di nutrimento imprescindibile: se viene meno, ci si sente nudi e feriti nell’intimo. Perché appartenere a un luogo, avere delle abitudini, stare dentro un quartiere è l’alveo che custodisce ogni persona e ne permette il fiorire, anche per catapultarlo fuori dai confini dell’ordinario.
Un cuore che va … a metano
E dunque in mezzo alle macerie di cemento e di sangue con cui Genova fa i conti, spunta la storia di Marianna, così come quella di molti altri uomini e donne che si stanno ingegnando per ricostruire, curare, dare una mano. Il genovese ha il cuore grande e schivo di De André, capace di una pietà enorme dietro le poche parole che dona al prossimo.
«Ho capito che dovevo fare qualcosa per queste persone perché mi sento loro vicino ed è una tragedia che poteva toccare anche me» (da Il Secolo XIX)
Marianna Amatore ha studiato psicologia infantile, ha fatto la tata per molti anni, ora è disoccupata: un’occasione insolita le si è mostrata per mettere a frutto queste carte personali, in un momento così drammatico per il quartiere in cui vive, Certosa appunto. Con la sua Panda gialla a metano, attrezzata con tre seggiolini posteriori e uno anteriore, ha dato la sua disponibilità ad aiutare i genitori sfollati che si trovano in difficoltà nel gestire il proprio lavoro e l’accompagnamento dei figli a scuola: tragitti che prima del disastro richiedevano una manciata di minuti, ora richiedono addirittura ore. Trasformare questa incognita in un’avventura in compagnia è il modo migliore per portare i bambini non solo a scuola, ma anche a superare il trauma di una vita quotidiana tutta a da riscrivere.
Non tutto tornerà come prima, ma c’è qualcuno disposto ad accompagnarti. Ecco il messaggio.
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Marianna Amatore ha adempiuto agli obblighi burocratici e chiesto il permesso al presidente del Municipio Valpolcevera. Speriamo che il taxi del sorriso parta davvero.
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Questa specie di solidarietà che nasce nel quartiere ha qualcosa di paradisiaco, cioè di attaccato al nostro bisogno di un Eden fatto di volti e paesaggi precisi. Il Paradiso non sarà generico, astratto, vago. Spesso detestiamo i nostri vicini di casa, li schiviamo, salutiamo solo per buona educazione. Eppure le esperienze più profonde della vita spesso le condividiamo con loro, nel piccolo ritaglio di strade in cui abitiamo, dunque siamo.
Ricucire la ferita dell’Eden perduto
In un romanzo entusiasmante, G. K. Chesterton immaginava che in un piccolo quartiere londinese messo a soqquadro – guarda caso – proprio per colpa di una grande autostrada, spuntasse un eroe comune a salvare il destino dei suoi vicini. Questo tipo, di nome Adam Wayne, si dimostra perfino disposto a dare la vita affinché il luogo dove è nato non sia distrutto e calpestato dagli interessi di grandi e cinici imprenditori. In nome di cosa? Della gratitudine e della semplicità:
«Sono nato, come gli altri uomini, in un punto di questa terra che ho incominciato ad amare perché, fanciullo, vi ho giocato, perché vi ho amato, perché vi ho trascorso, chiacchierando coi miei amici, notti che erano divine» (da Il Napoleone di Notting Hill)
Marianna, nel suo piccolo, sta imbarcandosi nell’impresa che tutti ci portiamo dentro: ricucire la ferita dell’Eden perduto, far sì che in mezzo alle macerie, alle lacrime, alle colpe, si piantino anche i semi di un giardino dove l’umano possa essere in cammino per la propria felicità.