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Il Coro angelico dei Troni

I Troni nei mosaici del battistero di Firenze

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don Marcello Stanzione - pubblicato il 17/08/18
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Alla pari dei Serafini e dei Cherubini, con i quali compongono il primo ordine, i Troni sono angeli che bruciano dell’amore di Dio e dell’intelligenza divina, così come scrive Daniele: “Il suo trono era fiamme e fuoco”. “Attorno al trono c’erano ventiquattro troni su cui stavano seduti ventiquattro anziani vestiti di vesti bianche e con corone d’oro sul capo” (Ap 4,4); “perché l’Eterno degli eserciti regnerà sul monte di Sion e in Gerusalemme, fulgido di gloria in presenza dei suoi anziani” (Is 24,23).


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I ventiquattro troni sono certamente i troni di cui parla Paolo in Colossesi 1,16. Sui troni disposti intorno al trono di Dio sono seduti ventiquattro Anziani che fanno parte delle più alte gerarchie celesti. Dio, il sommo Pastore-Anziano dell’universo (cfr. Dan 7,9), e i ventiquattro Anziani formano il Celeste Collegio degli Anziani o Presbitero Celeste. Personalmente credo che questi Anziani, oltre ad adorare Dio e a presentargli le preghiere dei santi (cfr. Ap 4,10; 5,8; 11,16), governino con lui sugli angeli e sull’universo. Secondo alcuni studiosi, essi sarebbero i rappresentati della Chiesa glorificata; secondo altri, della Chiesa rapita, e secondo altri ancora essi sarebbero dodici profeti del Vecchio Testamento e i dodici apostoli dell’Agnello. Credo che queste conclusioni siano basate sulle seguenti ragioni:

a) I ventiquattro Anziani non hanno mai sperimentato la redenzione. In Apocalisse 4 essi cantano un inno a Dio Creatore; nel capitolo 5, sebbene cantino il cantico della redenzione, non lo cantano per se stessi, ma per gli uomini che sono stati riscattati dall’Agnello: “E ne hai fatto [di loro] un regno di sacerdoti e regneranno sulla terra” (v.10). Nei manoscritti più antichi viene usato il pronome “loro” (E hai fatto di loro), che qui si riferisce alla Chiesa. Se gli Anziani fossero la Chiesa , perché si riferirebbero ad essa dicendo “ loro”? Dovrebbero usare il pronome “ noi” (E hai fatto di noi” o “ E ci hai fatti re e sacerdoti), ma non è così perché essi non sono la Chiesa né sono rappresentati in essa. La versione protestante Diodati e Nuova Diodati, traducendo da manoscritti più recenti, scrive “E ci hai fatti re e sacerdoti”.

b) Apocalisse 7,14: “Io gli risposi: “Signore mio, tu lo sai”. L’apostolo Giovanni chiama uno degli anziani “Signore mio”, riconoscendo di essere in una posizione di autorità inferiore rispetto a lui. È logico supporre che egli non si sarebbe espresso così se si fosse trattato semplicemente di uomini di Dio, anche se elevati a un tale grado di gloria, in quanto…

c) se i ventiquattro Anziani rappresentassero la Chiesa, allora Giovanni, che è tra i più autorevoli esponenti di essa, dovrebbe essere uno degli Anziani, mentre invece non lo è. Egli non riconosce tra i 24 nemmeno uno degli undici apostoli, che a quel tempo dovevano già essere tutti con il Signore. Chi meglio di loro potrebbe rappresentare la Chiesa glorificata? Giovanni, inoltre, non riconosce nemmeno uno dei profeti del Vecchio Testamento. I ventiquattro Anziani siedono sui loro troni in quella che potremmo definire “ la stanza dei bottoni”, in cui si trova anche il trono di Dio, là dove vengono prese tutte le decisioni. Che essi facciano parte delle più alte gerarchie angeliche giustificherebbe l’espressione “Signore mio”, che Giovanni usò rivolgendosi a un di loro.

I Troni nella visione delle mistiche

Portare Dio, è questo il loro ruolo. Portarlo non solamente in cielo, ma portarlo a coloro a cui egli vuole comunicarsi. Essi sono esecutori dei decreti della sua giustizia e annunciatori della sua misericordia. La virtù teologale che è loro abitualmente associata è la speranza. San Bonaventura attribuiva loro inoltre l’umiltà. Forza e stabilità sono i Troni, per sempre inscindibili. È quello che esprime lo Pseudo-Dionigi: “Essi si allontanano senza compromesso da ogni bassezza. Sono tesi verso le altezze con una intensità sconosciuta dal nostro mondo. […] e si mantengono con tutta la forza, in modo inscindibile e ben ordinato intorno a Colui che è, nel senso pieno di questo termine, l’Altissimo” (La gerarchia celeste).


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In conclusione, la Sacra Scrittura non ci dà nessun indizio riguardo alla natura e ai compiti di questo coro angelico, oltre al fatto di rivelare il suo nome a capo di una lista parziale: “In essa [la Parola]c’erano tutte le cose create in cielo e sulla terra, visibili e invisibili, Troni e Dominazioni, Principati e Potestà”.

Essendo l’ultimo coro della prima e più alta gerarchia, i Troni condividono con i Serafini e i Cherubini la grande dignità e gloria di essere più vicini al trono di Dio rispetto a tutti gli altri. Grazie alla loro vicinanza a Dio, la luce dei misteri divini arriva a loro prima che agli altri. La fermezza sembra essere la caratteristica dei Troni.

