Uscire da un auto in corsa e ballare in mezzo alla strada, ecco il tormentone estivo che impazza tra i giovani (ma non è quel “balzo audace” di cui parla Papa Francesco …)
È partito tutto dall’America, poi è esploso in un fenomeno mondiale che tuttora assume risvolti inquietanti. Imitazione e visibilità, queste le parole chiave della #kikichallenge, una sfida a suon di video e hashtag. A giugno il comico americano Shiggy ha pubblicato su Instagram un video in cui ballava per strada il ritornello di una canzone del rapper canadese Drake, In my feelings; da questa ironica scemenza si è generata una marea di imitazioni che hanno alzato l’asticella del pericolo: uscire da un auto in moto, ballare per la strada il brano musicale di cui sopra. Una challenge, una sfida.
In realtà, è un modo per mettersi in mostra, per sconfiggere la noia, per far crescere i fan della propria pagina Facebook. Una smania collettiva di essere tutti uguali, a modo proprio. C’è chi si esibisce mostrando le proprie doti fisiche, chi lo fa sott’acqua, Will Smith lo ha fatto su un ponte a Budapest ed Emma Marrone aprendo il frigo (per ridicolizzare la cosa). Poi c’è chi è caduto, chi ha sbattuto contro un palo e peggio.
In California e in India è dovuta intervenire la polizia con proclami ufficiali che suonavano abbastanza surreali: «È scontato dirlo, ma ricordiamo che è vietato scendere da un’auto in corsa e pericoloso camminare in mezzo alla strada».
Nel Jaipur le forze dell’ordine hanno scelto una comunicazione ancora più forte: hanno pubblicato la foto mortuaria di un ragazzo e la didascalia «riposa in pace, Kiki». Come a dire: finiamola con la #Kikichallenge perché c’è in gioco la vita di molti.
La vita di molti giovani e giovanissimi e bambini, va precisato. Sono loro i protagonisti di questo folle entusiasmo collettivo.
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Sfida è una bella parola per i giovani. È il loro modo puntare alto, avere grandi progetti, sogni anche … come ha detto da poco il Papa.
“Non accontentatevi del passo prudente di chi si accoda in fondo alla fila. Ci vuole il coraggio di rischiare un salto in avanti, un balzo audace e temerario per sognare e realizzare come Gesù il regno di Dio e impegnarvi per un’umanità più fraterna”. (da Famiglia cristiana)
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Ecco, il balzo audace non è quello fuori da un auto in corsa. È qui il grande inganno. Il rischio che vale la pena correre è davvero uscire in un territorio oltre la porta dell’io. Queste sfide mediatiche hanno solo l’aspetto esteriore di avventure, di imprese; ma lasciano ciascuno rinchiuso dentro quella gabbia invisibile che è l’inquadratura di uno smartphone. Non si esce da nessuna parte, ci si mette solo in vetrina e intanto si può pure perdere la vita. L’attrattiva di una marea di visibilità e like è in grado di annullare il buon senso, il discernimento; lo sappiamo.
E dunque, qual è il balzo audace che suggerisce il Papa ai nostri figli? Forse è quello di uscire da ogni inquadratura prefabbricata dalle tendenze. L’auto in corsa da cui scendere è quella che ci trascina via dal qui e ora. Che ci strappa alla presente presenza dell’esserci. Che ci catapulta altrove dal mistero lento e opaco di ogni monotona giornata.
Qui, oggi, in un quartiere ignoto a tutti, tranne che alla sua manciata di abitanti, scorrono vite in attesa di cose grandi. A questi giovani in fremito viene troppo spesso detto che il bello, l’entusiasmante, la felicità è oltre, altrove, più in alto, più in luce, più piena di gente. Comunque non lì dove sono. Nel mistero lento e opaco di ogni giornata c’è lo spazzino che svuota i cassonetti, qualche sirena di ambulanza e cicale. Nulla di che.
Davvero?
Davvero per movimentare la giornata a te, caro giovane, basta caricare un amico in macchina, preparare il filtro giusto sul iPhone, scegliere un brano rap e poi lanciarti a fare mosse assurde per strada sempre guardando l’obbiettivo?
Scendi invece con calma, parcheggia magari nel posto meno fotogenico possibile: che ne sai davvero di quella strada? La percorri o ci abiti?
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È questa la grande differenza tra incosciente follia e l’audacia del rischio: fare esperienza dell’avventura. Chi vuole vivere davvero un’avventura sa che qualcosa ad-viene, gli andrà incontro. Quando ci mettiamo sul serio «per strada», in senso letterale e simbolico, l’unica cosa sicura è che non c’è un balletto imparato a casa da ripetere né un ritornello orecchiabile a farci da colonna sonora. Ci sarà sempre qualcosa che non avevamo calcolato e che rende pure i nostri passi qualcosa di noto eppure nuovo. Le scarpe sono nostre ma la suola, e l’anima, cambiano metro dopo metro. E c’è da avere desiderio, paura e compagnia per stare dentro un’avventura: il senso di un traguardo, il timore degli ostacoli, il coraggio delle voci che ci stanno accanto.
Anche l’umiltà di fermarsi e lasciarsi sfamare da uno sconosciuto.
Chi esce da casa sua e si mette sulla strada della ricerca del proprio destino pratica l’incontro, vive il fiatone, conosce sorrisi (e lacrime) imprevisti. Meno è al centro della scena più gli sembra di essere davvero se stesso, la mente si spalanca e il cuore si aggrappa a ogni briciola di bello e persino di doloroso. Il tempo scorre più lento, l’opaco di ogni giornata diventa un scatola semi aperta da scoprire. Anche sedersi e guardare fanno parte di un’audacia grande.
E, intanto, le macchine che passano a tutta velocità e con la musica a palla filano via in un batter d’occhio, sparendo -letteralmente- nel nulla.