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È passata solo una settimana e Genova, la schiva, prova ad abbracciarsi (GALLERY)

DONNA PANORAMA CITTA'
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Aleteia - pubblicato il 21/08/18
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Un quadro dipinto con poche pennellate, senza cedimenti romantici e sentimentali: un’insolita veduta di Genova nell’asciutto eppure intenso appello lanciato dal cuore trafitto dei genovesi, feriti ma non finiti; addolorati e quasi più viciniUna donna che vive a Genova, che la vive e la ama e forse ora le perdona tutte le durezze, come le migliaia di persone che percorrono veloci i suoi caruggi o il lungomare e che sono tornate ad inforcare auto e furgoni, racconta quel che passa furtivo negli sguardi impercettibilmente meno sfuggenti del solito della gente; che scorrono tra i passanti, nei respiri strozzati, nella domanda che brucia: “Perché?”

Nel pianto per chi si è offerto senza volerlo ad una morte piombata a terra, rapace. Senza il nostro Dio, il solo Dio che davvero salva, resterebbe cieca e odiosa. Invece tutto questo, il male voluto, il bene trascurato, i tagli nella carne viva inferti a tante famiglie sanguinano ma non invano, mai del tutto.



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di Giovanna Firpo

Una settimana.
E’ passata già una settimana.
Sette lunghi, interminabili perché non sono mai finiti, giorni.
E non so voi ma io ho un groppo che non va giù.
Resta lì, in fondo a quel sospiro che fatica a riempirmi i polmoni.
Mi espone tutta intera alla consapevolezza della fragilità umana.
La mia, la tua.
Cammino per le vie del centro e lo sento il silenzio.
Lo vedo, lo tocco, lo annuso. E’ pesante come l’aria umida e calda di questi giorni.
Di cosa sa?
Sa di domande, ognuno ha la sua, tutte diverse, perché impastate nella e della nostra diversità, eppure tutte uguali nella sostanza della ricerca di un senso, di un fine, di una fine al dolore.
Sa di risposte, sì miracolosamente già di risposte!, quelle che troviamo ingarbugliate, e che dobbiamo perciò districare, negli sguardi che ci scambiamo, finalmente.
Noi genovesi che guai a ricambiare gli occhi quando camminiamo per strada, figurarsi sorridersi, maniman!, noi ora indugiamo, è un attimo che sa di eterno, in chi ci viene incontro o ci passa accanto. Siamo sconosciuti eppure ci riconosciamo, in quell’incredulo dolore nel quale si fa spazio il bene che siamo e che abbiamo da dare.
Questa consapevolezza dolente e insieme lieve, grata, commossa e operosa è un modo altro di onorare la memoria delle vittime e il loro involontario sacrificio.

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