Il nome dei più gloriosi e altissimi Troni indica ciò che è esente e incontaminato da ogni cosa terrena… Essi non prendono parte a ciò che è di poco conto ma abitano nel pieno potere, inamovibili e perfettamente stabiliti nell’Altissimo”. In cima alla sontuosa visione sta l’indicibile, la gloria di Dio. Per sensibili che abbiano potuto essere i mistici davanti allo splendore di questa descrizione, essi hanno parlato dei Troni in maniera molto più sobria.

Sant’Angela da Foligno (1248-1309) ebbe una volta una visione di questo coro di angeli: “Io vidi come Gesù Cristo viene con un esercito di angeli, e la magnificenza della sua scorta si lasciò assaporare dall’anima mia con un immenso diletto. Mi meravigliai un attimo nell’aver potuto prendere piacere nel guardare degli angeli. Poiché normalmente tutta la mia gioia è condensata solo in Gesù Cristo. Ma ben presto scorsi nell’anima mia due gioie perfettamente distinte: l’una veniente da Dio, l’altra veniente dagli angeli, ed esse non si rassomigliavano. Ammirai la magnificenza con cui il Signore era circondato. Io chiedevo il nome di quelli che vedevo. “Sono i Troni”, disse la voce”.


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Sant’Angela è impressionata dallo splendore di quell’esercito celeste, che circonda di gloria il Verbo Incarnato. Ella non descrive quegli spiriti celesti, non più di Giovanni Ruysbroeck che fa anche allusione alla gloria di Dio quando li contempla: “Quel chiarore immenso è l’immagine del Padre, secondo la quale noi siamo stati creati, e possiamo essergli uniti in più alta dignità dei Troni se, al di sopra della gioia che fa svenire, noi contempliamo il volto glorioso del Padre, ossia la natura mobilissima della divinità”.

L’orsolina Maria dell’Incarnazione (1599-1672) cerca di descrivere quegli spiriti; ella si sforza, a partire dalla sua esperienza, di definire la loro missione presso i fedeli: “E poi, giungendo ai Troni, nei quali Dio abita, avendoli creati come dei vasi puri per la sua divina maestà, io vedevo che essi sono in Dio e Dio in essi, la sua misericordia versa loro la sua purezza ed essi le rinviano la stessa purezza, il che fa un dolce commercio tra quel Dio di purezza e quei beati amanti. Ah! Troni puri, dicevo loro, che partecipate con la vostra purezza alla purezza di quel Dio, fate che la mia memoria, epurata da tutti gli oggetti che sono inferiori a lui, venga a contenere quell’oceano d’amore che non vuole che vasi puri, e che, senza esitare, io vengo dall’essere unita a lui, e gettata in quell’abisso che non è che purezza”.

Il ritratto dei Troni che traccia Mechthild Thaller (1868-1919) non potrebbe rivaleggiare con queste elevazioni spirituali: “Tali come dei re, gli angeli di questo coro sono seduti su dei troni. Essi recano un abito dorato, un mantello brillante; la loro corona chiusa è d’uno splendore sorpassante tutto quello che si può immaginare. Il loro volto è pieno di nobiltà e d’una maestà che non è di questo mondo. Uno scettro è ai loro piedi. Essi hanno le mani incrociate sul petto; un anello d’oro brilla alla loro mano destra. Il loro sguardo rivolto verso il cielo è, malgrado il loro aspetto maestoso, pieno della più profonda umiltà, del più ardente fervore”.

Pertanto, per immaginarie che siano le visioni di questa mistica, esse non devono farci perdere di vista il progetto pedagogico ch’esse nascondono: la stigmatizzata tedesca è, per le anime semplici, una buona guida nella devozione ai santi angeli, dal momento ch’ella non si ferma per vana curiosità al solo aspetto descrittivo delle sue rivelazioni.

Si può dire altrettanto delle effusioni che il domenicano Simone da Cascina (+ 1420) fa sgorgare dalle labbra della sua monachella, nel Colloquio spirituale composto verso il 1380?

O Serafini ignei, cinti di rose rosse e di corolle di fuoco,

Infiammate l’anima mia, date brace alle sue forze, trasformate i miei sensi,

Consumate ogni colpa perché io possa, con simili insegne,

Figurare in vostra compagnia!

Informatemi, o Cherubini, di celeste sapienza,

Adornatemi di gigli d’un bianco luminoso,

Affinché con voi io mi possa intrattenere,

Avendo avuto fine ogni ignoranza!

O Troni ricchi di retta giustizia,

Al di sopra di cui siede il Giudice per eccellenza,

Rivestitemi delle vostre meravigliose tuniche,

Sì ricche e d’un sì fine tessuto,

Trascinatemi danzando nel vostro girotondo!

Commentando questo passo, un autore contemporaneo annota: “Si ha troppo sovente l’impressione di assistere a una specie di deriva mistica, esasperata dalle ricerche del linguaggio, a discapito d’un sentimento religioso che non lascia nondimeno di essere sempre presente”. Sicuramente, l’epoca – la fine del Medioevo – si presta a una devozione sensibile, molto immaginata. Ma questa si radica nel dato della fede e si nutre di riferimenti scritturali conferendo a questa deriva mistica una reale profondità che non sorpassa in nulla la freschezza del linguaggio.